L’inflazione alimentare scende: la crisi globale è alle spalle?
Ci sono motivi solidi per ritenere che il peggio sia alle spalle: l’Australia raccoglierà nel 2022-2023 il suo secondo raccolto record consecutivo
di Marcello Minenna
I punti chiave
7' di lettura
Negli ultimi mesi, l'inflazione dei beni alimentari primari sui mercati internazionali ha rallentato la sua corsa, concedendo respiro a fronte di situazioni molto difficili per i Paesi in bolletta alimentare più esposti in Africa, Asia meridionale e Medio Oriente. A novembre 2022 l'incoraggiante trend di calo sembra però essersi arrestato, rinfocolando le preoccupazioni di chi paventa l'esplosione di una crisi alimentare globale.
In effetti, l'indice benchmark della Food and Agriculture Organization (FAO, Food Price Index FPI) – che tiene traccia dei prezzi sui principali mercati mondiali – è rimasto sostanzialmente invariato su livelli molto alti, superiori a quelli che hanno innescato le grandi crisi alimentari del recente passato. Dopo 8 mesi di cali consecutivi (vedi Figura 1), cosa sta succedendo?
Andando ad investigare meglio, la situazione è meno preoccupante di quello che si potrebbe sospettare: la stasi dell'indice dipende dall'andamento estremamente volatile del prezzo di pochi beni di largo consumo: grano, mais e olio d'oliva. Per il resto, si conferma un calo generalizzato per carne, pesce, latte e tutti i cereali minori, mentre il prezzo del riso conferma una notevole stabilità nel tempo nonostante gli shock multipli all'economia globale.
Ci sono dunque motivi solidi per ritenere che il peggio sia alle spalle: l'Australia, il terzo esportatore di grano al mondo dopo Russia ed USA, raccoglierà nel 2022-2023 il suo secondo raccolto record consecutivo, mentre Canada e Brasile prevedono buoni raccolti. L'accordo tra Russia, Turchia ed Ucraina sotto l'egida delle Nazioni Unite che consente il transito marittimo dei carichi di grano è inoltre di nuovo operativo. Vediamo in dettaglio.
Un’apparente stasi dei prezzi, ma la situazione sta migliorando
Gli indicatori settoriali (vedi Figura 2) per carne (barre verdi), latte (barre rosse) e zucchero (barre arancioni) continuano a mostrare un buon declino dai valori di picco di metà anno (rispettivamente del -6.1%, -8,2%, -6%). Per alcuni prodotti di larghissimo consumo (vedi Figura 3) e ad alta intensità calorica, il calo risulta ancora più rilevante, nell'ordine del 30%, 40%.
Moderate inversioni di tendenza si notano invece negli ultimi 2 mesi per cereali (barre gialle) ed oli vegetali (barre viola), il cui peso preponderante in termini di volumi scambiati all'interno dell'indice è sufficiente a determinarne uno stallo complessivo del trend.
Vale la pena approfondire le ragioni di queste controtendenze, decomponendo ulteriormente i sotto-indici settoriali.
Alta volatilità sui mercati dei cereali: il calo proseguirà?
Sul mercato internazionale dei cereali, la situazione ha riflesso l'incertezza estrema nel quadrante russo-ucraino. Dopo l’accordo raggiunto tra Ucraina e Russia per sbloccare i principali porti ucraini del Mar Nero, i prezzi del grano e del mais avevano perso fino al -20% a luglio 2022, indicando una progressiva ripresa delle esportazioni di grano verso i Paesi più vulnerabili del Mediterraneo come l'Egitto.
Il successivo stop and go dell'accordo dovuto alle operazioni militari nel Mar Nero tra settembre ed ottobre ha provocato un parziale rimbalzo sui mercati internazionali del prezzo di queste due categorie di prodotti, nonostante le stime complessive sui livelli di produzione mondiali mostrassero una sostanziale tenuta degli stock di cereali coltivati nell'anno in corso. La stima più recente del declino della produzione a livello globale rispetto al 2021 si assesta al -2%; pesanti cali sono registrati in Europa (-7,3%), con il raccolto ucraino ridotto del 40% parzialmente compensato dall'incremento della produzione russa (+17%), ed in Africa (-4,1%). Fortunatamente la buona performance dei Paesi sudamericani (+7,5%) ha ridotto i danni per l'economia globale.
Si tratta comunque di andamenti dei prezzi volatili e di breve termine, suscettibili di rapide inversioni. Il prezzo dell'orzo nel frattempo, è crollato del 30% dai massimi raggiunti a giugno 2022 per via delle aspettative di un'ottima stagione di raccolto negli USA. Nel complesso (vedi Figura 4) si conferma un robusto raffreddamento dei tassi di crescita dei prezzi dei cereali.
L'andamento del prezzo del riso (barre rosse) si è mostrato straordinariamente insensibile agli sconvolgimenti che hanno caratterizzato i mercati degli altri cereali, registrando un lieve declino anno su anno. Diversi anni consecutivi di raccolti eccezionali hanno portato le scorte globali di riso a livelli record, creando un cuscinetto che si è dimostrato decisivo per contenere le successive spinte inflazionistiche. Da gennaio 2022, i prezzi di riferimento del riso sono stati in media di 414 dollari per tonnellata, al di sotto della media a 5 anni di 416 dollari per tonnellata e della media a 10 anni di 434 dollari per tonnellata.
Nel 2007-2008, i prezzi del riso salirono, quasi verticalmente, superando i 1.000 dollari a tonnellata. È stata la mancanza di un rialzo paragonabile, a ben vedere, che ha impedito allo shock inflazionistico del 2022 di tramutarsi in una crisi alimentare globale. Per ragioni climatiche e di diversificazione geografica gli andamenti della produzione e dei prezzi di riso e grano appaiono generalmente disaccoppiati, consentendo alle fasce di popolazione più povere strategie di “compensazione” alimentare.
Il 2022 fortunatamente è stato uno di questi periodi non anomali. Si consideri qual è il segnale inequivocabile di una vera crisi: le rivolte per il cibo. Nel 2007-2008 il mondo le ha sperimentate su larga scala, quando folle inferocite sono scese in piazza in più di 50 nazioni da Haiti al Bangladesh. Nel 2022 si sono registrati moderati disordini solo nello Sri Lanka, una nazione afflitta da una crisi della bilancia dei pagamenti indipendente dall'inflazione del settore agroalimentare, che ha esaurito la capacità finanziaria del Paese di importare beni alimentari primari.
La bolla speculativa sugli oli vedetali del 2022 al microscopio
L'inflazione alimentare del 2020-2022 è cominciata con la corsa dei prezzi degli oli vegetali, che hanno reagito molto rapidamente al mutato contesto internazionale di progressiva riapertura delle economie dopo i grandi lockdowns generalizzati del 2020. Il primo shock evidente (vedi Figura 5) che ha innescato il rialzo dei prezzi è stata la siccità del 2020-21 in Ucraina, il più grande produttore mondiale di olio di girasole (barre bianche), seguita a stretto giro dalla carenza di manodopera migrante indotta dal Covid nelle piantagioni di olio di palma del Sud-Est asiatico (barre gialle).
Il secondo impulso inflazionistico nella dinamica dei prezzi degli oli vegetali è arrivato con la deflagrazione del conflitto russo-ucraino. Le interruzioni della fornitura di olio di girasole da Ucraina e Russia hanno artificialmente aumentato la domanda di olio di palma, a causa di una strategia di sostituzione comune nella cucina asiatica. La relativa scarsità dell'olio di palma è stata inoltre grandemente aggravata dalla decisione dell'Indonesia (primo produttore al mondo) di imporre delle restrizioni alle esportazioni in risposta agli aumenti dei prezzi interni.
L'esplosione del prezzo dell'olio di palma si è poi trasmessa a più riprese ad altri settori dell'economia mondiale: quest'olio è un input chiave nella produzione di beni industriali, tra cui cosmetici, alimenti confezionati e biocarburanti. È anche molto difficile da sostituire, poiché è stabile a temperatura ambiente, il che significa che prolunga la durata di conservazione di prodotti deperibili come il pane prodotto commercialmente.
Infine, nel 2022 anche il prezzo dell'olio di soia ha mostrato una forte accelerazione (barre verdi), a causa della siccità in Sud America che ha colpito gravemente il raccolto di soia della regione.
Da metà anno questa sequela di shock multipli all'offerta ha cominciato ad attenuarsi. Le prospettive per il 2023 della produzione di soia in Brasile, Argentina e Paraguay sono migliorate, anche se i prezzi restano elevati rispetto alla media storica.
L’Indonesia è stata costretta dalla pressione internazionale a revocare il divieto alle esportazioni di olio di palma alla fine di maggio 2022, dopo un accumulo di scorte notevole. Ora questi stock in eccesso, rilasciati rapidamente sul mercato, stanno esercitando una pressione al ribasso sui prezzi che ha de facto azzerato i tassi di incremento in pochi mesi (vedi di nuovo Figura 5, barre gialle). La grande disponibilità di olio di palma a prezzi in discesa ha parimenti ridotto la pressione sul prezzo dell'olio di girasole, che si è rapidamente normalizzato nonostante i livelli di produzione rimangano ridotti.
A novembre 2022, l'impulso inflazionistico sugli oli vegetali di largo consumo può considerarsi esaurito. La recente lieve inversione del trend tra settembre/ottobre scorsi dipende unicamente dalla crescita del prezzo dell'olio d'oliva (barre rosse), che tendenzialmente è stato molto stabile. Le ragioni di questo rialzo transitorio vanno cercate nel pessimo raccolto nell'area mediterranea (Spagna, Italia), condizionato dalla siccità estiva estrema e dall'attività degli agenti infestanti.
La ripresa progressiva delle esportazioni di beni alimentari
Un aspetto comune a tutte le crisi alimentari che tende a peggiorare la situazione, contribuendo alla scarsità ed all’aumento dei prezzi dei beni primari, è dato dalle restrizioni al commercio. Nel 2022 il fenomeno è risultato molto violento, paragonabile a quanto successo durante la crisi del 2007-2008 (vedi Figura 6).
Secondo dati raccolti dalla Banca Mondiale e dal Global Trade Alert (un sistema di monitoraggio indipendente delle politiche commerciali degli Stati), tra gennaio a giugno 2022 sono state annunciate/attuate 135 misure politiche che hanno inciso sul commercio di alimenti e fertilizzanti. La grande maggioranza di queste misure (74) ha limitato l'export di beni alimentari; 2/3 sono stati divieti totali di esportazione.
Nel 2022 86 nazioni hanno modificato le proprie politiche commerciali sui prodotti alimentari e sui fertilizzanti, in particolare nella regione dell’Europa e dell’Asia centrale. 34 paesi hanno imposto misure restrittive, un numero vicino ai livelli della crisi alimentare del 2008-2012, in cui 36 paesi imposero restrizioni alle esportazioni, contribuendo all’aumento dei prezzi di prodotti di base come grano e riso ben oltre il 30%.
Sperabilmente il picco nelle restrizioni al commercio di beni alimentari in termini di calorie è stato già raggiunto (16,5% delle calorie totali dopo circa 4 mesi dall'esplosione della crisi a fine febbraio 2022) e superato. Da diverse settimane si registra una progressiva eliminazione dei ban alle esportazioni. Il trend di rientro alla normalità sembra più rapido rispetto all'esperienza storica del 2007-2008 (linea blu contro linea gialla), anche se nel complesso lo shock è stato di gran lunga superiore a quello sperimentato nel 2020 durante la fase acuta della crisi pandemica (linea rossa).
In definitiva, i segnali provenienti dai prezzi alla produzione dei beni alimentari restano solidi e confermano il trend di disinflazione avviato a metà 2022. Al momento gli indici che misurano i prezzi al dettaglio del cibo nelle principali economie sviluppate sono ancora ai massimi; ci vorranno 2/3 mesi prima che il calo dei prezzi si possa percepire lungo tutta la catena del valore, portando sollievo ai consumatori europei. Ma ci arriveremo.
Marcello Minenna, DG Agenzia Accise Dogane Monopoli di Stato
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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