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Mes catalizzatore di stabilità per rischio sovrano e bancario

Nei giorni scorsi le agenzie di rating hanno iniziato a riaccendere i fari sulla rischiosità dei debiti sovrani

di Donato Masciandaro

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3' di lettura

I titoli pubblici delle banche, cioè il nesso tra rischio sovrano e rischio bancario, sono un diabolico nodo di Gordio da tagliare, ovvero un salvifico legame da preservare? Soprattutto in questa fase congiunturale, è più prudente una terza via: il legame tra i due rischi può essere allentato non intervenendo direttamente sulla regolamentazione bancaria, ma agendo indirettamente su un altro canale: l’approvazione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes).
Nei giorni scorsi le agenzie di rating hanno iniziato a riaccendere i fari sulla rischiosità dei debiti sovrani. È una automatica conseguenza del fatto che la normalizzazione della politica monetaria sta riportando i tassi di interesse dove è naturale che siano, cioè in territorio positivo. Di riflesso, c’è un’altra meccanica conseguenza: si ritorna a parlare del nesso tra rischio sovrano e rischio bancario, la cosiddetta eventualità della “crisi gemella”.

La Grande crisi del 2008

Il tornare a parlare delle crisi gemelle sembra naturale a chi durante la Grande crisi iniziata nel 2008 già si occupava di economia. Pensiamo a un adulto allora almeno ventenne che, per studio o per lavoro, imparò quanto dannosa è una crisi gemella. Il meccanismo è facile da ricordare: storicamente, in ogni nazione, banche e Stato sono come due corde sempre intrecciate, perché le prime tendono a finanziare il debito pubblico, e lo Stato interviene quando le banche sono in difficoltà. Quindi i titoli pubblici delle banche in tempi normali sono una caratteristica endemica di qualunque economia di mercato. Quello che può accadere che un focolaio di crisi in una delle due corde si propaghi anche nell’altra, amplificandone gli effetti. L’adulto ventenne di cui sopra ha ben presente cosa accadde in Europa tra il 2011 ed il 2012, quando l’impennarsi del rischio sovrano della Grecia divenne la miccia che innescò una crisi gemella che colpì tutta l’Europa.

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Crisi gemella?

Ma quanto frequente è una crisi gemella? È questa la tipica domanda che ti pone uno studente oggi nel 2023, interrogandosi su quanto rilevante sia la storia che gli stai raccontando. E lo studente ha ragione a sollevare il tema della rilevanza. Una crisi gemella si innesca perché il grilletto è l’innalzarsi dei tassi sui titoli pubblici: l’effetto sono perdite nel bilancio delle banche che detengono titoli pubblici – pensiamo ai recenti casi americani tipo Silicon Valley Bank – che a loro volta possono provocare restrizioni creditizie, quindi un maggior rischio recessione. Oppure l’innesco è nel settore bancario: cattive notizie sui bilanci delle banche possono riverberarsi fin da subito sui conti pubblici, perché i mercati finanziari anticipano il fatto che il pagatore ultimo, in caso di problemi, sarà lo Stato. Ma, a parte la Grecia, quante volte si è verificata una crisi gemella? Se si analizzano gli ultimi duecento anni, con un campione di settanta Paesi, sia avanzati che emergenti, si trovano 234 casi di crisi del debito pubblico, che però si intrecciano con una crisi bancaria, quindi generando una crisi gemella solo in 24 casi; inoltre, nella maggioranza delle volte – quindici casi – l’innesco è stato bancario, mentre in due casi l’innesco è partito dal debito pubblico, e nelle rimanenti sette volte le due crisi sono state di fatto contemporanee.
Quindi la crisi gemella è un evento raro. Non solo: l’analisi sistematica dei casi ci insegna che concentrarsi esclusivamente sull’uso della regolamentazione bancaria per prevenire una crisi gemella è una prospettiva limitata, e quindi inefficiente. Una modifica della regolamentazione che riguarda i titoli pubblici delle banche deve avere almeno due caratteristiche: rappresentare un tassello in una strategia di ridefinizione delle regole che riguardi sia il lato della politica fiscale – a partire dalla tassazione – che della politica delle regole bancarie; non rappresentare una politica che abbia la presunzione di essere anticiclica, perché tipicamente il risultato è invece di provocare effetti prociclici. Dunque l’orizzonte è quello del medio periodo.

Cosa si può fare oggi?

Cosa si può fare oggi? Rendere operative riforme di sistema che nei fatti contribuiscono a ridurre la rilevanza del nesso tra i due rischi. L’esempio sotto gli occhi di tutti? È evidente, è quello del Mes, che sarebbe un catalizzatore di stabilità su entrambi i fronti. È una algebra troppo semplice per non essere compresa. Allo stesso tempo, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

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