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La Ue annulla i finanziamenti per i ricercatori inglesi

Oltre 140 progetti britannici inviati al bando dello European Research Council non saranno presi in considerazione, perché i rispettivi coordinatori non hanno aderito alla condizione posta dall'Europa, e cioè al trasferimento, con l'intero gruppo di ricerca, in uno dei paesi comunitari

di Agnese Codignola

3' di lettura

Il governo di Boris Johnson sarà ricordato, oltre al resto, per il disastro provocato dalla Brexit alla ricerca scientifica, che – ironia del destino – è giunto a compimento poche ore prima che BoJo rassegnasse le dimissioni da leader dei Tories. Il 29 giugno si è infatti saputo che oltre 140 progetti britannici inviati al bando dello European Research Council non saranno presi in considerazione, perché i rispettivi coordinatori non hanno aderito alla condizione posta dall'Europa, e cioè al trasferimento, con l'intero gruppo di ricerca, in uno dei paesi comunitari. Solo una ventina ha accettato.

La situazione, in realtà, aveva iniziato ad avvitarsi alcuni mesi fa. Gli accordi precedenti prevedevano infatti, per la Gran Bretagna, un compromesso analogo a quello vigente per paesi quali la Norvegia, la Turchia e Israele che, avendo versato un contributo (nel caso inglese sarebbe stato di 15 miliardi di euro per sette anni) al progetto Horizon Europe (che attualmente ha un budget di 95 miliardi di euro), possono continuare a condurre le ricerche nella situazione che preferiscono, e cioè sia in patria che all'estero, in un paese europeo partner. Ma ciò presupponeva anche il rispetto degli altri accordi relativi alla Brexit.

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Uno dei quali – forse il più delicato – è quello sull'Irlanda del Nord, sottoscritto a suo tempo dalla Gran Bretagna, entrato in vigore nel 2021, ma oggetto di una legge proposta dal Governo di Johnson all'inizio del 2022 e in seguito approvata dal Parlamento che ne prevede una violazione unilaterale. Fatto che, di conseguenza, comporta l'annullamento delle eccezioni su altre materie quali, appunto, la ricerca.

Oggi i ricercatori inglesi possono avere accesso ai fondi europei, ma solo se decidono di spendere il denaro ricevuto in un laboratorio comunitario: un obbligo avvilente, per molti, se non inaccettabile (peraltro imposto anche alla Svizzera, paese con il quale non sono stati siglati accordi specifici per tempo). E questo sta isolando sempre di più una comunità scientifica che per decenni è stata la più importante d'Europa, e ha costituito un irresistibile magnete per studiosi delle più diverse provenienze e discipline.

Ma l'isolamento, nella ricerca, equivale all'eutanasia: già oggi non solo gli scienziati britannici si trovano in grandi difficoltà, ma tutto il paese è molto meno attrattivo di prima, per il resto del mondo scientifico. Prima delle dimissioni annunciate in queste ore, ricorda Science, il governo stava cercando di correre ai ripari, e aveva espresso l'intenzione di finanziare ugualmente i progetti inviati a Horizon, che si sarebbero dovuti svolgere sul suolo britannico. Inoltre aveva promesso il lancio di un piano nazionale analogo a quelli dello European Research Council, se non di Horizon Europe: un'idea di per se stessa assurda, secondo molti, perché i progetti europei sono tutti incentrati sulle collaborazioni internazionali, e hanno una forza economica che nessun piano nazionale potrà mai avere.

Uno di essi, che ha preferito restare anonimo, in un'intervista al Guardian ha paragonato la condizione dei ricercatori britannici a quella degli scienziati tedeschi sotto il nazismo. Il vero guaio – hanno sottolineato i più – è infatti il danno forse irreparabile ai network, alle partnership, agli scambi, resi già molto più farraginosi e complessi da un assetto burocratico che sembra ideato per scoraggiare, e da ora in avanti quasi impossibili da portare avanti con successo.

Tra i progetti il cui destino è tutt'altro che chiaro figurano, per esempio, quello dell'astrofisico di Cambridge Nicholas Walton, che ha dovuto abbandonare la guida di un programma di osservazione della via lattea finanziato con 2,8 milioni di euro, lasciandola ai colleghi olandesi aderenti al pan-European Marie Curie Network, o quello della microbiologa cellulare dell'Imperial College London Teresa Thurston, che ha dovuto dire addio a 1,5 milioni di euro insieme a decine di altri, che hanno rinunciato per difficoltà personali a trasferirsi, magari con la famiglia, in un altro paese, ma anche perché non sempre sarebbe stato possibile trovare interi laboratori pronti per continuare gli studi.

Per il momento, a parte i palliativi ipotizzati da un governo ora dimissionario, non si intravvedono vie d'uscita, ma solo un mesto, inesorabile declino.

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