L’Italia spende in sanità pubblica meno dei Paesi europei, mentre sale il giro d’affari dei privati
L’indagine di Mediobanca rivela che i grandi gruppi hanno superato i livelli pre-pandemici, pur con una flessione della reddività negli ultimi anni
di Sara Monaci
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La spesa sanitaria media pro-capite dei paesi dell’Ocse si è attestata a circa $4.350 nel 2020 (9,8% sul PIL). Nel confronto internazionale gli Stati Uniti emergono con $11,9mila per abitante (18,8% sul PIL). L’Italia si colloca sotto la media in termini pro-capite con $3,7mila, mentre risulta allineata in rapporto al PIL (9,6%).
Relativamente alla sola spesa sanitaria pubblic a, il nostro Paese - con il 7,3% sul PIL nel 2020 - si posiziona in Europa dietro a Spagna (7,8%), Regno Unito (9,9%), Francia (10,3%) e Germania (10,9%).
In valore assoluto, la spesa sanitaria pubblica italiana è aumentata a prezzi correnti dai $78,5 miliardi di fine 2002 ai $127,8 miliardi di euro di fine 2021. L’ampia crescita media annua del periodo 2002-2006 (+6,4%) ha poi rallentato al +0,9% tra il 2012 e il 2019, per espandersi ulteriormente con la crisi sanitaria dell’ultimo biennio (+5,1% ).
Nel 2021 il 78,6% ($100,5mld) del valore complessivo è originato dalle strutture pubbliche e il 21,4% ($27,3mld) da quelle accreditate. La spesa erogata da quest’ultime mostra una crescita (+3,2%) superiore a quella dei presidi pubblici (+2,4%) nell’arco temporale 2002-2021, con l’eccezione del periodo emergenziale, segnato da numerose misure di potenziamento del SSN quali il reclutamento di personale, l’ottimizzazione delle prestazioni e l’adeguamento delle infrastrutture. Durante la pandemia la spesa delle strutture pubbliche è salita del 6%, rispetto al +2,1% di quelle accreditate.
Giro d’affari superiore ai livelli pre-pandemici
Dei 24 operatori per i quali sono disponibili i bilanci analitici completi, i giri d’affari sono stati pari a 8,8 miliardi di euro, in crescita del 15,2% sul 2020 e del 6,3% sul 2019. Queste variazioni seguono il calo annuo del 7,8% nel 2020, dipeso dalla sospensione parziale delle attività sanitarie e dal differimento delle ospedalizzazioni programmate non urgenti. Il superamento dei livelli pre-crisi non è stato tuttavia generalizzato: i ricavi sono saliti del 6,7% per gli operatori ospedalieri e del 44,1% per la diagnostica, mentre la ripresa non si è concretizzata per i player della riabilitazione (-0,3% sul 2019) e per i gestori di RSA (-0,2%).
Il valore aggregato della forza lavoro è aumentato del 4,5% nel triennio 2019-2021, sfiorando le 72mila unità nel 2021. I numerosi bandi di assunzione indetti dalle ASL durante la pandemia hanno causato, tra gli operatori privati, una carenza di personale medico e paramedico. Il costo del lavoro aggregato dei maggiori operatori privati è così aumentato del 13,6% nel triennio, in virtù dell'ampio ricorso a personale interinale e all'erogazione di compensi aggiuntivi volti a trattenere i sanitari rispetto alle più allettanti offerte del settore pubblico.
La redditività è in recupero, ma ancora inferiore ai livelli pre-pandemici: le misure di contrasto all’epidemia hanno causato un sensibile aumento dei costi di produzione, solo in parte coperti dai ristori previsti da apposite normative emergenziali. L’ebit margin aggregato è così risultato negativo nel 2020 (-0,6%), ma l’intensa campagna vaccinale e la minor virulenza del Covid-19 hanno consentito il recupero dell’attività clinica e il miglioramento dell’ebit margin salito al 3,7% nel 2021, seppur ancora inferiore al 6,0% del 2019. A livello di singola società, cinque gruppi chiudono in rosso il 2021, rispetto ai dieci nel 2020. Il ROE aggregato è in riduzione dal 7,2% del 2019 al 4,1% del 2021. I valori più elevati sono quelli di Humanitas (17,2%), della molisana Pro.Med (16,6%) e del a (San Raffaele di Roma (12,6%).
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