La formazione (digitale) una chiave per vincere nella knowledge economy
Fattore chiave per fidelizzare e motivare le risorse, operare il re-skilling del personale e preparare l’organizzazione alle nuove sfide di mercato
di Gianni Rusconi
4' di lettura
I processi di apprendimento in azienda sono cambiati radicalmente negli ultimi due decenni, privilegiando strumenti digitali interattivi, disponibili on demand e su dispositivo mobile a modelli statici e basati sul concetto di classe con insegnanti. La maggioranza delle organizzazioni, e soprattutto dove la cultura della digitalizzazione è più consolidata ed il processo di digital trasformation sta procedendo più speditamente, vede nel digital learning una metodologia più rilevante e più efficace rispetto ai sistemi di formazione tradizionali perché è maturata la consapevolezza di non poter più aspettare il manifestarsi di nuove esigenze, ma di essere obbligati ad anticiparle, operando in modo proattivo.
Il cambiamento, e la pandemia di Covid-19 ce lo ha ribadito in modo evidente, è così rapido che, per rimanere competitive, le imprese devono agire tempestivamente, aggiornando non solo i propri modelli di business ma anche quelli formativi. E la formazione digitale, secondo vari addetti ai lavori, è da considerarsi un fattore chiave proprio perché, oggi come mai, è necessario fidelizzare e motivare le risorse, operare il re-skilling del personale e preparare i team dell’organizzazione alle nuove sfide del mercato.
Per farlo non bastano, ovviamente, le sole tecnologie, e non basta un ambito culturale più maturo: se non si vuole ridurre il digital learning a mera formazione su internet, serve mettere in campo competenze altamente sviluppate. Ne abbiamo parlato con Marcello Ricotti, Ceo del Gruppo Ariadne Digital, nome storico della formazione digitale in Italia.
Creare valore con il digital learning: come si evita di viverlo come una moda?
Il nostro è un settore in cui spesso si utilizzano delle definizioni più legate alla moda del momento che all’effettivo loro significato. Un tempo c’era la formazione a distanza, poi la formazione online, poi l’e-learning e adesso va di gran moda il digital learning. Al di là di come si interpretano queste definizioni, credo che la differenziazione da fare sia tra formazione in cui c’è una distanza fisica tra utente e docente e in cui la tecnologia non fornisce alcun valore aggiunto se non sopperire a questa distanza/assenza e la formazione in cui la tecnologia viene utilizzata per migliorare l’apprendimento, rendendo gli utenti parte attiva nel processo formativo. Una formazione di questo tipo implica un processo continuo e creativo per la definizione di modelli didattici che comprendono storytelling, gamification, approccio immersivo e si dimostrano in grado di utilizzare al meglio le innovazioni tecnologiche per rendere più coinvolgente e quindi efficace l’apprendimento.
Per questo servono competenze dedicate?
Le competenze da mettere in campo sono diverse e variegate e spaziano da profili di natura più tecnologica per dare solidità alle soluzioni da implementare a profili più “creativi” per disegnare modelli e calarli sul singolo caso di studio. Le figure centrali sono senza dubbio l’instructional designer per la progettazione dei contenuti e dei percorsi formativi, lo UX designer per la progettazione della user experience e il visual designer per la progettazione grafica. Si tratta di professionisti che, per svolgere al meglio il proprio compito, hanno bisogno di avere un rapporto continuo con le aziende interessate ad adottare una soluzione di digital learning, in quanto i risultati della formazione devono essere monitorati ed analizzati per poter capire i punti da migliorare e le evoluzioni da apportare.
Il digital learning è un fattore chiave del nuovo welfare aziendale?
Sono fermamente convinto che la vera ricchezza delle aziende siano le persone e le loro competenze. Le aziende possono provare a capitalizzare le conoscenze e a metterle a fattor comune, ma le competenze no. La competenza è una conoscenza sperimentata sul campo ed è intrinsecamente legata alle persone che l’hanno attuata e che aggiungono ad ogni situazione anche le loro capacità personali. Investire sulle persone e sul loro benessere non è dunque soltanto giusto, ma anche utile per salvaguardare la ricchezza aziendale. La formazione in generale, e il digital learning in particolare, rappresentano senza dubbio una modalità intelligente di investire sulle persone, ma si deve trattare di formazione di qualità e si deve andare incontro alle esigenze di flessibilità che hanno le risorse. Il digital learning, se progettato e implementato per rendere la formazione quanto più personalizzata alle singole esigenze, può diventare una delle icone della nuova generazione di welfare aziendale.
Gli Hr manager sono realmente pronti a cavalcare questo paradigma?
Se mi avesse posto questa domanda prima della pandemia le avrei risposto che sì, gli Hr manager hanno ben chiaro quale sia il potenziale del digital learning per l’upskilling ed il reskilling del personale. Ma le avrei anche detto che in pochi sono pronti a trovare il modo giusto per proporre questo nuovo approccio alla formazione a figure che nella maggior parte dei casi vedono i corsi online come qualcosa di noioso, se non inutile e da dover fare per forza. Il 2020 è stato però l'anno della svolta per la vera trasformazione digitale: il Covid-19 ha costretto le organizzazioni ad adottare il lavoro a distanza e la nuova normalità potrebbe favorire l'adozione di questo nuovo paradigma. Quindi se prima il problema per l'Hr era sostanzialmente quello di avere di fronte dipendenti poco entusiasti del digital learning, da adesso in poi il problema sarà quello di organizzare un digital learning davvero coinvolgente e tale da soddisfare le esigenze e le aspettative dei dipendenti. È un grande cambio di prospettiva, e un’opportunità che - se colta - darà alle aziende uno strumento in più per attrarre e mantenere talenti.
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