Ai nostri “realisti a metà”

La sicurezza russa non vale più di quella ucraina

Secondo la teoria realista, il dilemma della sicurezza collettiva si risolve attraverso accordi tra Paesi

di Sergio Fabbrini

Mentre l’invasione russa dell’Ucraina continua, a Mykolaiv, la gente pulisce il marciapiede di fronte a un edificio danneggiato dopo un attacco militare. (REUTERS/Nacho Doce)

4' di lettura

L’aggressione russa dell'Ucraina è sostenuta non solamente dai carri armati, ma anche dalle idee. In particolare, dall’idea che la Russia sia dovuta intervenire in Ucraina per garantire la propria sicurezza. Un’idea che si cerca di giustificare attraverso il ricorso ad una specifica teoria delle Relazioni internazionali, il realismo. Non c’è talk show o social media in cui non vi sia qualcuno che usa quest’ultimo per difendere le ragioni della Russia. Di cosa si tratta?

Per la teoria realista (che ha le sue radici nelle opere di Tucidide), gli stati, in quanto unici ed esclusivi attori della politica internazionale, sono obbligati ad agire in una condizione di permanente incertezza. Ciò spinge ogni stato a preoccuparsi principalmente della propria sicurezza. Ecco perché, per i nostri realisti, l’aggressione russa dell’Ucraina è dovuta all’insicurezza prodotta dall'adesione dei Paesi dell'Europa orientale alla NATO.

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Tuttavia, per quei realisti, la decisione dei Paesi dell’Europa orientale di entrare nella NATO non è giustificabile dalla stessa motivazione (garantire la loro sicurezza) usata per giustificare la sicurezza della Russia. Eppure, quest’ultima rappresentava un’evidente minaccia per quei Paesi, anche perché li aveva a lungo dominati. Neorealisti come John Mearsheimer e Stephen M. Walt potrebbero replicare che le grandi potenze dispongono di una pretesa speciale alla sicurezza, proprio perché dispongono dei mezzi (come l'arsenale nucleare) per imporla a chiunque (ritengono) possa minacciarla. Ma ciò giustificherebbe ancor di più la decisione dei Paesi dell’Europa orientale di entrare nella NATO. Quell’entrata, lungi dall’essere una provocazione, è piuttosto l’espressione di una strategia realista, da parte di Paesi piccoli e medi, per garantire la propria sicurezza. Solo entrando in un’organizzazione più grande (e con deterrente nucleare), quei piccoli-medi Paesi potevano soddisfarla. Dal punto di vista della teoria realista, dunque, l’esigenza di sicurezza della Russia e dei Paesi dell’Europa orientale sono altrettanto legittime. Una doppia esigenza che è invece disconosciuta da nostri “realisti a metà”, per i quali conta solamente l’esigenza di sicurezza della Russia. Perché ciò che vale per la Russia non deve valere anche per gli altri? Poiché non esiste un’esigenza di sicurezza superiore ad un’altra, la teoria realista suggerisce di risolvere il dilemma della sicurezza collettiva attraverso accordi (si pensi agli studi di Kenneth Waltz o Robert Gilpin). E così si era fatto con gli accordi di Budapest del 1994, con i quali l’Ucraina aveva accettato la propria de-nuclearizzazione (trasferendo alla Russia le armi nucleari “sovietiche” che erano sul suo territorio), la NATO aveva escluso la partecipazione dell’Ucraina al suo sistema di difesa, la Russia si era impegnata a riconoscere la sovranità di quest’ultima. Da allora, non c'è un singolo atto formale, del governo ucraino, finalizzato a mettere in discussione quegli accordi. Il governo ucraino non ha mai presentato una domanda formale per entrare nella NATO, né l’accordo di associazione siglato con l’Unione europea nel 2017 prevedeva qualcosa di diverso dalla cooperazione commerciale. Perché gli accordi di Budapest sono stati invece disonorati dalla Russia, prima nel 2014 (con l’annessione della Crimea) e quindi nel 2022 (con l'invasione militare del Paese)?

Per i nostri realisti a metà, non solo conta esclusivamente la sicurezza della Russia, ma non c’è nessuna differenza tra quest’ultima e una democrazia come quella americana. È vero che per la teoria realista è secondario, ai fini del suo comportamento internazionale, che uno stato abbia un regime interno di tipo democratico o autoritario. L’esigenza della sicurezza è indipendente dalla “formula politica” (Reinhold Niebuhr) adottata da uno stato per organizzare la sua azione politica a livello internazionale. Tuttavia, se è evidente che la Russia autocratica e l’America democratica debbono entrambe garantire la rispettiva sicurezza, è altrettanto evidente che quest'ultima è garantita in modo diverso nell’una e nell’altra. Tale differenza sfugge ai nostri realisti a metà, per i quali l’invasione americana dell’Iraq nel 2003 e l’attuale aggressione russa dell’Ucraina “pari sono”. Così non è, però, in quanto quelle decisioni sono emerse in modo diverso (nella segretezza a Mosca, in un infuocato dibattito pubblico a Washington D.C.) e diversa è la reazione ai loro effetti. L'invasione americana dell’Iraq fu sconfitta prima a casa che sul campo, portando alla Casa Bianca nel 2008 il primo leader afroamericano della storia del Paese (strenuo oppositore di quell’invasione), mentre la critica all’aggressione russa dell’Ucraina può portare alla galera per ben 15 anni. Non capendo cos’è la democrazia, i realisti a metà ritengono che l’entrata nella NATO dei Paesi dell’Europa orientale sia stata imposta dal presidente americano, non già decisa autonomamente dai cittadini di quei Paesi, appena hanno potuto liberarsi dal cappio sovietico. Una scelta obbligata per proteggere la loro giovane (e imperfetta) democrazia. Dopo tutto, cosa avrebbero dovuto fare, quei cittadini, per evitare di rivivere l’esperienza dei carri armati russi entrati a Budapest nel 1956 o a Praga nel 1968 o della legge marziale introdotta a Varsavia nel 1980? Insomma, mentre l’Ucraina è aggredita dalla Russia, c'è chi cerca di trasferire all’occidente la responsabilità indiretta di quell’aggressione. Perché? Per pro-putinismo, per antiamericanismo o semplicemente perché stultorum mater sempiter gravida?

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