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Le trasformazioni aziendali sono più lunghe e costose e i leader meno coinvolti

Solo un’azienda su due afferma di avere le capacità per rispondere alle sfide in tema di intelligenza artificiale, sostenibilità e lavoro ibrido

di Gianni Rusconi

(Coloures-pic - Fotolia)

4' di lettura

Per certi versi suona come una tirata d’orecchie alle figure apicali di ogni azienda: il report “Why Leaders Can't Let Up in Transformations”, elaborato da BCG attraverso un’indagine condotta a livello internazionale su un campione di circa mille aziende, ci dice in modo molto esplicito non solo che nel 2022 i progetti di trasformazione di business si sono rivelati più difficoltosi ed onerosi dal punto di visita economico ma anche come la partecipazione dei leader a tali progetti sia risultata in flessione.

Tanti i temi finiti sotto la lente di ingrandimento degli analisti e in particolare l’impatto esercitato dai trend legati all’adozione delle tecnologie di intelligenza artificiale, alla sostenibilità ambientale e al lavoro ibrido, che hanno messo a nudo le reali capacità delle aziende di gestire le nuove sfide e le opportunità che questi stessi trend presentano.

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Il dato da cui partire per comprendere lo scenario che emerge dal rapporto è il seguente: solo il 52% delle aziende più orientate alla trasformazione afferma di avere le capacità di rispondere alle sollecitazioni di cui sopra. Prendendo in considerazione i fattori che si possono quantificare per comprendere se la trasformazione potrà avere successo (value realization, costi, durata, impegno dei leader e coinvolgimento dei dipendenti), inoltre, i risultati maturati l’anno passato sono decisamente peggiori rispetto al 2020. Nel dettaglio, i costi hanno superato le aspettative del 31% (rispetto al 15% di due anni prima), i ritardi nel processo di trasformazione sono addirittura triplicati, passando dal 19% al 69%, e anche il valore realizzato da una trasformazione è peggiorato in modo significativo, scendendo dal 73% al 45%.

Tre, secondo BCG, le componenti che possono fare la differenza: una gestione olistica di tutti gli sforzi indirizzati al cambiamento, una leadership coerente e una gestione del cambiamento incentrata sui dipendenti. Se sviluppati in maniera ottimale, questi tre elementi possono portare a performance di gran lunga migliori, con una riduzione dello sforamento dei costi di quasi due volte e una diminuzione di oltre una volta e mezza dei ritardi rispetto alle aspettative.

Il dato sicuramente più negativo (e in prospettiva più preoccupante) è però quello riguardante il coinvolgimento dei leader, diminuito costantemente rispetto alle aspettative: dal 53% registrato nel 2020 si è passati al 45% del 2021 per arrivare al 38% dello scorso anno. Dati che stridono soprattutto se rapportati a quelli che misurano la partecipazione dei dipendenti ai progetti di business transformation, calcolati al 64% nel 2020 e di fatto rimasti stabili nei 24 mesi successivi (59% nel 2021 e 60% nel 2022).

Nella maggior parte delle organizzazioni di successo, invece, i leader guidano gli sforzi di cambiamento su larga scala, fungono da modelli di ruolo e sostengono i dipendenti nell’incorporare i cambiamenti apportati dalla trasformazione: quando i primi non rispettano questo mandato, i secondi si preoccupano meno e le trasformazioni producono risultati insoddisfacenti.

La “call to action” che il rapporto suggerisce ai leader è insomma urgente perché il contesto aziendale continua a diventare più difficile (fra il post pandemia, le tensioni geopolitiche globali, le interruzioni della catena di approvvigionamento e il faticoso passaggio al lavoro ibrido) e la trasformazione rimane comunque un imperativo. C’è comunque una buona notizia per le aziende, ed è riferita alla possibilità (rimasta intatta) di poter gestire con successo il processo di cambiamento e di aumentare il proprio livello di resilienza, a patto che i leader rifocalizzino la propria attenzione su questi progetti.

Non tutte le organizzazioni, infatti, hanno dimostrato di capire il potenziale delle nuove tendenze (in positivo e in negativo), mostrando la capacità di saper cambiare rotta se necessario. In caso contrario, quando un’azienda (e con essa i suoi leader) non investe nella sua preparazione al futuro, e non è quindi pronta ad agire di conseguenza, può essere rapidamente spinta sull’orlo del baratro.

Secondo Giuseppe Farinacci e Federico Severi, rispettivamente Partner e Director e Associate Director di BCG in Italia, il rallentamento dei processi di trasformazione che ha conosciuto il nostro Paese negli ultimi mesi ha una spiegazione logica. “La digitalizzazione - hanno spiegato i due manager al Sole24ore - richiede risorse, tempo e talenti e nel corso del 2022 l’inflazione e la pressione sui costi ne hanno temporaneamente rallentato il livello di attenzione e gli investimenti. Tuttavia riscontriamo una progressiva ripartenza visti i benefici indiscussi che vengono generati per le aziende: secondo il nostro Osservatorio, le imprese migliori in termini di adoption del digitale hanno generato negli ultimi tre anni il 22% in più di valore rispetto ai cosiddetti ritardatari, e questo gap è destinato a triplicare entro il 2025”.

Il venir meno del coinvolgimento dei leader è l’aspetto sul quale porre maggiore attenzione, anche per effetto del fatto che si tratta di un problema generalizzato su scala internazionale: è un dato di fatto che la complessità nell’agenda dei top manager sia aumentata strutturalmente, diluendo così il focus su diversi fronti e principalmente su interventi di breve periodo.

Il coinvolgimento dei dipendenti, come ha mostrato lo studio, è rimasto stabile e, come evidenziano ancora Farinacci e Severi, “questo è particolarmente vero in quei contesti dove l’impostazione dei leader assume uno stile di direzione distante dai vari livelli organizzativi, generando una perdita di interesse da parte del lavoratore e impedendo, di fatto, la trasformazione”. Come osservano da BCG, invece, quando i fenomeni di turbolenza diventano strutturali (ed è quanto successo da inizio 2020 a oggi), “è ancora più rilevante avviare processi trasformativi che rendano resilienti le imprese, sia per cogliere nuove opportunità che per resistere alle variazioni repentine di domanda e offerta”.

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