La negoziazione: una competenza preziosa e trasversale ai ruoli aziendali
Senza acquisire uno spirito di osservazione critica persisteremo negli errori e continueremo quindi a lasciare sul piatto tempo, soldi, benessere
di Lorenzo Cavalieri *
5' di lettura
Un tempo la negoziazione era prerogativa esclusiva di alcuni ruoli e di alcune figure professionali specifiche. Oggi faremmo fatica a individuare quei lavoratori che non sono chiamati a negoziare nello svolgimento della loro attività. Nel mondo del lavoro del terzo millennio le competenze negoziali sono sempre più importanti. Alle persone vengono affidati non più compiti ma obiettivi, da perseguire con crescente autonomia e creatività. Se a Fantozzi dicevano “c’è da fare questo, ne ho bisogno per le 5 sulla mia scrivania”, oggi a qualunque ruolo esecutivo diremmo: “c’è da ottenere questo, vedi tu come fare, quando hai novità rilevanti aggiornami”.
Le competenze negoziali, infatti, in azienda sono sempre più preziose, trasversalmente rispetto a ruoli e funzioni, per almeno cinque fattori:
1) Nell’attuale mondo del lavoro molte figure professionali sono state riconvertite da ruoli tecnici e amministrativi a ruoli commerciali e di gestione diretta della clientela.
2) È aumentato il numero di consulenti free lance e lavoratori autonomi, professionisti che non devono recepire le istruzioni di un capo, ma devono confrontarsi e negoziare continuamente con i loro clienti.
3) Nelle multinazionali e nelle grandi organizzazioni si lavora per progetti. A tal fine, vengono strutturati gruppi di lavoro in cui si ritrovano a operare colleghi che appartengono a funzioni diverse, clienti, fornitori, consulenti. Questi team prevedono l’esistenza di coordinatori che, tuttavia, non sono dei capi gerarchici. Di conseguenza, il buon esito dei progetti è legato alle capacità negoziali e creative di tutti i soggetti coinvolti.
4) In una dimensione di competizione globale, e dunque della pressione sui margini di redditività delle imprese, strappare un centesimo in più in una trattativa o accorciare di mezz’ora il tempo di consegna di un servizio o di un documento può letteralmente fare la differenza. Se l’attività commerciale al civico 50 resta aperta mentre il concorrente nella via parallela chiude, probabilmente è perché, nelle centinaia di negoziazioni della sua quotidianità, centimetro per centimetro, la prima è andata a rosicchiare piccoli preziosissimi guadagni che le hanno consentito la sopravvivenza.
5) Le organizzazioni per stare sul mercato devono correre veloci. Se un capo è costretto a intervenire in modo decisivo su qualsiasi argomento perché i suoi collaboratori non riescono a trovare in autonomia soluzioni negoziali quella struttura diventa inefficiente e di riflesso l’organizzazione nel suo complesso perde competitività: “Dai non vi posso stare dietro su tutto, non posso decidere tutto io. Voi non vi mettete d’accordo e poi dobbiamo convocare 7 riunioni e alla fine devo decidere tutto io. Perdiamo tutti un sacco di tempo”. In sostanza saper negoziare bene è sempre più decisivo.
Prima di dedicarsi allo studio delle tecniche di negoziazione però bisogna inquadrare 3 concetti fondamentali che condizionano il nostro modo di vivere la negoziazione sul lavoro e fuori dal lavoro.
1) Spesso mi capita di sentire persone che dicono: “guarda, giochiamo a carte scoperte visto che a me non piace negoziare”. Questa frase ci dice molto su un certo modo di vedere la negoziazione, una visione agonistica, competitiva, conflittuale. Secondo questo approccio la negoziazione è una partita dove due giocatori si scontrano e alla fine per trovare un accordo qualcuno ha dovuto mollare mentre qualcun altro prendeva il bottino desiderato, magari grazie a qualche bugia o a qualche furbata. Di solito nei corsi di formazione sulla negoziazione i partecipanti sono molto interessati al “trucco vincente”, alla “tecnica killer”, quella con cui mettere ko l’interlocutore negoziale, con cui chiudere una trattativa e portare a casa un contratto.Da qui lo stress, l’ansia e quella ritrosia “non stiamo qui a trattare, dai. Chiudiamola subito, senza chiacchiere”.
È un atteggiamento che fa riferimento solo alla componente comunicativa ed emotiva di una trattativa. Ma in una trattativa non ci sono solo le parole e le emozioni. In una trattativa ci sono anche la logica, il calcolo, la strategia, che sono anzi predominanti. Al 90% negoziare bene significa prepararsi bene. Puoi essere un mago dell’improvvisazione, un grande giocatore di poker, un comunicatore carismatico ma se non ti sei preparato e non hai approfondito bene i tuoi obiettivi e le tue risorse (mentre il tuo interlocutore lo ha fatto) non raggiungerai il tuo obiettivo. Parafrasando la celeberrima frase di “Per un pugno di dollari”, quando un negoziatore che non si è preparato incontra un negoziatore che si è preparato, il negoziatore che non si è preparato è un uomo morto. Se ti fidi solo della tua parlantina, o del tuo savoir faire, o della tua malizia porterai a casa molto meno di quanto desideri.
2) Essere preparati significa prima di tutto essere consapevoli. Spesso nella quotidianità parliamo con amici, parenti, colleghi e senza accorgercene diamo vita a delle trattative. Quando ce ne accorgiamo è troppo tardi, ci hanno già strappato degli impegni. Se guardo la televisione in santa pace sul divano e a un certo punto mia moglie mi siede accanto sfogliando platealmente sotto i miei occhi una rivista di arredamento è presumibile che stia per cominciare una trattativa. Se me ne rendo conto per tempo e voglio evitare la negoziazione posso adottare delle contromosse. Se non me ne accorgo verrò colto impreparato e subirò delle pressioni negoziali difficili da sostenere. Se un mio collega che a stenti mi saluta un giorno mi invita a pranzo è evidente che non parleremo solo di calcio e politica. Devo immaginarmi abbia in testa un progetto che in qualche modo richiede una trattativa con me.
Quando chi ci circonda ci mette a conoscenza improvvisamente dei suoi obiettivi e dei suoi progetti è presumibile che si stia per aprire una trattativa. Ma ne vale sempre la pena? Essere sempre consapevole, pronto e preparato costa, ci porta via importanti energie nervose ed intellettive. Pensiamo a quante decine di trattative e microtrattative conduciamo tutti i giorni. Ci capita non di rado di dover negoziare anche con lo sconosciuto nel parcheggio, al tavolino del bar o nella corsia del supermercato. Se poi aggiungiamo le trattative sul lavoro il numero cresce in modo esponenziale. Se in tutte queste circostanze dovessimo essere dei negoziatori preparati e professionali cuore e cervello esploderebbero. Ecco perché prima di dedicarsi alla preparazione di una trattativa bisogna chiedersi se il gioco vale la candela.
3) Essere consapevoli significa anche imparare a conoscere il nostro “diavoletto negoziale”. Cos’è questo “diavoletto”? Si tratta di quella “vocina” che al termine di ogni trattativa ci dice: “Dai in fondo non è andata male, poteva andare molto peggio, rischiavi di perdere tutto, di far saltare la vendita, di far arrabbiare irrimediabilmente il cliente”. Tutti abbiamo il nostro “diavoletto”. Ci protegge dalle delusioni, dall’imbarazzo di non essere stati all’altezza. Se lasciassimo prevalere questa tendenza ad autoconsolarci dopo tutte le nostre partite negoziali, tutti noi saremmo splendidi negoziatori che vincono sempre. E invece spesso negoziamo male, usiamo la frase sbagliata, non ci accorgiamo di un segnale importante, trascuriamo informazioni decisive, ci mostriamo poco convinti e poco credibili.
Se non acquisiamo uno spirito di osservazione critica persisteremo negli errori e continueremo quindi a lasciare sul piatto tempo, soldi, benessere: “Ma io ho fatto sempre così ed è andata sempre bene!”. È una frase che ho sentito mille volte, a cui di solito rispondo: “Immagina quanto avresti potuto ottenere in più”.
* Managing director della società di formazione e consulenza Sparring
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