Le priorità della politica economica
È ragionevole considerare la Legge di Stabilità (LdS) che il governo si appresta a varare come il cardine programmatico della politica economica di questa legislatura.
3' di lettura
È ragionevole considerare la Legge di Stabilità (LdS) che il governo si appresta a varare come il cardine programmatico della politica economica di questa legislatura. Troppo ravvicinata la scadenza della presentazione della LdS lo scorso anno rispetto all'insediamento delle nuove Camere e del nuovo esecutivo, nel pieno del conflitto in Ucraina e dell'aumento dei prezzi dell'energia, per consentire il varo di un progetto di medio termine che espliciti le priorità della maggioranza allora emersa dalle urne. Ora, pur se non mancano come sempre emergenze e nuove criticità, l'impostazione della legge di bilancio non può sottrarsi ad una prospettiva di legislatura.
Con la revisione radicale dell’impostazione del reddito di cittadinanza, al netto delle critiche e dei correttivi che si possono avanzare rispetto a tale operazione, appare evidente che l’intenzione del governo è stata quella di riaffermare la centralità dell’offerta di lavoro per le prospettive di crescita e di benessere del Paese. Se si considera l’invecchiamento della popolazione italiana, la contrazione demografica assoluta delle coorti in età attiva, e le complessità dell’integrazione dei lavoratori stranieri – che pur in quota parte contribuiscono sempre più alla produzione nazionale – l’accento sull’offerta di lavoro è comprensibile. Ma ne discendono poi alcuni corollari importanti per definire le priorità della politica economica.
Il primo è che stimolare l’offerta di lavoro richiede di creare anche le condizioni per il benessere di chi lavora. Lo stravolgimento dei prezzi cui stiamo assistendo nell’ultimo biennio, con l’aumento verticale dei prezzi dell’energia seguìto dal balzo dei tassi d’interesse, richiede un intervento strutturale e significativo sul cuneo fiscale, specie per i redditi più bassi. Se si vuole incentivare l’offerta di lavoro riformando il reddito di cittadinanza, occorre poi aumentare il salario netto senza penalizzare la competitività delle imprese esposte alla concorrenza globale.
Non si può inoltre, e veniamo al secondo corollario, rimandare oltre la soluzione dei nodi del nostro sistema della formazione professionale. Abbiamo nel nostro Paese licei e atenei di eccellenza, anche se non mancano disparità profonde a livello territoriale, e tra il centro e la periferia delle grandi città. Mentre il problema con i nostri laureati è che spesso li formiamo bene per poi “regalarli” ai sistemi produttivi di altri Paesi, dove i giovani sono retribuiti meglio come ha ricordato il Presidente Mattarella nell’intervento all’assemblea di Confindustria, per quanto riguarda la formazione professionale siamo anni luce indietro. Manca un sistema nazionale delle competenze professionali; siamo in grave ritardo sulla formazione digitale e per la transizione energetica; non proviamo neppure a colmare i gap di genere nella formazione tecnica e scientifica, dove pure è provato che le performance femminili sono superiori a quelle dei colleghi maschi. Se l’offerta di lavoro non progredisce in qualità ma solo in quantità, non si va molto lontano.
Terzo corollario, produttività e competitività delle imprese. Per garantire nel tempo redditi da lavoro crescenti, performance aziendali elevate, e in buona sostanza lo sviluppo del sistema produttivo nazionale che è un patrimonio fondativo del Paese, occorrono investimenti e riforme. Sono oltre 600 i miliardi di euro di esportazioni riferibili all’industria manifatturiera, si tratta di quasi un terzo del prodotto e dei redditi nazionali. Non dovrebbe sfuggire che, senza il cardine del nostro export industriale, non ci sono interesse nazionale o coesione sociale che tengano. Far sì , ad esempio, che gli approvvigionamenti energetici e le infrastrutture strategiche siano garantiti superando le grottesche manfrine del Nimby nostrano, significa semplicemente mantenere i costi relativi dell’energia e dei trasporti non troppo distanti da quelli dei concorrenti, per il futuro delle imprese e delle famiglie che di lavoro e stipendio vivono.
Si parla molto di reshoring, di rientro in Italia ed in Europa delle produzioni dislocate in aree lontane. Ed i presupposti per una riconfigurazione delle filiere internazionali esistono: si tratta di occasioni di benessere per le lavoratrici e i lavoratori italiani. È comprensibile che ci si preoccupi per imprese che abbandonano l’Italia, ma senza una Pubblica Amministrazione all’altezza una delle condizioni per l’attrazione di capitali e industrie viene meno.
loading...