ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùNuovo rapporto Aie

Metalli “green”, il mercato oggi vale come quello del ferro (ma la Cina è sempre più forte)

Raggiunti 320 miliardi di dollari stima l’Aie, per effetto dei prezzi ma anche di un boom degli investimenti: l’offerta forse basterà a sostenere la transizione energetica, ma Pechino rafforza ancora il predominio e ci sono troppe barriere all’export. Il direttore dell’Agenzia, Fatih Birol, anticipa al Sole 24 Ore i risultati di un nuovo rapporto

di Sissi Bellomo

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3' di lettura

Un nuovo clamoroso sorpasso si sta preparando sulla strada verso la decarbonizzazione: il mercato globale dei metalli “green” – tra cui il litio, ma anche rame e nickel – ha raggiunto un valore intorno a 320 miliardi di dollari, più o meno alla pari con quello del minerale di ferro, la materia prima più scambiata al mondo dopo il petrolio.

È soprattutto su questa cifra (influenzata anche dai prezzi, oltre che dai volumi) che attira l’attenzione Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), illustrando in anteprima al Sole 24 Ore gli aspetti salienti della Critical Minerals Market Review, nuovo rapporto dell’agenzia Ocse destinato ad avere cadenza annuale.

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«Solo due anni fa – ricorda Birol – l’Aie avvertiva del rischio incombente di un divario sempre più grande tra domanda e offerta di minerali critici, ma per fortuna c’è stata una risposta positiva da parte di molti governi, che hanno varato strategie specifiche, e si è risvegliato un buon appetito tra gli investitori e nell’industria»

Anche se non possiamo ancora sentirci al sicuro – e la situazione di certo non è tutta rose e fiori, come riconosce la stessa Aie – qualche primo risultato incoraggiante c’è stato.

Gli investimenti in miniere e impianti di raffinazione sono aumentati del 20% nel 2021 e poi ancora del 30% nel 2022, con punte di incremento fino al 50% nel settore del litio, il più “caldo”, in cui la domanda è triplicata nel giro di cinque anni.

Il boom dei consumi è impressionante (ed è appena agli inizi) anche per altri metalli da batterie, con un’impennata del +70% per il cobalto e del 40% per il nickel tra il 2017 e il 2022, stima l’Agenzia parigina. I prezzi dei minerali critici, benché molto volatili, rimangono storicamente elevati. E gli incentivi statali per sviluppare le forniture hanno dato un’ulteriore spinta ad investire.

La comunità finanziaria è ormai «convinta che la transizione energetica sta andando forte», afferma Birol. «Se tutti i progetti saranno tradotti in realtà, avremo investimenti considerevoli, pari a tre quarti di quanto riteniamo necessario per centrare gli obiettivi sul clima». L’Aie punta il faro anche sul boom di finanziamenti in venture capital, significativo perché in controtendenza con altri settori: le startup specializzate in minerali critici hanno raccolto 1,6 miliardi di dollari nel 2022 (+160% in un anno)

La macchina insomma sembra essersi messa in moto. E di qui al 2030, si legge nel rapporto dell’Agenzia, le forniture di minerali critici «potrebbero essere sufficienti a sostenere gli impegni nazionali sul clima annunciati dai governi». Fin qui le buone notizie. Ma ci sono anche parecchie zone d’ombra: rischi e criticità che non saranno facili da superare.

Se l’offerta di materiali critici nel complesso migliora, avverte l’Aie, non ci basterà comunque per accelerare la transizione al punto da contenere il rialzo delle temperatura globale a 1,5 gradi. Anche perché i progressi sul fronte ESG non sono adeguati: nel mining c’è più rispetto per la sicurezza sul lavoro e le diversità di genere, ma le emissioni di CO2 per tonnellata di prodotto non scendono e il consumo di acqua addirittura è «quasi raddoppiato tra il 2018 e il 2021».

Non siamo sulla strada giusta nemmeno per la diversificazione dei fornitori: si assiste anzi a un ulteriore rafforzamento dei soggetti dominanti sul mercato, a cominciare dalla Cina. La quota di Pechino nella raffinazione dei metalli critici «è cresciuta ancora, superando i due terzi del totale nel mondo», fa notare Birol. E la Repubblica popolare sta intensificando la competizione con gli altri Paesi sul fronte delle risorse minerarie, di cui non sempre dispone nel proprio territorio (caso esemplare il cobalto, per cui anche la Cina dipende dalle miniere del Congo, ma di cui riesce comunque a controllare la filiera).

A contrastare gli sforzi di diversificazione – priorità assoluta in Europa – c’è anche l’aumento delle barriere commerciali, con restrizione all’export che per i materiali critici sono addirittura quintuplicate dal 2009, attraverso «quasi 200 politiche e normative in tutto il mondo, di cui oltre 100 emanate negli ultimi anni», ricorda l’Aie.

Anche in questo caso preoccupa la Cina, ultima in ordine di tempo ad imbracciare l’arma delle materie prime, con potenziali tagli alle forniture di gallio e germanio. Nell’immediato, rassicura Birol, «non vediamo una sfida rilevante» per la transizione energetica. Il rapporto Aie invita comunque a tenere alta la guardia anche su questi e altri minerali critici «di nicchia», per cui il mondo dipende da un gruppo ristretto di fornitori. Vengono citati il manganese e il fosforo «ad alta purezza», il magnesio e il silicio.

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