La Sicilia va a tutta birra: boom di produzione artigianale e amatoriale
I produttori sono 75 in un mercato caratterizzato da imprese molto piccole. Strategie differenziate di crescita puntata anche sulla Gdo
di Nino Amadore
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C’è stato un tempo in cui si contavano sulle dita di una mano. Erano pochi, sconosciuti ai più, si può dire elitari. Oggi tra microbirrifici, Beer Firm e Brew pub in Sicilia vi sono quasi 75 aziende. Un boom maturato in meno di dieci anni e che è ancora tutto da studiare e da approfondire, almeno sul fronte del valore economico e in particolare di mercato. Le storie raccontano di piccoli imprenditori arrivati alla produzione di birra direttamente con un proprio microbirrificio o indirettamente grazie a quelle che si chiamano beer firm con la birra prodotta da altri sulla base di una ricetta a volte proposta dallo stesso imprenditore a volte invece dal produttore. Ma soprattutto raccontano di grande passione per questo prodotto nella terra del vino e dei vigneti non certo del luppolo, almeno così è nell’immaginario collettivo. «All’inizio - spiega Andrea Camaschella coautore con Davide Bertinotti dell’Atlante dei Birrifici italiani- c’è stata un po' di difficoltà, ma poi il settore siciliano è cresciuto anche con grandi risultati in termini di qualità».
Possiamo dire che, in gran parte dei casi, quello siciliano è un prodotto molto identitario: sono numerosi gli esempi di birra che riportano gli aromi dell’isola o si fondono con i prodotti più famosi. C’è la birra al ficodindia e quella con gli accostamenti al cioccolato. È una ricerca continua e con risultati di grande pregio oltre che di grande godibilità. Ne è un esempio Ciaurùsa dei Fratelli Birrafondai di Misterbianco: una birra che è stata creata dalla prima (e al momento unica) mastra birraia di Sicilia, la catanese Santa Di Caro. Ciurùsa è la birra vincitrice del Luppolo d’Oro nella categoria Belgian White, alla quinta edizione del Best Italian Beer 2019. Santa Di Caro è una farmacista che dal 2012 produce birra artigianale: ha cominciato con l’auto produzione per pura passione e ha poi coinvolto il fratello Rosario. Produce in misura sempre crescente bottiglie non solo di Ciaurùsa ma anche di Belladonna, Calura, Dusa, Xiara e la nuovissima Lupa. «È il territorio che ispira la nostra produzione. Quando creo una birra tutto parte da un profumo della terra e dai miei ricordi d’infanzia legati soprattutto alla campagna - spiega Santa Di Caro-. Se per formazione sono una professionista esperta del farmaco e dunque una operatrice in favore della salute, nel mio tempo libero applico il mio intuito chimico in favore del gusto. È un percorso di aggiustamenti, odori, pazienza e lavoro costante».
Il territorio dunque che poteva e potrebbe ancora essere centrale per la produzione degli elementi base della birra come l’orzo. E in effetti, nell’isola in cui sono esplosi i birrifici artigianali ma non c’è ombra di un maltaficio, non sono mancati negli anni i progetti per creare una filiera dell’orzo siciliano, caratterizzando sempre di più il prodotto. Ma fin qui nulla si è visto o molto poco. Una delle prime aziende siciliane ad aver puntato sulla produzione dell’orzo con l’obiettivo, successivamente, di costruire anche un maltificio è stata la Paul-Bricius & Co di Vittoria in provincia di Ragusa. Società nata nel 2004 che dal 2012 si è trasformata in società agricola: dopo aver monitorato diverse qualità di orzo e aver collaborato con l’Ente sviluppo agricolo e il Centro ricerca agroalimentare di Acireale, ha deciso di intraprendere la coltivazione dell’orzo distico, adatto alla produzione della birra. «Abbiamo aderito al Cobi, Consorzio italiano dell'orzo e della birra di Ancona, riuscendo, in questo modo, a controllare una fase ulteriore del processo produttivo che consiste nella trasformazione dell’orzo prodotto in malto - spiegano dall’azienda -. Nel 2015 la società agricola Paul-Bricius abbiamo aderito alla rete di imprese agricole denominata Asprom che ha l’obiettivo di valorizzare le produzioni cerealicole da destinare all'alimentazione umana e il loro utilizzo tal quale (orzo perlato), o tramite la loro maltazione: produzione di farine, birra e caffè d’orzo. Con le iniziative portate avanti negli ultimi anni siamo riusciti nell'intento di creare una filiera corta che permette un controllo qualitativo maggiore sulla principale materia prima utilizzata per la produzione: il malto». Ma perché non costruire anche un maltificio? «Perché costa parecchio - spiega Luca Traina -. Fino a poco tempo fa non c’erano birrifici a sufficienza e oggi che ci sono servirebbe un consorzio o qualcosa del genere con un coordinamento del lavoro per dare risposte alla domanda che viene dalle aziende».
L’assenza di un maltificio in Sicilia è un limite di non poco conto per un mercato che appare il forte espansione. Ne è un esempio il progetto che interessa uno dei primi microbirrifici siciliani che è stato recentemente rilevato da una cordata di imprenditori. Si tratta dell’azienda catanese Timilia e il progetto è di farne un brand per la vendita negli scaffali della Grande distribuzione organizzata della birra artigianale siciliana.
Un ulteriore, strategico, passo avanti che porterà benefici a tutto il settore che in Italia, secondo le stime di Assobirra, negli ultimi 10 anni, è cresciuto dell'824% e che oggi rappresenta il 3,1% della produzione di birra in Italia. Una delle proposte lanciate da Assobirra è quella di una “fideiussione” per consentire alle imprese di accedere più facilmente a finanziamenti. «L’obiettivo - ha spiegato Matteo Minelli, vice presidente con delega ai Microbirrifici, nel rapporto 2018 di Assobirra dedicato al settore - è favorire l'ammissione a finanziamenti mediante la concessione di garanzie che si affiancano a quelle reali portate dalle singole imprese. Le aziende grazie a questo meccanismo, hanno la concreta possibilità di ottenere credito da banche, società di leasing e altri intermediari finanziari per promuovere la propria attività imprenditoriale».
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