Vermeer: ad Amsterdam una mostra che fa “storia”
L’esposizione al Rijksmuseum presenta 28 delle 37 tele esistenti dell’artista e analizza come l’uso di strumenti ottici e l’influsso dei gesuiti siano visibili in molti aspetti delle opere
di Stefano Biolchini
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«In principio era la veduta. No, in principio era il piccolo lembo di muro giallo»! Parafrasando la celebre critica gramsciana, è prendendo a prestito le insuperate parole del morente scrittore Bergotte che ha necessariamente inizio questa recensione. Perché chi mai meglio del più ricercato scrittore parigino seppe intendere e descrivere il maggior capolavoro di Johannes Vermeer, Veduta di Delft (L’Aia, Mauritshuis)? «Il aurait fallu passer plusieurs couches de couleur, rendre ma phrase en elle-même précieuse, comme ce petit pan de mur jaune», scriveva in La prisonnière. Del pittore olandese Proust apprezzava la dedizione generosa che lo portava a «ricominciare venti volte qualcosa che susciterà un’ammirazione così poco importante per il suo corpo divorato dai vermi, come il lembo di muro giallo dipinto con tanta sapienza e raffinatezza da un artista ignoto, identificato appena sotto il nome di Ver Meer». Strano destino quello del maestro di Delft, se appena poco più di un secolo fa i suoi conterranei - furono i francesi che lo ri-scoprirono con gli studi Théophile Thoré, e poi Jean-Louis Vaudoyer - lo identificavano appena.
All’artista dalla biografia oscura, e che giustappunto passerà alla storia dell’arte come la «Sfinge di Delft», il Rijksmuseum di Amsterdam dedica, fino al 4 giugno, la mostra intitolata Vermeer, con eccezionalmente presenti 28 delle sue 37 opere esistenti. «Il pittore morì giovane (1632-1675) e lasciò un corpus di opere relativamente esiguo», spiega Taco Dibbits, direttore generale del museo. «Nel 2015, ad esempio, Frans Grijzenhout - all’epoca professore di Storia dell’arte all’Università di Amsterdam - è stato in grado di identificare in modo convincente l’ubicazione di La stradina (Amsterdam, Rijksmuseum), grazie alla sua profonda competenza archivistica. I risultati della sua incredibile storia poliziesca sono stati presentati in una pubblicazione di grande interesse per gli specialisti e per il pubblico in generale».
Una nuova prospettiva sulle vecchie fonti ha guidato anche la minuziosa ricerca di Gregor J. M. Weber, curatore della mostra, che si è concentrato sul côté cattolico di Johannes Vermeer. È noto che l’artista, cresciuto protestante, sposò la cattolica Catharina Bolnes e visse con la sua famiglia in un quartiere di Delft chiamato significativamente Papenhoek (l’angolo dei papisti), proprio accanto a una missione dei gesuiti. Tuttavia, l’impatto che ciò può aver avuto sulla sua pittura è stato raramente esaminato fino ad ora. «È stato precedentemente trascurato che gli strumenti ottici, in particolare la camera oscura, hanno svolto un ruolo importante nella letteratura devozionale dei seguaci di Sant’Ignazio - argomenta il curatore -. Lo consideravano un modello dell’occhio umano e quindi in grado di illustrare il processo della visione e contemporaneamente il funzionamento della luce come metafora di Dio... Vermeer ebbe certamente contatti con i suoi vicini gesuiti sull’Oude Langendijk e tali osservazioni, molto probabilmente, hanno occupato i suoi pensieri». Nella calvinista Olanda certe “vicinanze” non giovano…
Elemento centrale dell’indagine di Weber è stata dunque la luce, protagonista indiscussa della pittura del capo della Gilda di Delft. Ma qui si tratta di una luce (divina), che riveste un significato fondamentale nella letteratura devozionale dei gesuiti e di cui essi visualizzavano gli effetti in innumerevoli “emblemi” utilizzando fenomeni e strumenti ottici, con un particolare interesse per la camera oscura. Paradigmatico è in tal senso Allegoria della Fede cattolica (New York, Metropolitan Museum of Art, Collezione Friedsman), con l’ampio uso dell’azzurro tratto dall’Iconologia di Cesare Ripa a rappresentare il Paradiso e quella sfera di vetro sospeso con un nastro (l’uovo della grande Pala di Brera di Piero della Francesca?) a simboleggiare Dio, cui fa da contraltare il globo terrestre sotto il piede della Fede, a indicare la Chiesa cattolica, mentre il “Cristo” della pietra angolare schiaccia il serpente. Spiega Weber: «Il significato è chiaro: la sfera è un corpo fisico limitato. È in grado, tuttavia, di riflettere su se stesso l’intero, incommensurabile universo. Così è lo spirito umano abilitato, attraverso la sua fede, ad afferrare più di quanto possa effettivamente capire. Nel quadro, parti delle finestre lucenti e i colori luminosi della stanza si riflettono nelle trasparenze della sfera. Vermeer non si occupa di rappresentare una miniatura perfettamente distorta dell’interno (come facevano gli altri pittori dell’epoca), ma anzi, opera in maniera tremendamente concentrata, con le riflessioni della luce dall’interno. Facendo ciò, conferisce alla luce stessa il ruolo principale in questo emblema della Fede secondo la dottrina dei Gesuiti». E dopo la sfera, altro approfondimento merita la perla della Ragazza con il turbante (L’Aia, Mauritshuis). Secondo l’altro curatore della mostra, Pieter Roelofs, «si tratterebbe in realtà di un’opalescente e luminosa perla veneziana in vetro», e non delle rare, e anche allora costosissime, perle naturali. E così, dopo la vertigine di una esposizione assoluta e sulle tracce di una biografia impossibile, come uno “Scottie” di hitchcockiana memoria, il ritorno alla Delft da cui tutto è cominciato, si fa tappa obbligata.
Al Museum Prinsenhof è la mostra dal titolo La Delft di Vermeer, mentre il percorso Discover Vermeer’s Delft accompagna i visitatori sulle orme della vita dell’artista. Giunti sul canale che circonda la città, la ricerca diventa spasmodica: la più celebrata fra le tettoie non c’è più e il mistero della «Sfinge di Delft» resta tale, muro giallo compreso. Tuttavia, il panorama che si specchia sul canale, quello che vedeva Vermeer e incantò Bergotte in un’epifania totalizzante, ha ancora immutati riflessi di luce. Qui è per sempre la Veduta di Delft, con il suo pointillé a creare l’insuperato effetto trasparenza dei colori. Ritorno a Proust e alla sua icastica lettera: «Il dipinto più bello del mondo».
Vermeer
Amsterdam, Rijksmuseum
La Delft di Vermeer
Delft, Museum Prinsenhof
Entrambe le rassegne fino al 4 giugno
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