La grande battaglia dei formati: i video brevi mangiano il web
Youtube short, i reels di Zuckerberg e TikTok hanno ridisegnato i nostri consumi digitali. E i brand ripensano le strategie: quattro giovani su dieci effettuano più ricerche video che su Google
di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano
4' di lettura
Non ci sono più le ricerche di una volta. Perché anche per quelle effettuate online dagli studenti di oggi si registra un cambio di paradigma che segna un’evoluzione dei consumi digitali a favore della fruizione del video. La conferma arriva dal Brainstorm Tech, evento organizzato in casa Google. Prabhakar Raghavan, vice-presidente del colosso di Mountain View e responsabile del suo sistema di ricerca, ha evidenziato come la generazione Z adotti sempre di più piattaforme come TikTok e Instagram, perdendo l’abitudine di fare ricerche online in modo tradizionale a favore di contenuti immersivi e videocentrici.
Già oggi il 40% dei giovani americani tra i 18 e i 24 anni, quando sono a caccia di un posto dove mangiare, non vanno più su Google Maps ma sulle videorecensioni. Ma c’è dell’altro. Quello che si sta verificando è una convergenza tra schermi – dagli smartphone a quelli immersivi dei canali cinematografici – sull’uso evoluto dell’elemento video. Nell’estate appena passata, con i cinema ancora in sofferenza per la pandemia, Sony ha voluto promuovere l’uscita del suo nuovo film Bullet Train, diretto da David Leitch e con il coinvolgimento di Brad Pitt, creando la più grande attivazione di campagna pubblicitaria per un singolo film mai implementata da un distributore cinematografico su TikTok.
Solo in Italia a più di 15 creator è stato chiesto di interagire con uno spezzone del film in una personalizzazione senza precedenti e di mostrare il proprio stile personale per promuovere la pellicola in pochi secondi.
Video snack asso-pigliatutto
“TikTok ha divorato Internet”: così ha titolato il Washington Post pochi giorni fa, raccontando come l’app abbia aperto la strada ad una nuova era di attenzione istantanea e parcellizzata, segnata dallo scroll continuo e da una relazione più intima e costante con le video star in formato verticale. «In cinque anni l’app, una volta liquidata come moda passeggera, è diventata uno dei colossi più importanti, discussi, sofisticati e geopoliticamente complicati. Un fenomeno che si è assicurato una comprensione impareggiabile anche da un punto di vista culturale e nella quotidianità dei consumi online. Nessuna app è cresciuta più velocemente arrivando ad intercettare oltre il miliardo di utenti, con più di cento milioni di loro negli Stati Uniti», ha scritto Drew Harwell sul Washington Post.
La battaglia dei formati
Uno, nessuno, centomila e più video su una pluralità di piattaforme, ma meglio se snack, quindi corti e con un forte potenziale di viralità. TikTok, YouTube Shorts, i Reels di Instagram: ecco il boom che parte dal flusso breve di immagini e che atterra sulle chat partecipate. Sembra che si sia ormai avverata la profezia di Nicola Mendelsohn, vice-presidente di Meta e da tempo braccio destro di Mark Zuckerberg, che già tre anni fa teorizzava come il futuro dei social e in particolare della galassia di Facebook sarebbe stato caratterizzato da “video, video, video”.
Un boom delle micro-narrazioni multimediali che intercetta più pubblici in modo trasversale e che si declina in più formati snack, tracimando nelle varie piattaforme in un flusso senza soluzione di continuità. «I deficit di attenzione di cui risentiamo in un mondo iperconnesso ci portano a preferire i video come forma privilegiata di contenuto perché sono in grado di innescare un impatto emotivo immediato, che suscita a sua volta una reazione che può essere facilmente condivisa sui social utilizzando gli smartphone, come e quando vogliamo. E visto che la capacità di restare concentrati online diminuisce drasticamente, la maggioranza degli utenti preferisce i video di minore lunghezza, a cui reagire con commenti o altri video brevi, in una forma digitale di socialità partecipata», afferma Ester Corvi, autrice di “Streaming Revolution”, edito da Flaccovio.
Video e brand
Intanto i numeri raccontano di una corsa inarrestabile e di una ridefinizione costante delle strategie di marketing dei brand, con una virata senza precedenti in formati che prediligono l’utilizzo del video corto, declinato tra dinamiche di co-creazione, intrattenimento e gamification. Ecco allora il video snack non più accessorio, ma parte integrante del marketing mix.
Lo confermano anche i numeri: oltreoceano il mercato del video advertising raggiungerà quest’anno i 50 miliardi di dollari secondo la stima di Kantar con la ricerca Multichannel Brand Impact. Già oggi il 59% degli utenti esposti ad un annuncio video ha espresso una preferenza per il brand, rispetto al 50% dei partecipanti con un’esposizione alla sola piattaforma social, generando un miglioramento della brand awareness del 26%.
Intanto un recente studio di Inmar Intelligence ha evidenziato come oltre il 70% degli intervistati abbia dichiarato di guardare regolarmente video in formato breve. Così i video snack fanno gola ai colossi di Internet. YouTube ha lanciato la sua offensiva anche con un sistema di monetizzazione più aggressivo per i suoi Shorts, che durano al massimo un minuto. La svolta è arrivata a meno di due anni dal lancio del formato di video verticali brevi, che hanno raggiunto ben 30 miliardi di visualizzazioni al giorno per 1,5 miliardi di utenti connessi al mese.
La battaglia dei formati si combatte anche in casa Meta: secondo un report interno ripreso dal Wall Street Journal, TikTok sta battendo anche Instagram. Gli utenti del social fotografico trascorrono 17,6 milioni di ore al giorno sui Reels, mentre su TikTok sono 197,8 milioni le ore quotidiane, ossia dieci volte di più. «Le strategie marketing hanno da tempo messo al centro l’importanza dei video online, non solo per incrementare la credibilità e la notorietà del marchio, ma per veicolarne i valori e intercettare community. Inoltre i video online sono determinanti per attrarre la generazione nativa digitale che, basandosi su una cultura on demand, si aspetta non solo annunci personalizzati, ma anche una logica di programmazione. Ma l’attenzione è l’altra faccia della frammentazione dell’audience, che porta alla moltiplicazione dei contenuti, in uno sforzo sempre più avanzato di personalizzazione. In generale i tratti dei video che oggi dominano sono contenuti brevi e storie a ripetizione che creano una forma più o meno pericolosa di dipendenza», conclude Corvi.
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