Settimana corta sì ma a stipendio invariato. Solo un lavoratore su 10 accetta tagli in busta paga
Sondando una platea di oltre 2mila lavoratori, The Adecco group ha rilevato che il 66% di chi è interessato alla settimana corta sarebbe disponibile solo a parità di salario. Appena il 10% accetterebbe con una decurtazione dello stipendio
di Cristina Casadei
3' di lettura
Settimana corta sì, ma senza toccare lo stipendio. Sembra questo il binomio che piace ai lavoratori italiani, mentre cresce il dibattito sulle ipotesi di sperimentare anche nel nostro paese nuove modalità organizzative. «Il mondo del lavoro è in rapida evoluzione e stiamo vivendo oggi un vero e proprio cambiamento del paradigma culturale - dice il country manager di The Adecco Group Italia, Andrea Malacrida -. Se l’idea della settimana lavorativa di 4 giorni, per quanto affascinante, può dimostrarsi un progetto di difficile applicazione, risulta comunque evidente la sua assoluta rilevanza nel dibattito contemporaneo».
Niente tagli di stipendio
Nella ricerca Global Workforce of The Future di The Adecco Group, rafforzata da un’ulteriore indagine svolta sui canali social, che ha coinvolto più di 2 mila persone, ben il 66% di chi è interessato alla settimana lavorativa breve dice che sarebbe disponibile solo a parità di salario. Solo il 10% accetterebbe con una decurtazione dello stipendio. Il 18%, invece, sarebbe disponibile a lavorare un’ora in più gli altri giorni per avere la settimana breve.
Tutto questo, in un quadro in cui il 61% dei dipendenti ritiene che il proprio salario non sia sufficiente per affrontare l'aumento dei prezzi dettato dall'inflazione.
Cosa c’è dietro l’interesse
L’interesse verso la settimana di 4 giorni è comunque molto forte, tant’è che guarda con favore alla misura oltre il 70% dei lavoratori intervistati. Perché? Tra le risposte c’è il fatto che migliorerebbe il benessere mentale senza avere ripercussioni negative sulla produttività. La sfida del mercato del lavoro contemporaneo, in cui la discussione sulla settimana lavorativa breve trova il perfetto habitat, è infatti quella di sviluppare proposte e strumenti che mettano al centro le persone e garantiscano regimi di lavoro flessibili.
L’attrazione dei talenti
Questo sarebbe anche un modo per attrarre i talenti: il 75% dei lavoratori italiani è propenso a rimanere in azienda o a sceglierne una quando viene percepito l’interesse del datore di lavoro verso il benessere del dipendente. «Il modo in cui si percepisce il lavoro sta cambiando - interpreta Malacrida - e, sempre di più, i dipendenti sono attenti al bilanciamento con la vita privata. In un mercato del lavoro molto dinamico come quello che vediamo oggi, diventa perciò centrale per le aziende sviluppare politiche che mettano al centro la flessibilità, anche con lo scopo di attrarre e trattenere i talenti».
I dubbiosi
Secondo la ricerca di The Adecco group, chi invece è dubbioso indica 4 aspetti che non convincono. Il primo riguarda la retribuzione. Il 33% sospetta infatti che comporterebbe una diminuzione dello stipendio. Il secondo aspetto riguarda il bilanciamento vita lavoro: il 27% teme infatti che causerebbe un serio aumento del carico di lavoro, arrivando comunque a dover lavorare fino a tarda sera o nel giorno libero. Il 23% poi pensa che porterebbe ad un maggior carico di stress negli altri giorni lavorativi, mentre il 17% crede che potrebbe danneggiare il percorso di carriera.
I manager e i contratti
Guardando l’altra faccia della medaglia, i direttori del personale, come emerso da una ricerca di Aidp dei giorni scorsi, mostrano una certa apertura sul tema, che vede favorevole oltre la metà. Ciò che però appare fondamentale è passare dalle sperimentazioni e arrivare a fare delle valutazioni sulla base dei dati raccolti. Intanto sul fronte della contrattazione si allarga la platea di chi chiede una riduzione dell’orario. Dopo i sindacati del legnoarredo (Fillea, Filca e Feneal) , anche i bancari (Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin) hanno chiesto una riduzione dell’orario di lavoro di mezz’ora al giorno, per arrivare alla settimana di 35 ore. Malcontati si tratterebbe di 16 giorni di lavoro in meno all’anno.
Molti volti per la flessibilità
Se nella contrattazione è in corso un dialogo non facile dove la mediazione sarà tra orario e flessibilità, è però vero che la flessibilità può esprimersi in molti modi, come osserva Riccarda Zezza, ceo e founder di Lifeed, società di education technology a impatto sociale che trasforma le esperienze di vita in competenze per la crescita di persone e aziende. «La domanda che ci dobbiamo porre è se davvero la settimana corta è in linea con le nuove esigenze di vita, perché il tema non è passare dallo smart working a questa nuova forma organizzativa ma attuare cambiamenti che sono in grado di migliorare davvero la vita delle persone. La dicotomia vita – lavoro è nei fatti superata e prenderne coscienza vuol dire strutturare aziende più efficienti, lavoratori più soddisfatti. Credo che smartworking e settimana corta che spesso vengono considerate antitetiche possano essere positive per imprese e dipendenti, ancor di più se concepite assieme e non ad esclusione l’una dell’altra. Il lavoro flessibile deve potersi esprimere in molti modi diversi».
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