La burocrazia digitale che frena l’Università
«La burocrazia è male endemico del nostro Paese ma il combinato-disposto del Pnrr (più ministeri coinvolti) e della declinazione digitale la rende spesso impenetrabile e irreversibile»
di Dario Braga
3' di lettura
L’università italiana sta vivendo un momento di grande fermento. Grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), per la prima volta dopo molto tempo, le risorse abbondano. Questa è ovviamente una gran buona notizia. Tuttavia, ci sono anche conseguenze meno positive.
L’arrivo dei fondi Pnrr ha messo sotto stress i ministeri, a partire dal Mur, e, di conseguenza le amministrazioni universitarie. È stato, ed è, necessario ripartire risorse in pochissimo tempo e avviare processi di spesa e di rendicontazione complessi. Si pensi che la sola ammissione al dottorato di ricerca ha richiesto quattro concorsi, e tutti sostanzialmente per lo stesso ciclo, con bandi che hanno coinvolto anche amministrazioni diverse e un grande numero di imprese. Una seconda ondata di borse sta per riversarsi sugli Atenei. Per non parlare dei finanziamenti per posti di ricercatore a tempo determinato, e dei progetti nazionali di ricerca “hub and spoke”, ecc.
Purtroppo, i tempi molto stretti stanno trasformando l’utilizzo delle risorse in un incubo amministrativo. L’indispensabile ricorso a strumenti informatici sta portando a una frenetica “burocratizzazione digitale”. Una burocrazia che va ad appesantire, invece di ridurre, una situazione di sofferenza burocratica già più volte denunciata.
Già oggi, moltissime operazioni che venivano tradizionalmente compiute attraverso l’intermediazione amministrativa (es. appelli d’esame, prenotazioni di aule e spazi, missioni e procedure d’acquisto, rendicontazioni, commissioni di laurea e di dottorato, ecc.) vengono svolte dal singolo docente. Singolo docente che si deve anche preoccupare di aggiornare continuamente.
I dati con cui alimentare i processi di valutazione attivati da Anvur e le banche dati Mur.
La “dematerializzazione digitale” ha portato, in moltissime situazioni, a una lievitazione della documentazione («tanto è solo un pdf da caricare»). Un esempio? Le «linee guida per la rendicontazione destinate ai soggetti attuatori degli interventi del Pnrr Italia di cui il ministero dell’Università e della Ricerca è amministrazione titolare» consta di 60 pagine, sessanta. Le procedure previste, sebbene informatizzate, sono spesso arzigogolate, complesse e ripetitive e ricadono largamente su quel personale docente e di ricerca (i così detti «soggetti attuatori») che dovrebbe occuparsi prioritariamente dell’ottenimento dei risultati di ricerca e non della burocrazia precedente e di quella conseguente.
Un piccolo estratto dalle linee guida: «Il Soggetto Attuatore (…) accedendo al sistema ReGiS deve generare e validare sul sistema del Mef il Rendiconto di progetto ReGiS, aggregato in tal caso a livello di singolo Cup, selezionando le medesime borse già approvate e presenti nel Rendiconto trasmesso al Mur, di cui al paragrafo precedente». Sono convinto che ChatGPT (il software di AI con cui tutti si stanno cimentando al momento) scriverebbe istruzioni più chiare.
Intendiamoci, la burocrazia è male endemico del nostro Paese (e non solo del nostro) ma il combinato-disposto del Pnrr (più ministeri coinvolti) e della declinazione digitale la rende spesso impenetrabile e irreversibile (non c’è un volto umano con il quale dialogare
di là dallo schermo).
La frenesia digitale della burocrazia ha in sé un problema: la produzione “in continuo” di nuove interfacce non consente di mettere sufficientemente alla prova le nuove procedure prima che del loro varo. Spesso l’utente – il «soggetto attuatore» – si trova davanti a maschere user un-friendly, quando non ostili. Credo che non si tratti di un problema di scarsa professionalità informatica quanto di schizofrenia e mancanza di supervisione. La regola aurea dovrebbe essere quella di non consentire il rilascio di procedure senza la verifica preventiva da parte di utilizzatori finali. Chi costruisce la procedura si preoccupa che funzioni e spesso dimentica (vedi sopra) che chi la deve utilizzare ha ben altre competenze.
Inutilmente continuiamo a ripetere che, se docenti e ricercatori devono investire una parte cospicua e crescente del loro tempo in ossessive rendicontazioni e nell’adempimento di operazioni amministrative “delegate”, non possono fare il lavoro per cui sono stati reclutati: fare ricerca, e fare didattica, aggiornarsi, studiare, scrivere ecc.. Tantomeno possono far fruttare bene gli investimenti del Pnrr. Qualcuno dovrebbe ricordarlo anche alle dirigenze ministeriali.
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