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Italia, il governo torna a parlare di privatizzazioni: quali aziende potrebbero essere coinvolte?

Impossibili paragoni con le operazioni di trent’anni fa. L’importante è essere pragmatici come lo fummo allora

di Giancarlo Mazzuca

Manovra, Meloni: "Sarà seria e prudente, senza sprechi"

2' di lettura

Anche se il clima è diverso ed i margini di manovra sembrano ora particolarmente limitati, si torna a parlare di privatizzazioni in Italia per fronteggiare in qualche modo il nostro debito pubblico che avanza. Della possibilità, ne ha discusso, alcuni giorni fa, il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti.

All'indomani, si sono subito scatenate le polemiche anche se, all'atto pratico, l'unica operazione che appare oggi sicura è quella della vendita del pacchetto di maggioranza del Monte dei Paschi di Siena perché, dopo il salvataggio del 2017, sussiste tuttora l'impegno preso con l'Unione Europea di fare uscire la banca dall'orbita pubblica entro il prossimo anno. Peraltro anche questa dismissione non sarà facile perché, all'interno della maggioranza, si è già accesa una discussione tra il vicepremier Antonio Tajani, pronto a ribadire che lo Stato non deve fare il banchiere, ed esponenti della Lega che prendono le distanze sostenendo che la cessione dell'istituto di credito toscano non è all'ordine del giorno.

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Non è quindi assolutamente il caso di ipotizzare un bis delle grandi privatizzazioni di un trentennio fa, artefice l'allora presidente dell'Iri (e, successivamente, premier) Romano Prodi.

Non è possibile fare paragoni tra le dismissioni di ieri e quelle, eventuali, di oggi - e lo stesso Prodi, che ho interpellato, ha detto di non essere in grado di confrontare le sue privatizzazioni con quelle che potrebbero esserci adesso perché oggi non si conoscono ancora le reali intenzioni del governo sull'argomento – ma molti, dopo le dichiarazioni di Giorgetti, hanno comunque rivissuto quella storica stagione.

Tanti addetti ai lavori hanno considerato quegli anni come una vera svolta dell'economia italiana, una drastica cura dimagrante (dalla Stet ad Autostrade, dalla Sme alla Finsider) che consentì alle casse statali di poter avere una seconda giovinezza. Era tale lo scetticismo nei confronti di Iri & C. che questi gruppi venivano comunemente chiamati “pachidermi pubblici” mentre i loro manager erano stati ribattezzati “boiardi di Stato”. Poche le eccezioni: si salvavano solo l'Eni fondato da Enrico Mattei, anche perché controllava direttamente un giornale, e qualche altro gruppo.

A posteriori, abbiamo visto che quelle grandi privatizzazioni, in effetti, non sono state sempre il toccasana che tutti speravamo: è il caso dell'ex-Italsider di Taranto che non è poi riuscita ad invertire completamente la rotta a cominciare dal problema dell'inquinamento. Resta il fatto che, nella stagione d'oro, c'era stata una mobilitazione pressoché generale: chi non ricorda gli sforzi dell'allora direttore generale del ministero del Tesoro, Mario Draghi, che, nel 1992, organizzò pure la famosa crociera sul “Britannia”, lo yacht della regina Elisabetta, alla quale partecipò la “crème” finanziaria ed imprenditoriale di mezzo mondo?

Sembrava veramente una grandissima svolta tanto che, adesso, il governo Meloni potrebbe in qualche modo riprovarci. Comunque andrà a finire, dobbiamo però tenere sempre presente che le privatizzazioni di Prodi, a parte le dimensioni, risalgono ad altri tempi: adesso Giorgetti non avrebbe certo bisogno di ricorrere al panfilo reale per vendere quello che è rimasto dell'argenteria di famiglia dell'Azienda pubblica italiana. L'importante, a questo punto, al di là di tutte le discussioni che ci saranno, è di essere pragmatici come lo fummo allora.


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