SBAGLIANDO SI IMPARA

Menti da aprire, non teste da riempire: anche nell’era dell’efficientismo

Il valore del tempo dedicato all’apprendimento riveste un’importanza cruciale in un periodo dominato dall’economia della conoscenza

di Gianluca Rizzi *

(AFP)

4' di lettura

È successo a tutti di riprendere un proprio quaderno o diario del passato, di rileggere quanto scritto a suo tempo e di sorridere, magari nostalgicamente, di un pensiero che non ci corrisponde più perché nel frattempo siamo cresciuti ed è passato del tempo. Talvolta accade anche di ritrovare, come nel mio caso, un articolo pubblicato poco più di due anni fa, sempre su questa rubrica e di pensare per un attimo: caspita, avevo previsto tutto!
Ecco la frase in questione, pubblicata il 22 febbraio 2019: “Concordo, sono aspetti per certi versi trascurabili [ovvero quelli a cui attribuiamo valore in una relazione del vivo, ndr], ma mi chiedo se altrettanto trascurabili siano i “costi” da sostenere rispetto alla deriva efficientista che in taluni casi sta riguardando anche la formazione aziendale che sempre più spesso viene sostituita dalla formazione a distanza”.

Il senso di stupore ha lasciato subito lo spazio a una fredda e lucida riflessione statistica: ne facciamo tante di previsioni, tutti i giorni, e per sbaglio qualche volta ci prendiamo pure, esattamente come il proverbiale orologio fermo. Non si trattava di una previsione “impossibile”; semplicemente è accaduto tutto molto più in fretta di quello che avremo potuto immaginare e noi formatori ci siamo ritrovati a fare formazione sulle soft skills a distanza. All’epoca la mia riflessione si sviluppava come una timida e romantica apologia di alcuni tratti, a mio modesto parere insostituibili, dell’attività di formazione dal vivo.

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Provo a riprendere questi quattro elementi che consideravo delle rinunce pericolose e a fare alcune riflessioni ulteriori e una domanda di stimolo per ogni punto:

1. Innanzitutto si rinuncia a un momento di scambio e confronto tra i partecipanti in aula; potrà sembrare retorico ma uno dei feedback più frequenti al termine delle giornate di formazione che i partecipanti non mancano praticamente mai di segnalare è il loro apprezzamento per l’opportunità di scambio, confronto e reciproca conoscenza. Effettivamente oggi come oggi lo scambio è fortemente limitato da due fattori: la compressione dei tempi delle virtual class e la distanza tra i partecipanti che non hanno modo di entrare in relazione direttamente tra loro. Che cosa stiamo perdendo, quando non possiamo lasciare spazio all’interazione e alla conversazione tra i partecipanti?

2.Si rinuncia alla possibilità di ricorrere a tutti e tre i canali della comunicazione ovvero le parole, la voce e la gestualità del corpo/l'espressione del volto. “Le nuove tecnologie tendono ad azzerare la componente non verbale del linguaggio, che è molto più potente nel veicolare emozioni e, quindi, a generare un vuoto comunicativo che il cervello è costretto a riempire servendosi di interpretazioni”, così scrive Pietro Trabucchi nel suo ultimo libro Opus, quando si riferisce all’importanza, nel percorso difficilissimo della motivazione delle persone, del governo della comunicazione. Anche nella formazione a distanza si rinuncia alla dimensione sinestetica delle relazioni; in altri termini, non possiamo ricorrere al pieno utilizzo di tutti i sensi per comunicare con gli altri. La chiamano Zoom fatigue, ed è oramai un fenomeno conclamato: la relazione mediata dai device è faticosa perché non si avvale del dialogo sensoriale; è tutto cerebrale e apatico. In che modo si modificano i comportamenti delle persone e le relazioni tra di loro in un contesto di questo tipo?

3.Si rinuncia a un contesto che, se opportunamente governato, può favorire l’apprendimento delle persone che lo abitano e lo frequentano per quella giornata. Achille Castiglioni, illustre architetto e progettista italiano appartenuto al secolo scorso, parlava della creazione di oggetti che ispirano e generano nuovi modelli di comportamento. Lui lo diceva pensando al mondo del design e dell’architettura. Io penso all’aula come ad un luogo fisico in cui esercitazioni, dibattiti, confronti, role play, interazioni, immagini, suoni, video possono, sempre a patto di essere opportunamente e non troppo dichiaratamente gestiti, ispirare e generare suggestioni, nuove prospettive e, perché no, nuovi comportamenti, ovvero le nostre azioni e parole quotidiane. Qui vado diretto sulla domanda: in che misura una sessione breve di formazione che magari efficacemente trasmette sapere, può modificare i comportamenti delle persone?

4.Si rinuncia infine alla presenza di una persona che con mestiere ma soprattutto sincera e spassionata dedizione governi il confronto, le relazioni, il contesto. Non meno importante è il sapere di cui questa persona si fa portatrice ma a patto di trasferirlo non “per travaso passivo da un bicchiere più pieno a uno più vuoto perché il modello sul quale si fonda (l'apprendimento) non è mai quello di uno vuoto da riempire quanto di un vuoto da aprire”. Così M. Recalcati, noto psicanalista e saggista, ricorda nel suo libro L’ora di Lezione, riferendosi all'episodio di Socrate (il maestro) e Agatone (l'allievo). L'ultima domanda, la più sentita da parte nostra: quale ruolo per noi formatori in questo contesto?

Poche, forse facili, domande, spero utili per avviare una riflessione da affrontare seriamente e senza preconcetti: perché nell’era dell’economia della conoscenza il valore del tempo dedicato all’apprendimento riveste un’importanza cruciale.

* Partner di Newton S.p.A.


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