italia fase 3

La moda toscana perde il 40% degli ordini

Le aziende hanno lavorato a maggio e giugno per smaltire gli arretrati. I negozi sono chiusi o vuoti: in attesa della domanda il settore è a ritmo ridotto

di Silvia Pieraccini

3' di lettura

Il trasferimento (in atto) del quartier generale del marchio Roberto Cavalli da Firenze a Milano, per decisione della nuova proprietà araba Damac Properties, non ha solo portato all’uscita di 100 dipendenti dalla maison. Ha prodotto anche una ferita dolorosa all’industria toscana della moda, un sistema da 15 miliardi di export alle prese con una delicata fase post-Covid.

Per la locomotiva dell’economia regionale e del made in Italy di lusso, la fase 3 è assai diversa da come era stata immaginata.

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Orizzonte grigio

Le aziende hanno lavorato in maggio e un po’ in giugno, per smaltire gli ordini dell’autunno-inverno 2021, ma ora che stanno ultimando le consegne, l’orizzonte è grigio. «Il problema grosso arriva adesso, perché la ripartenza è lentissima», dice Azzurra Morelli, titolare dell'azienda di abbigliamento PelleModa di Empoli che produce per i grandi marchi (46 milioni di fatturato 2019) e vicepresidente di Confindustria Firenze.

Le produzioni di tessile, abbigliamento, concia, borse, scarpe e gioielli, organizzate in filiere formate da centinaia di imprese che impiegano 130mila persone, sono in gran parte in standby, sospese. Si lavora a ritmo ridotto, con i dipendenti in cassa integrazione a rotazione, in attesa degli ordini. Soffrono i terzisti e soffrono i grandi marchi per mancanza della domanda: i negozi di moda, in gran parte del mondo, sono chiusi, vuoti o con pochi clienti.

«Un mese e mezzo di sospensione della produzione per l’emergenza sanitaria ha ritardato le collezioni della primavera-estate 2021 – spiega David Rulli, pellettiere terzista e presidente della sezione Moda di Confindustria Firenze – e alcuni brand hanno deciso ad esempio di non fare le linee cruise. In ogni caso, i numeri oggi non sono quelli a cui eravamo abituati negli ultimi dieci anni».

Le previsioni

La previsione è che il 2020 si chiuda con cali di fatturato compresi tra il 30 e il 40%, sempre che non ci sia una ripresa della diffusione del virus in autunno. Già il primo trimestre, che non è stato praticamente toccato dalle chiusure aziendali (disposte dal 23 marzo), ha visto l’export della moda in forte contrazione: giù del 23% borse e scarpe, che negli ultimi anni avevano trainato le vendite all’estero della Toscana; giù i filati e tessuti (-11%); giù i gioielli (-14%). Calo contenuto per l’abbigliamento (-1,6%), mentre crescono (+24%) gli articoli in maglieria. Ma il primo trimestre è solo un assaggio di quello che si attende nel secondo, condizionato dal fermo delle aziende. E i prossimi mesi sono dominati dall'incertezza.

«La situazione è bruttina - dice Francesco Marini, imprenditore pratese del tessile e vicepresidente di Confindustria Toscana nord (Prato, Pistoia, Lucca) -. A breve termine c’è poco lavoro, solo un po’ di pronto-moda invernale, ma gli ordini sostanziosi per l’estivo, quelli che fanno girare il distretto, ancora non si vedono: i nostri clienti hanno stock di capi che non sono arrivati nei negozi e dunque aspettano il più possibile per fare gli ordini per poi chiedere consegne più veloci, aspetto che potrebbe avvantaggiare il distretto pratese abituato alla flessibilità».

Aperture in agosto

In questo scenario, l’apertura delle aziende nel mese di agosto non sarà una scelta imprenditoriale ma una necessità legata o meno alla presenza di ordini.

Ma la “rivoluzione” Covid rischia di avere effetti ben più profondi: «L’incognita è quante collezioni ci saranno d’ora in poi nel nostro settore – afferma Azzurra Morelli – perché se i marchi decideranno di fare due linee all’anno, più sostenibili sia sul fronte ambientale che su quello delle risorse umane, l’impatto su una filiera abituata a produrre quattro collezioni l’anno più sei “flash” sarà fortissimo. Questo aggiunge incertezza a un periodo già molto negativo».

A settembre Morelli si aspetta ordini inferiori nell’ordine del 30-40%: «La vera ripresa non ci sarà nemmeno nel 2021, speriamo almeno che la cassa integrazione venga prorogata fino a dicembre». Il timore è per le aziende meno strutturate, che hanno poca liquidità. «Finora hanno resistito – conclude Rulli – ma non hanno davanti un periodo facile».

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