ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùCommercio

La globalizzazione è viva ma dopo la guerra in Ucraina è molto più selettiva

Le divisioni emerse con il conflitto si stanno coagulando in due schieramenti politicamente coesi e integrati sul fronte economico

di Gianmarco Ottaviano

 A Bozhou l’International museum day è l’occasione per diffondere la conoscenza della medicina tradizionale cinese

4' di lettura

L’apice della globalizzazione è ormai alle nostre spalle? Anche se molti se ne dicono convinti, dare una risposta a questa domanda non è facile. Dal punto di vista degli scambi commerciali tra Paesi, globalizzazione vuol dire che tutti commerciano con tutti. Questo genera una fitta rete di connessioni dirette e indirette, che in inglese si chiama World trade network. Per immaginare che cosa sta succedendo alla globalizzazione e quindi che cosa accadrà alle relazioni internazionali, occorre capire come questa rete evolverà a fronte degli eventi epocali che stanno segnando questo primo quarto di secolo, dagli attentati dell’11 settembre (2001) alla crisi finanziaria (2008), dalla guerra commerciale (2018) alla guerra militare (2022, per indicare solo l’ultima di tante date funeste), passando per la pandemia (2020). Da questo punto di vista, non ci stiamo facendo mancare nulla, come i nostri bisnonni nella prima metà del secolo scorso.

Il problema è che visualizzare in modo intelligibile la rete degli scambi mondiali è un’impresa ardua anche per i più sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale. C’è però un modo semplice per farlo in modo molto approssimativo ma anche intuitivo, a partire dalle nostre esperienze quotidiane. Chi più chi meno, siamo tutti connessi nei social network, reti di relazioni sociali in cui ognuno di noi è un nodo collegato ad altri nodi, rappresentati i nostri amici o semplici conoscenti. Chiamiamoli tutti “seguaci” per semplicità. L’intensità della connessione tra un nodo e un suo seguace dipende dal volume di informazioni trasmesse dal primo al secondo. Tra i nodi ce ne sono alcuni che sono più importanti di altri perché hanno molti seguaci e perché trasmettono molte informazioni. La complessità del network nasce dal fatto che chi viene seguito è normalmente a sua volta un seguace di qualcun altro.

Loading...

Come capire quali sono i nodi più importanti della rete? Il nodo più importante per me è quello da cui ricevo e a cui invio più informazioni. Analogamente, i nodi più importanti per un social network sono quelli da cui i suoi membri da cui ricevono e a cui inviano più informazioni. Tali nodi sono i “centri” della rete.

Questo semplice concetto di centralità può essere applicato agli scambi internazionali, per vedere come sono cambiati negli ultimi decenni i centri del World trade network. Andiamo di trent’anni in trent’anni. Nel 1960 c’erano quattro centri connessi tra loro e un quinto centro che stava per i fatti suoi con pochi seguaci altamente selezionati. I quattro centri interconnessi erano, in ordine decrescente di importanza, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania Occidentale e la Francia. Il secondo e il quarto in virtù dei rapporti privilegiati con le loro ex colonie. Il terzo per la sua preminenza sull’Europa e il primo per la sua dominanza globale. Il centro isolato dagli altri centri era l’Unione sovietica circondata dai suoi alleati.

Passano trent’anni e nel 1990 le cose sono cambiate drasticamente. Francia e Germania restano centrali in Europa, mentre il Regno Unito ha perso terreno diventando un centro di secondo livello subordinato alla Germania, più o meno come l’Italia. Anche il mondo sovietico, ormai prossimo alla dissoluzione, ha cominciato ad avvicinarsi all’orbita tedesca. Gli Stati Uniti dominano il resto del mondo interagendo soprattutto con il Giappone, diventato nel frattempo il primo centro asiatico di rilievo globale. Un altro centro asiatico si sta però affacciando sulla scena, per ora con un pugno di seguaci. Si tratta della Repubblica popolare cinese.

Procediamo di altri trent’anni e siamo ai giorni nostri. Nel 2001 la Repubblica popolare cinese entra nell’Organizzazione mondiale del commercio e non ce n’è più per nessuno. Ma andiamo in ordine. In Europa la Germania consolida il suo ruolo di centro dominante, mentre il Regno Unito si lega sempre più agli Stati Uniti. Questi nel 2020 cedono lo scettro di Paese centrale del commercio globale alla Cina, circondata da un numero crescente di centri di secondo livello che la connettono in modo privilegiato a varie parti del mondo. Tra questi spiccano alcuni Paesi del G20 come Australia, Brasile, India e Sudafrica, ma anche la Russia.

Pur nella loro estrema sintesi, questi cambiamenti nel tempo dei Paesi al centro del commercio mondiale ci permette di capire molte cose. Per esempio, ci fanno capire l’origine delle tensioni economiche tra Cina a Stati Uniti, scaricatesi nella guerra commerciale dichiarata alla prima dai secondi nel 2018, quando l’amministrazione Trump impose dazi per oltre 360 miliardi di dollari sulle importazioni dalla Cina, nel tentativo di incoraggiare gli americani ad acquistare prodotti nazionali. La risposta cinese fu l’imposizione di dazi speculari su oltre 110 miliardi di dollari di importazioni dagli Stati Uniti.

L’evoluzione della centralità dei Paesi negli scambi internazionali ci fa capire anche che cosa possiamo aspettarci sul futuro della globalizzazione. La guerra commerciale tra Pechino e Washington è ancora in corso. L’amministrazione Biden non ha dato grandi segnali di discontinuità rispetto a quella che l’ha preceduta. I dazi sono restati al loro posto, danneggiando entrambi i contendenti e altri Paesi legati alle loro catene del valore. Di fronte all’irrigidimento delle reciproche posizioni di due dei tre centri globali (il terzo è l’Europa), può sembrare naturale pensare che l’apice della globalizzazione sia ormai alle nostre spalle.

Il comportamento dei Paesi del G20 riguardo alla guerra in Ucraina offre un’opportunità di immaginare il futuro delle relazioni internazionali. Prendiamo, ad esempio, il recente voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in merito alla sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani. La Russia ha votato contro e con essa la Cina che è il suo principale partner commerciale. Tra gli altri Paesi del G20, quasi tutti quelli che si sono astenuti (Arabia Saudita, Brasile, India, Indonesia e Sudafrica) hanno la Cina come principale partner commerciale. L’unica eccezione è il Messico, che ha votato contro pur gravitando nell’orbita commerciale degli Stati Uniti. Ci sono poi Paesi (Australia, Corea del Sud e Giappone) che hanno votato a favore sebbene il loro principale partner commerciale sia la Cina. I Paesi europei, inclusa la Turchia, hanno votato compatti a favore.

In prospettiva, se questo comportamento divergente diventasse la norma, si potrebbero consolidare due schieramenti di Paesi, più integrati economicamente e coesi politicamente al proprio interno che tra loro. Se così fosse, l’apice della globalizzazione non sarebbe alle spalle. Non ci sarebbe deglobalizzazione, ma riglobalizzazione selettiva tra amici piuttosto che tra semplici conoscenti.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti