LAVORO POST-COVID

Le aziende devono guardare i risultati raggiunti e non il tempo speso in ufficio

Ormai inevitabile l’adozione di nuovi modelli organizzativi per sfruttare al meglio i molti vantaggi offerti dal lavoro ibrido

di Francesca Contardi *

(REUTERS)

4' di lettura

Grazie al mio lavoro collaboro con Aiceo, Associazione Italiana dei Ceo, e posso quindi sia godere di un osservatorio privilegiato sul mondo delle aziende, sia analizzare quello che stiamo vivendo in termini di rientro in ufficio in questo momento di grande cambiamento. Complice sicuramente l’avanzamento della campagna vaccinale, le aziende iniziano a progettare e a concretizzare la fase post-Covid. Ci sono però alcune differenze dettate dalle dimensioni delle società.

Da un lato ci sono le aziende di grandi dimensioni che potremmo considerare digitalmente evolute e che già prima del Covid-19 operavano anche in smart working. Tra loro troviamo chi - come ad esempio alcuni colossi - è pronto a fare marcia indietro e tornare in ufficio e chi, invece, non prevede un ritorno tout court al passato. Tra queste ultime spiccano alcune realtà del settore manifatturiero, anche se è facile immaginare che dove c’è la produzione è più complicato applicare il lavoro da remoto a tutte le funzioni aziendali. Se prendiamo un esempio a livello mondiale, in fatto di ritorno full time negli uffici, possiamo citare l’esempio clamoroso del Ceo di Goldman Sachs che ha richiamato tutti in ufficio a partire dal mese di giugno.

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In Italia, invece, alcuni dei soci di Aiceo sono più aperti alla flessibilità, mentre altri manterranno il lavoro da remoto in modo prevalente, anche per ingaggiare talenti senza vincoli geografici. Quello che stiamo osservando è che nelle grandi organizzazioni, quando si riflette sul rientrare o meno in ufficio, si sta ponendo l’attenzione anche su alcune analisi e ricerche che riguardano l’affaticamento del cervello dovuto al lavoro solo digitale. Non sono poche le aziende che hanno avviato servizi aziendali di psicologi a supporto dei propri dipendenti. E le richieste di questo genere di supporto sono più elevate - anche di tre volte tanto - rispetto a quanto previsto.

Tutti questi elementi ci danno un’indicazione di come questi mesi di lockdown, di difficoltà e di lavoro a distanza abbiano generato notevole stress da lavoro. Dall’altro lato, invece, abbiamo le aziende di taglio medio piccolo che stanno navigando a vista tra il modello ibrido (con giorni variabili a casa e in ufficio) e un rientro 100% in ufficio: alcune aziende già a luglio dell’anno scorso hanno fatto rientrare le risorse, lasciando la flessibilità a chi ne avesse bisogno (chi ha figli a casa per quarantena, ad esempio), mentre altre si sono organizzate con 3 giorni a casa e 2 in ufficio, già ipotizzando però di invertire in futuro giorni a casa e giorni in ufficio.

Ci muoviamo quindi prevalentemente verso un paradigma di lavoro ibrido, più flessibile, che cerca di coniugare i vantaggi della presenza fisica con quelli offerti dal lavoro a distanza. In questa logica le aziende ritengono fondamentale stimolare l’adozione di nuovi comportamenti digitali attraverso la definizione e l’implementazione di nuove abitudini di lavoro. Questa emergenza sanitaria ha accelerato indubbiamente nel nostro Paese l’adozione di pratiche di lavoro più agili, conosciute prima in modo strutturato solo dalle grandi organizzazioni.

Adesso però l’esigenza di tutte le aziende (grandi e piccole) è quella di capire se e come portare avanti nel tempo questi nuovi modelli, con un’attenzione particolare al monitoraggio degli obiettivi e alla gestione dei flussi di lavoro. Un occhio più attento, insomma, alla gestione del lavoro ibrido nella sua quotidianità. In fatto di competenze digitali e di digital transformation, analizzando gli ultimi 15 mesi, non possiamo non considerare che si è registrato un aumento di produttività, con riunioni più efficaci, minore perdita di tempo tra una riunione e l’altra, o negli spostamenti.

C'è però anche un risvolto negativo, misurato anche dal Work trend index di Microsoft: l’aumento della fatica dovuto al lavoro solo via digitale che si concretizza nella riduzione della capacità cognitiva e la perdita di engagement delle risorse. Qualche dato: i meeting sono aumentati tra febbraio 2020 e 2021 del 148%, la durata media è passata da 10 minuti a 30- 45 minuti e si registra un +45% nell'utilizzo delle chat.

Le aziende notano che le persone che lavorano totalmente a distanza perdono la componente affettiva, poiché tutto diventa più distaccato. E i leader hanno sicuramente perso un po’ di contatto con le proprie risorse. Ecco perché le società hanno messo in pratica vari espedienti per tenere ancorati i dipendenti, attraverso webinar, videoconferenze o momenti di condivisione tra i vari team, come ad esempio caffè virtuali o chat con le buone notizie del giorno.

A questo, poi, si affianca un altro trend molto interessante che è la sempre più diffusa convinzione che molti lavori si possono fare solo in remoto. In questo caso, la concorrenza tra candidati diventa sovranazionale (ci sono parecchie offerte provenienti dal mondo anglosassone a candidati italiani per lavorare da lontano con stipendi raddoppiati rispetto al nostro Paese). Questo ha un impatto notevole non solo sui candidati, ma anche sulle aziende che dovranno andare verso nuovi modelli organizzativi e gestionali, basati sui risultati raggiunti e non sul tempo speso in ufficio.

Un modello che, senza dubbio, premierà la meritocrazia. I dipendenti, in base a quello che sto vedendo proprio in questi mesi, sembrano prediligere un modello ibrido. Recentemente ho aperto un sondaggio che ha coinvolto più di 2.000 persone, alle quali ho chiesto come vedono il loro rientro in ufficio. Si è delineato uno scenario piuttosto chiaro: le persone interessate a tornare al 100% in ufficio sono ben poche, meno di 1 su 10. Due vorrebbero restare solo a casa, mentre 7 su 10 quindi il 70% vorrebbero un modello ibrido. Un modello che si sposa abbastanza bene con quanto molte delle aziende si apprestano a fare.

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