«L’Italia ringiovanisca. Oggi per essere credibili bisogna avere almeno 50 anni»
Da una modesta famiglia operaia di Genova, ai sette ristoranti di Londra e all’acclamazione del Guardian: la rocambolesca e accidentata storia del nuovo erede di Giorgio Locatelli
di Simone Filippetti
7' di lettura
Il caleidoscopio di luci multicolori lungo Shaftesbury Avenue a Londra, la via che parte da Piccadilly Circus, sono quanto di più simile a Las Vegas nella vecchia Europa. Una miriade di cartelloni al neon, di insegne elettrificate, di locali, di ristoranti, per tutti i gusti e tutti i portafogli. E' il cuore del West End, il Theater District, il quartiere dei teatri e dei musical. Anche con le restrizioni, la folla riempie i marciapiedi a tutte le ore i marciapiedi. Teatro vuol dire anche mangiare: l'agente esce o entra dagli spettacoli affamata. E accanto ai teatri, nella famosa via c'è forse la più alta concentrazione di locali di Londra. Tra le luminarie accecanti, è un tripudio di finti italiani: da Zizzi, che si vanta di essere “Individually Italian” (qualsiasi cosa voglia dire); a Bella Italia, tutte catene straniere che provano a imitare la cucina italiana. Tra le tante, fin troppe, vetrine finto-italiane, tra un Caffè Concerto, improbabile pasticceria tricolore; e una Bella Italia, altra catena estera italovestita, quella di “Macellaio Soho” è autentica: vero ristorante italiano, che serve carne rigorosamente italiana. Dentro, tra poltrone in pelle versi e boiserie in legno alle pareti che ricordano Keen's, storica steak house di New York, Roberto Costa siede rilassato, e paffuto, a un tavolo del suo ristorante. Veste una simpatica e minimalista felpa blu, con scritto “DAD” (papà), occhialoni con montatura vistosa, barba: il look è da hipster, ma i piccoli tatuaggi sulle dita tradiscono origini agli antipodi: la Genova del porto. L'antipasto con il quale inizia a raccontarsi si chiama “The Beauty & The Best”, midollo caldo dell'osso buco abbinato con ostriche fin de claire, un abbinamento originale che non sfigurerebbe davanti alle creazioni delle chefstar del calibro di Carlo Cracco o Massimo Bottura. Il locale è pieno: non era così due anni fa, o anche lo scorso gennaio. Proprio mente l'Apocalisse incombeva su Londra, e nel West End locali chiudevano per sempre, Costa ha seguito la famosa massima del Barone Rotschild: “Quando il sangue scorre per le strade è il momento di comprare“. Mentre tutti scappavano, per paura, lui ha comprato il locale dove ora racconta la sua storia: “Mi hanno preso per matto: aprire un ristorante in piena pandemia, un investimento impegnativo, il più grosso locale che abbia preso e pure con una storia di insuccessi alle spalle”. Fuori giganteggia il cartellone blu, che occupa l'intera facciata del palazzo, di “Les Miserables”, il musical tratto dal romanzo dello scrittore francese Victor Hugo. E' uno dei musical che a Londra va in scena da 30 anni (è lo spettacolo più longevo assieme Trappola per Topi di Agata Christie), ma per qualche strano motivo, il ristorante ospitato lì dentro non ha mai funzionato. Forse è arrivato il momento di smentire la Storia.
Sbarcato a Londra nel 2012, l'anno delle Olimpiadi, “senza saper parlare una parola di inglese”, ma con tanta gavetta alle spalle e l'atavica abitudine di una terra abituata ai sacrifici e alle difficoltà, Costa è oggi il “re” dei ristoratori a Londra, il nuovo astro nascente. Per anni Giorgio Locatelli è stato il Sovrano indiscusso del fine dining italiano, a Mayfair (e per certi versi continua a esserlo): la sua Locanda, dove si attovagliano il Principe Carlo, Chris Martin dei Coldplay o Madonna quando sono a Londra, ha fatto scuola. Costa è meno glamour, ma più concreto: la sua RC Group ha aperto 6 ristoranti nella capitale, tutti “Macellaio”, e una bottega di bontà italiane, con un piccolo ristorantino segreto nascosto da un frigorifero, chiamata CasaCosta.
Alla domanda se si senta più chef o imprenditore, è spiazzante: “Né l'uno, né l'altro: io sono un cameriere”. Perché quello è scritto nella sua storia. “Ho fatto solo la Terza Media - ammette senza problemi - ho fatto tutto senza un'istruzione. Mi sento un self made Man, ma sento anche che mi manca una base scolastica”. A 15 anni, la madre gli impone il classico Aut-Aut dell'Italia del Dopoguerra: “O vai a scuola o vai a lavorare”. E il lavoro è la trattoria di famiglia. Sembra l'ennesima storia dei tanti self-made man italiani, ma diversamente da tanti connazionali che, in ossequio al motto Nemo Proheta in Patria, esplodono all'estero, partendo da sconosciuti, Costa era già “qualcuno” quando arriva sul Tamigi. Aveva messo in piedi una fortunata di ristoranti di carne, partendo da Genova, chiamata ”Magelà”: 12 locali in tutta Italia, poi chiusi. Roberto viene da una famiglia molto modesta: “Mio padre era un portuale; mia mamma era casalinga”. E' la classe operaia: “Vivevamo in 4 in 50 metri quadrati ma eravamo felici”. Dopo aver passato una vita al porto, nel 1990, l'anno dei Mondiali in Italia, Costa senior decide di usare la liquidazione per aprire una trattoria “I Dui Fre”, i due fratelli. I Costa sfamano la working class per usare un'espressione che l'allora adolescente Roberto ancora non conosce: prezzo fisso a 10mila lire, “era il classico menu popolare Sciuta o Minestrun”, pastasciutta o minestrone. Il giovane soffre: “Mi vergognavo da morire ad andare in servizio in sala, con la picagetta, la tovaglietta, in spalla”. Ora, invece, la sala è il suo habitat naturale.
Come sempre la vita è fatta di incontri e snodi che segnano le strade: per Costa lo snodo, il primo di tanti, si chiama Luca Collami, lo chef del primo ristorante stellato di Genova. “Mi invita d'estate in una tenuta in Toscana: alla vista di un bacato allestito in un casolare, tra i cipressi, ho la folgorazione. Capisco che voglio fare il cameriere a vita”. Col senno di poi, seduto al tavolo della sua più recente creatura, si rende conto che la sua vera fortuna vera è stata “aver capito presto cosa fare nella vita: molti giovani oggi arrivano a 30 anni prima di trovare una strada. Io l'ho presa a 17”. Il 1992 è l'anno fatidico dell'Italia e anche del giovane Costa: la famiglia vende la trattoria e apre il suo primo ristorante in centro assieme al fratello. A Genova, nulla è mai facile: in più, pochi mesi dopo l'inaugurazione, mentre a Milano un signore sconosciuto a Roberto getta milioni di lire nel gabinetto, scoppia Tangentopoli. L'Italia affonda tra corruzione e stragi mafiosi: il ristorante va male. “A 19 anni mi ritrovo pieno di cambiali, più di quanto sia giusto per un giovane di quell'età”. Il fratello lascia Genova per la Francia. Quando torna si rimettono in affari insieme: lanciano il primo bistro in città, “Pagura Bernarda”. È un successo clamoroso, anche perché diventa il ritrovo dei calciatori di Samp e Genoa: “Nonostante il boom, eravamo sempre in bolletta; non avevamo competenze di contabilità o di ragioneria, né tantomeno di gestione aziendale. Vivevamo dei soldi in cassa a fine serata, giorno per giorno, ma così i debiti salivano e i crediti si azzeravano”. Il calcio regala un'altra svolta: nel 2001 il re della vita notturna di Genova, Cosimo de Mercurio, scomparso due anni fa, presenta Roberto al petroliere Alessandro Garrone che assieme al fratello all'epoca erano i patron della Sampdoria e i proprietari della Erg: finanziano l'idea della macelleria-ristorante, il “Maxelà”. “E' un sodalizio che dura tutt'ora: Macellaio a Londra è nato grazie ad Alessandro”. Lo spirito imprenditoriale il “Macellaio” Costa l'ha preso dal padre che avrebbe potuto banalmente godersi la pensione e concedersi qualche agio con la liquidazione, invece di investire i risparmi di una vita per aprire un'attività rischiosa. Mentre parla, si interrompe: “Possiamo fermare l'intervista? Devo andare a salutare la persona che sta entrando” si scusa. Saluta un signore basso dai capelli bianchi che parla con un accento britannico purissimo. Quando si risiede spiega che quello appena seduto è Sir Cameron Mackintosh. Il baronetto, che sprizza il tipico understatement inglese, è il padrone di tutto il teatro (e anche del locale di Costa) nonché di tanti altri immobili nel West End: già nel 1990, quando la famiglia Costa muove i primi passi nella ristorazione, Mackintosh era uno dei più grandi impresari del West End e uno degli uomini più ricchi di Londra. “Ho trattato per 7 mesi l'acquisto del locale” ricorda Costa quando torna al tavolo: già il solo sedersi a trattare con l'establishment inglese è stata una consacrazione. Ma questo non vuol dire che anche Londra la strada non sia stata in salita: quando arrivò, l‘idea era che sarebbe rimasto solo il tempo necessario per far ingranare il locale. E invece non se n'è più andato. Il ristorante era gestito solo da personale inglese: “Erano carenti in cucina e ancor peggio in sala. Io non parlavo inglese e loro non capivano. Sembravo Charlie Chaplin”. Costa licenzia tutti: “Erano quasi contenti. Gli facevo tenerezza. Pensavano che avrei chiuso in pochi mesi”. Ancora una volta, riparte da zero, stavolta però con un approccio manageriale: fa un piano industriale e calcola che deve fatturare almeno 800mila sterline nel primo anno, per stare a galla. “Lavoravo 7 giorni su 7, da mattina a sera, vivevo nel locale. La mattina alzavo la saracinesca e speravo che i clienti entrassero. Non avevo più soldi budget”. Per comprare il locale e assumere lo staff, Costa rimane con appena 256 sterline in banca. Sono passati venti anni, ma è come se fosse sempre l‘eterno 1992. Non è dato sapere se Costa sia credente, ma la domenica di Pasqua del 2013 succede un miracolo. “Me lo ricordo come se fosse ieri. Mi chiamano al telefono e mi dicono: Hai visto il Guardian?” Sul più letto quotidiano della upper class di Londra, la famosa e misteriosa (perché nessuno l'ha mai vista in viso) Marina O'Loughlin, la più influente giornalista gastronomica d'Inghilterra, ha scritto una entusiasta recensione di Macellaio Kensington. Costa fa il tutto esaurito: invece delle 800mila sterline, che sembravano un traguardo impossibile, il primo anno si chiude con incassi per 1 milione e 200mila sterline. “Sa perché è nato il pesto? Perché l'aglio è un disinfettante naturale dei cibi. Bisogna andare alle radici delle cose, soprattutto nella cucina”. E il “genoano fuggiasco” c'è andato: dopo l'originale antipasto, arriva una pregevole carne Fassona. Costa ha fatto innamorare i sofisticati londinesi della carna piemontese: un'altra scommessa che molti giudicavano folle. “Tutti dicono che è il grasso a dare sapore alla carne. E infatti la carne più pregiata al mondo primato è la grassissima Wagyu del Giappone” spiega mentre addenta la costata, innaffiata dal Nero di Rosso, il vino prodotto dal patron della DSL, Renzo Rosso. “La carne fassona è la più magra al mondo. E' buonissima e i londinesi ne vanno matti”. Dalle poltrone in velluto verde del Macellaio, termina il raffinato pranzo con un consiglio al paese: “L'Italia ringiovanisca. Non è possibile che per essere credibili e ascoltati bisogna arrivare a 50 anni”.
loading...