strategie personali

La coerenza è un valore fondante per il nostro brand online

Meglio essere, anche e soprattutto online, il più aderenti possibile a chi siamo senza creare realtà aumentate che vanno bene solo nei giochi virtuali

di Francesca Contardi *

(AFP)

3' di lettura

Qualche tempo fa è scoppiato il caso mediatico Alessandro Proto, un personaggio diventato parecchio famoso e con un’enorme seguito di follower su vari siti e social network. Alessandro Proto rappresenta un esempio di come la mancata coerenza tra quello che si racconta e quello che si è in realtà, a un certo punto, viene fuori. Questo caso, direi abbastanza clamoroso, ha un certo riscontro in tantissime piccole occasioni, non troppo lontane da noi. Quanti di noi conoscono qualcuno che dichiara di aver fatto un corso e invece non l'ha completato? Quanti dichiarano di avere una laurea e in realtà sono solo iscritti all'università? Quanti, ancora, modificano le date di ingresso e uscita dalle aziende per coprire i buchi nel curriculum? Quanti, infine, hanno inventato premi mai vinti o attività mai svolte?

Gli aggiustamenti legati alla nostra vita professionale sono chiaramente non coerenti con il reale percorso professionale e bisogna ricordare che, come tutte le bugie, anche questi hanno le gambe corte. Da qualche tempo - e sempre più frequentemente - in particolar modo a livello internazionale, si presta molta attenzione a quella che potremmo definire la reputazione online di un candidato. L’online reputation analysis è una forma di verifica della coerenza tra quanto dichiarato da una persona e quanto si trova, invece, sui social network o altri siti. Effettuando queste verifiche, ad esempio, si confronta se quello scritto sul curriculum corrisponde a quello che viene postato su LinkedIn.

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Spesso non ci si rende conto delle conseguenze che una piccola incoerenza - che magari può anche essere di poco conto - può avere in fase di valutazione. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che nel momento in cui scriviamo qualcosa (online o sul cv) stiamo creando un rapporto di fiducia con chi ci legge. Prendiamo, ad esempio, il caso della comunicazione di aziende famosissime che sostengono di essere totalmente contrarie (giustamente, direi) al lavoro minorile e poi si scopre che una parte dei loro prodotti, invece, viene creata in paesi che sfruttano i più piccoli. Come ci sentiamo? Proviamo una sensazione di tradimento, come se la promessa fatta non venga mantenuta.

Cosa può succedere? Potrebbe capitare che qualcuno smetta di acquistare i prodotti di quel brand. Certo, modificare una data o dichiarare di aver finito un corso anche se non è vero non è grave come far lavorare dei bambini, ma chi legge si fida di una certa persona e se scopre che ha mentito si può creare una rottura altrettanto importante. Difficile poi da risanare. Ognuno di noi, con l’apertura dei vari profili social, ha creato un vero e proprio brand di se stesso. E la possibilità che una piccola bugia possa essere smascherata è cresciuta esponenzialmente.

Chi ricorda di quel famoso politico che inveiva contro esponenti di altri partiti che raccontavano falsità e poi si è scoperto che lui per primo aveva dichiarato una laurea mai presa? Da quel momento è scomparso dalla scena della politica italiana. La mancanza di un titolo di studio non comprometteva le sue capacità politiche, ma aver mentito ha rotto il rapporto di fiducia con i suoi sostenitori irrimediabilmente. Se noi online scriviamo qualcosa ci rendiamo garanti che quello che stiamo dichiarando sia veritiero. Se bluffiamo, chi se ne accorge potrebbe perdere completamente la stima in noi. Meglio essere, anche e soprattutto online, il più aderenti possibile a chi siamo, senza creare realtà aumentate che vanno bene solo nei giochi virtuali.

* Managing Director di EasyHunters

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