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L’industria si rialza: produzione da record a tre anni dal Covid

Lecco, Monza-Brianza e Bergamo in cima alla classifica. Como riparte dopo lo shock del tessile Buzzella (Confindustria): siamo più forti e solidi di come ci raccontano e questi risultati lo dimostrano

Luca Orlando

4' di lettura

E

sattamente tre anni fa, il 27 gennaio del 2020, il ministero della Salute aggiornava con una nuova circolare i criteri con cui mappare e identificare i sospetti casi di Covid, che fino a quel momento in Italia ancora non si erano palesati.

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Tregua illusoria, perché già poche settimane dopo, a Codogno, con il ricovero del “paziente 1” l’epidemia entrava ufficialmente anche da noi. Da lì il lockdown, migliaia di morti, le bare trasportate con mezzi militari, l’urlo continuo delle ambulanze, le fabbriche chiuse, la corsa alle mascherine.

Per la manifattura lombarda era l’inizio di una crisi profonda, shock a cui nel tempo si sono aggiunte le difficoltà delle supply chain, la scarsità di materie prime, l’impennata dei prezzi dell’energia. Ma dove siamo rispetto ad allora?

Se mettiamo a confronto i livelli produttivi pre-covid con quelli attuali, quella che si osserva è in realtà una capacità di recupero prodigiosa.

Prendendo a riferimento grazie al monitoraggio di Unioncamere Lombardia i dati di fine 2019 e mettendoli a confronto con gli ultimi disponibili per l’anno in corso, il recupero medio è pari a poco più dell’11%. Di fatto, dopo il calo a doppia cifra del 2020, già nel corso dell’anno successivo la chiusura del gap è stata possibile. Rimbalzo non episodico, tuttavia, ma proseguito con un ulteriore avanzamento nel corso di quest’anno.

Crescita corale che vede comunque più di una differenza. Scorrendo i dati dei singoli territori emerge infatti qualche distanza nei risultati. A primeggiare in termini di progressi relativi sono Lecco, Monza-Brianza e poi Bergamo, una delle province più colpite dall’epidemia, che in tre anni ha visto l’outupt lievitare di 13 punti.

All’estremo opposto troviamo invece Varese e Sondrio, in grado di recuperare il terreno perso fermandosi però solo quattro punti oltre il livello pre-Covid.

Altra reazione interessante è quella di Como, patria del tessile-abbigliamento, il settore più penalizzato dallo shock, sia per i blocchi produttivi e distributivi, sia per le restrizioni alla vita sociale che hanno ridotto per altra via la domanda. Nel 2020 Como è stata così la provincia più penalizzata, con un crollo della produzione di quasi 17 punti, il più alto nella regione. Terreno recuperato con lo scatto a doppia cifra dell’anno successivo e proseguito anche ora, un unicum tra le province lombarde nei primi nove mesi del 2022. Anche se il bilancio finale, un recupero di quasi nove punti, non è tra i più brillanti in regione.

E infatti, in termini settoriali, nonostante lo scatto recente, rispetto al 2019 tra i pochi comparti che galleggiano ancora su quei livelli, oltre ai mezzi di trasporto, c’è proprio il tessile-abbigliamento.

Mentre meccanica, gomma-plastica, pelli-calzature e chimica sono invece in crescita del 10% e oltre rispetto ai volumi espressi tre anni fa.

Recupero corale reso possibile anche grazie ad una forte ripresa dell’export, arrivato a livelli record quasi rispetto ad ogni mercato estero.

La diversificazione dei mercati di sbocco delle nostre imprese si è rivelata così un punto di forza nel momento dei lockdown, non avvenuti in modo sincrono nel mondo, compensando così i cali intervenuti in un’area con le crescite realizzate altrove.

Dopo aver ceduto 12,5 miliardi tra 2019 e 2020 (-10,6%), in termini di esportazioni la regione ha prontamente recuperato l’anno successivo accelerando ancora nei mesi seguenti, con un primo semestre in progresso del 26% rispetto all’analogo periodo 2019. Mantenendo questo trend l’ipotesi è quella di chiudere l’anno a 160 miliardi di export, oltre 30 in più rispetto al periodo pre-crisi.

Chi ha fatto meglio? Mettendo a confronto il primo semestre dello scorso anno con l’analogo periodo 2019, a primeggiare è la “bassa” padana, con Lodi (+59%), Cremona (+42%) e Mantova (+37%) a spiccare il volo in termini di vendite internazionali. Oltre la media lombarda anche Brescia, Sondrio, Monza e Lecco, mentre in coda alla classifica vi sono Como e Pavia, entrambe tuttavia ampiamente oltre i valori di export del 2019.

Produzione tonica e vendite estere in recupero si riverberano anche nel dato regionale del fatturato, rilanciato oltre la media delle altre variabili da un prepotente effetto-prezzi, con l’aumento dei listini interni ed internazionali a rilanciare gli incassi delle aziende. In parte si tratta di una partita di giro, tenendo conto di rincari legati ad analoghi incrementi dei fattori di produzione, materie prime ed energia in primis. E tuttavia, guardando all’indice, si osserva un’impennata ancora più forte rispetto alla produzione: dall’ultima rilevazione pre-covid il balzo dei ricavi delle aziende lombarde è in media pari al 32%.

I casi esposti qui a fianco, che spaziano tra i principali settori dell’economia e che si dipanano tra le dodici province del territorio, evidenziano nei racconti singoli i numeri “macro” appena esposti. Allo shock 2020 è seguito per tutti un rimbalzo più che proporzionale l’anno successivo, rapida inversione di rotta che ha consentito di mantenere la presa sui mercati internazionali e che come effetto collaterale ha prodotto anche un incremento dell’occupazione. Durerà? All’orizzonte quasi ogni indicatore è indirizzato al peggio ma il passato recente ha dimostrato la forza della manifattura locale.

«In questi tre anni - spiega il presidente di Confindustria Lombardia Francesco Buzzella - l’industria lombarda ha saputo resistere e reagire a una serie di shock che, così come si sono presentati, avrebbero messo in ginocchio anche il più solido dei sistemi industriali». Buzzella ricorda le tante mergenze attraversate, i lockdown del primo periodo di emergenza sanitaria, la chiusura delle rotte commerciali, i colli di bottiglia negli approvvigionamenti, la riorganizzazione delle supply chain, la scarsità seguita poi dall’esplosione dei prezzi delle materie prime, infine la crisi energetica e una guerra ai confini dell'Europa con l'impianto sanzionatorio che ne è conseguito. «Agli imprenditori lombardi - aggiunge - per i risultati ottenuti in questi anni andrebbe data una medaglia al valore per aver traghettato l’economia regionale attraverso questa serie di crisi. Senza scossoni occupazionali e perfino riuscendo a trainare l’intera economia nazionale grazie agli ottimi risultati dell'export. Oltre alla capacità e alla lungimiranza degli imprenditori di adattarsi a cambiamenti epocali in queste fasi di crisi è stato costante il confronto con le istituzioni regionali: questi sono stati senza dubbio gli ingredienti vincenti che, oggi, consentono alla Lombardia di guardare al futuro con ottimismo e fiducia perché, a dispetto di una narrazione che vuole un’Italia anello debole d’Europa e dell'Occidente, siamo più forti e solidi di come ci raccontano e i risultati di questi tre anni ne sono la dimostrazione».

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