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Migranti, cosa cambia con la dichiarazione dello stato di emergenza

Si tratta di un atto amministrativo regolato dal codice di Protezione civile, deliberato dal Cdm di fronte all’eccezionale incremento dei flussi di migranti attraverso le rotte del Mediterraneo

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4' di lettura

Il governo ha deliberato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale a seguito dell’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti attraverso le rotte del Mediterraneo. Lo stato di emergenza, sostenuto da un primo finanziamento di cinque milioni di euro, avrà la durata di sei mesi. La decisione è stata presa in occasione del Consiglio dei ministri, che si è svolto martedì 11 aprile a Palazzo Chigi.

Meloni, stato d’emergenza per risposte più efficaci

La soluzione consente all’esecutivo di affrontare con mezzi e poteri straordinari una calamità, dalle crisi umanitarie agli eventi naturali come terremoti o alluvioni. Si tratta di un atto amministrativo regolato dal codice di Protezione civile, deliberato dal Cdm di fronte all’eccezionale incremento dei flussi di migranti attraverso le rotte del Mediterraneo. «Abbiamo deciso lo stato di emergenza sull’immigrazione per dare risposte più efficaci e tempestive alla gestione dei flussi», ha spiegato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. La soluzione consente di sbloccare fondi e poteri che permetteranno di gestire più rapidamente le criticità emerse con il moltiplicarsi degli arrivi, visto che dall’inizio del 2023 sono 31.200 migranti, registrando il +300% rispetto all’anno scorso, riempiendo tutti gli hotspot attualmente presenti nel Paese.

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Il precedente del 2011 durante il governo Berlusconi

Al momento in Italia sono in vigore circa una ventina di provvedimenti questo tipo, dall’emergenza dei profughi dell’Ucraina a diversi casi di alluvione, spesso decisi anche dopo la richiesta del presidente di una Regione o di una Provincia autonoma interessata. L’unico precedente in materia di migranti risale invece al 2011 con il governo Berlusconi e prevedeva un piano di equa distribuzione nelle regioni dei profughi provenienti dal Nordafrica, anche se all’epoca la legge prevedeva norme diverse.

Cosa prevede il Codice della Protezione civile

Lo stato d’emergenza nazionale è regolato dall’articolo 24 del Codice della Protezione civile sulla base di alcuni requisiti definiti nell’articolo 7: «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo».

Il commissario

Con la dichiarazione dello stato d’emergenza può essere nominato un commissario cui spetta il compito di realizzare gli interventi previsti dalla dichiarazione: il superamento dell’emergenza, la riduzione del rischio residuo, il ripristino dei servizi essenziali e l’assistenza alla popolazione. In questo caso si delinea quindi un nuovo assetto temporaneo di poteri, con deliberazioni non soggette al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti. Nelle prossime ore, salvo eccezioni, potrebbe già spuntare il nome del commissario. Tra i possibili candidati, l’attuale capo del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del Viminale, il prefetto Valerio Valenti.

Le risorse

La delibera stabilisce inoltre uno stanziamento di risorse finanziarie da destinare agli interventi urgenti e da attingere nel Fondo per le emergenze nazionali, che può essere progressivamente incrementato nel corso della durata dello stato di emergenza. Il provvedimento può avere anche un rilievo solo locale o regionale. Quando è di tipo nazionale non supera i dodici mesi ed è prorogabile per altri dodici mesi al massimo: oltre questi tempi va varata una legge attraverso un passaggio parlamentare. Grazie a un primo stanziamento di 5 milioni, poi 20 milioni per i sei mesi, l’esecutivo punta a creare nuovi posti per l’accoglienza, dai trasferimenti di migranti ai Centri di permanenza per il rimpatrio.

Migranti, la partita sulle modifiche al decreto Cutro

Non è l’unica partita che si gioca sul fronte dell’immigrazione. Un’ulteriore stretta alle norme già in vigore con il decreto Cutro si sta mettendo a punto in queste ore con gli emendamenti allo stesso dl in vista della sua conversione in legge. A fronte dei 21 emendamenti presentati dalla Lega, cinque da Forza Italia e quattro da FdI, si punta a compattare l’Esecutivo con un’intesa che sembra quasi raggiunta. La maggioranza sarebbe in dirittura d’arrivo per trovare la quadra su un’ulteriore stretta invocata dall’ex Carroccio e che riguarderà un dimezzamento dei tempi di verifica per il rinnovo della protezione speciale, da quattro a due anni. Ma anche regole più rigide per chi gode di questo status, affinché vi acceda solo chi ne ha effettivamente diritto. Ci sarebbe spazio di manovra anche per rendere l’interpretazione della protezione speciale più chiara, valutando con maggiore specificità i vari casi affinché siano evitati escamotage da parte di chi non ne ha diritto. Tra gli esempi citati in merito, quello di far decadere lo status di protezione speciale per chi rientra anche temporaneamente in patria. Anche i tempi di permanenza all’interno dei Centri per i rimpatri dovrebbero subire variazioni. Altri emendamenti puntano ad accelerare i tempi sull’eventuale riconoscimento della protezione internazionale e i provvedimenti di accompagnamento alla frontiera, attraverso una serie di semplificazioni burocratiche. Previsto anche il collegamento da remoto all’udienza di convalida per l’accompagnamento alla frontiera o il trattenimento nei centri di rimpatrio. Cade forse definitivamente l’ipotesi di una nuova struttura di missione al ministero dell’Interno sui «compiti consultivi e di indirizzo» per l’integrazione dei migranti, ma - viene fatto sapere - saranno trovate soluzioni alternative.

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L’ostruzionismo dell’opposizione

Gli emendamenti saranno discussi mercoledì 12 aprile in commissione Affari costituzionali al Senato e appare probabile che la maggioranza porterà poi a Palazzo Madama il provvedimento nei tempi previsti, tra il 18 e 20 aprile, ma andando in aula senza il mandato al relatore: un modo per arginare l’ostruzionismo dell’opposizione. Inoltre Fratelli d’Italia e il resto delle forze di maggioranza sarebbero disponibili a ritirare i propri emendamenti se il governo lo chiedesse. «L’opposizione ha già preannunciato ostruzionismo - ha sottolineato il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Alberto Balboni -. Se decide di farlo, andremo in aula senza il mandato al relatore, non sarebbe la prima volta. Se loro vogliono fare la battaglia ostruzionistica è nei loro diritti e con gli strumenti che il regolamento offre otterranno di andare in aula senza il mandato al relatore. Poi, in aula ci sono i tempi contingentati e lì è più difficile fare ostruzionismo, perché con il nuovo regolamento concluso il tempo della discussione, si vota e basta). Io non vedo l’utilità di questo atteggiamento, però è una scelta dell’opposizione. L’ho fatto anch’io, quindi capisco».

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