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Le modifiche unilaterali e unidirezionali delle banche sui conti correnti

Adesso i tassi sono tornati in positivo, tuttavia non pare ci sia alcuna volontà degli istituti di credito di ritornare alle condizioni contrattuali preesistenti più favorevoli ai clienti

di Gianfranco Ursino

(winston - stock.adobe.com)

2' di lettura

Nessuna retromarcia. Negli ultimi anni le banche, per controbilanciare la discesa dei tassi di interesse, non hanno solo diminuito fino allo zero (o sotto) il tasso stabilito contrattualmente che remunera le giacenze, ma hanno anche aumentato i costi dei conti correnti con modifiche unilaterali dei contratti con un opinabile giustificato motivo di origine finanziaria, ovvero i tassi negativi, arrivando a trasformare quest’ultimi anche in aumenti di canoni e spese di tenuta conto. Aggravi che hanno colpito tutti i clienti, non solo quelli con giacenze sopra i 100mila euro per contrastare la liquidità in eccesso.

Adesso i tassi sono tornati in territorio positivo, tuttavia non pare ci sia alcuna contraria modifica o il ritorno alle condizioni contrattuali preesistenti più favorevoli ai clienti. E a Banca d’Italia - se non interviene, anche solo con un’azione di moral suasion - non rimane altro che registrare, anno dopo anno, l’aumento dei costi medi a carico dei titolari di conti correnti.

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Eppure in passato l’istituto di Via Nazionale ha avuto modo di intervenire ed esprimere in più occasioni la propria posizione in tema di ius variandi ovvero la facoltà per la banca di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali in senso sfavorevole al cliente se sussiste un giustificato motivo. B anca d’Italia aveva espressamente ribadito che non possono essere ammesse variazioni prive di specifica correlazione tra le voci di spesa interessate dalle modifiche e l’incremento dei costi posto dalla banca a base della modifica. Non sono coerenti neanche le modifiche che realizzano interventi sulle tariffe, anche una tantum, a fronte di costi allo stesso tempo già sostenuti dalla banca, non ricorrenti e che hanno già esaurito i loro effetti. In più non sono accettabili le modifiche che fanno riferimento a una pluralità di motivazioni, senza illustrare il legame fra i singoli presupposti delle modifiche e gli interventi su spese e condizioni.

In ogni caso, le banche sono andate avanti sostenendo che il contesto di mercato con tassi negativi giustificava non solo la diminuzione dei tassi sulle giacenze ma anche un aumento dei canoni dei conti e dei costi delle singole operazioni, per i presunti equilibri economici contrattuali che sarebbero venuti meno e che potevano essere riequilibrati, a loro modo di vedere, solo azzerando la remunerazione delle giacenze e aumentando i costi per i clienti.

Con i tassi tornati in positivo, è ora venuto meno il presupposto addotto dalle banche come giustificato motivo che avrebbe legittimato la modifica contrattuale in peius per i clienti su tassi e spese. E venendo meno il presupposto, la modifica contrattuale non può perdurare. Le regole di correttezza e buona fede, infatti, impongono alle banche la necessaria retromarcia sia sui tassi di remunerazione delle giacenze, sia su canoni e spese dei conti correnti modificati facendo riferimento ai tassi negativi, quanto meno fino a ripristinare le originarie condizioni contrattuali. Diversamente, per le banche si aprirebbero immense praterie per crearsi rendite di posizione.

Riproduzione riservata ©
  • Gianfranco UrsinoResponsabile Plus24

    Luogo: Milano

    Argomenti: Fondi comuni, Etf, Assicurazioni, Conti correnti, Conti deposito, Mutui, Polizze fideiussorie, Anatocismo, Usura, Risparmio postale, Libretti Coop, Banche, Borsa, Consob, Banca d’Italia, Abf, Acf, Oam, Ocf, Consulenza finanziaria, Fondi pensione, Casse di previdenza, Fintech

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