Misurare, gestire e prevenire il burnout con il benessere in ambito aziendale
Qualche nozione chiave in ambito psicologico aiuta a capire come il proprio comportamento possa creare, anche involontariamente, un ambiente a rischio
di Eva Campi *
4' di lettura
Risulta ormai evidente quanto la pandemia abbia aggravato le varie forme di stress e di esaurimento in moltissimi ambiti lavorativi. Questa condizione ha portato molte organizzazioni a diventare sia maggiormente consapevoli del fenomeno del burnout, sia più attente rispetto ai metodi per prevenirlo e gestirlo. Nel bisogno di tradurre in dati ciò che appartiene ad una sfera spesso difficile da descrivere e misurare, il Maslach Burnout Inventory (MBI) è uno strumento che, pur sviluppato nel 1981 (siamo ormai alla sua quarta edizione aggiornata) da Christina Maslach e Susan Jackson, è tornato di estrema attualità negli ultimi 20 mesi.
La parola burnout è diventata tristemente popolare e proprio per questo occorre definirla per non rischiare di generalizzare e semplificare uno stato psico-fisico invalidante e fortemente a rischio di stigma. L’MBI, in linea con la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2019, definisce il burnout una esperienza lavorativa che è caratterizzata da 3 dimensioni:
1) Sensazione di esaurimento e depauperamento delle energie.
2) Aumento del distacco mentale dal lavoro (cinismo).
3) Ridotta efficacia professionale.
L’MBI valuta tre dimensioni separatamente attraverso la misura della frequenza di comportamento (da “mai” ad “ogni giorno”) alla luce di affermazioni del tipo: “mi sento emotivamente esaurito a causa del mio lavoro”. Intervistata da Kim I. Mills, Sr. Director Strategic Communications & Public Affairs dell'American Psychological Association, Christina Maslach rimarca fortemente quanto il burnout non sia una condizione medica, ma una risposta allo stress prolungato o cronico in ambito occupazionale.
Può essere causato da eccessive richieste, carichi di lavoro esagerati, pressione sui tempi di realizzazione e consegna, attivazione continua da diversi stimoli e fonti di informazione, responsabilità sproporzionate, eccesso di decisioni da prendere, mancanza di controllo e autonomia sul proprio lavoro, conflitti, mancanza di equità, relazioni tossiche. Tendenzialmente possiamo affermare che siamo un po’ tutti a rischio burnout. Non è quindi un problema individuale, ma ha a che fare con l'ambito lavorativo in sé; ha a che fare con l’azienda, l’organizzazione e, in generale, con l’ambiente in cui si lavora e si intessono le relazioni professionali.
Per chi è responsabile di persone, riguarda direttamente il modo in cui vengono assegnati gli incarichi e gli obiettivi; il come e il perché si decida di fare X, invece di Y; riguarda la consapevolezza che, se vengono assegnati al team ulteriori task, si dovrà necessariamente rinunciare ad altri o posticiparli. Troppo spesso - citando la Maslach - di fronte al sovraccarico e al relativo aumento di stress, non pochi manager si comportano seguendo la massima: “Se non puoi sopportare il caldo, esci dalla cucina”.
Ebbene, è tempo di sfatare il mito che il “caldo” dipenda solo dalla percezione e dalla resilienza individuale; occorre lavorare anche “sulla cucina” per renderla un posto migliore per lo svolgimento di quel lavoro.Se siamo manager o leader è necessario interiorizzare qualche nozione chiave in ambito psicologico a proposito dell’impatto che il proprio comportamento ha sulla possibilità di creare, anche involontariamente, un ambiente a rischio burnout.
Ci sono, infatti, 5 pattern di comportamento da evitare in modo da aiutare l’organizzazione a ridurre le condizioni antecedenti al burnout.
1) L’uso di un linguaggio negativo. Spesso ci focalizziamo sulla comunicazione non-verbale come segnale per esprimere le nostre emozioni, ma occorre anche considerare quanto siano le parole che scegliamo a creare una connessione robusta tra i concetti che esprimiamo e lo stato emotivo che proviamo o che vogliamo influenzare. Un importante esercizio da compiere è quindi la ri-verbalizzazione delle parole negative.
2) L’agire in modo inusuale e incostante. Siamo portati a celebrare la spontaneità e l’imprevedibilità come elementi distintivi di menti libere e brillanti. Tuttavia, la maggior parte delle persone ha bisogno di ridurre intorno a sé l'incertezza. Cerchiamo di evitare di introdurre in modo incontrollato strati di complessità non necessari, ma creativi e “disruptive”. Lasciamo che i nostri collaboratori possano indovinare cosa viene dopo, sfidiamo anche la noia. Dopo l’uragano di questi quasi due anni, ce lo possiamo anche permettere.
3) La volatilità emotiva. Capi eccitabili ed eccitanti come le montagne russe, cacciatori di sensazioni forti e adrenaliniche, possono essere difficili da gestire. Al di là della nostra personalità, occorre contenere le nostre emozioni e preferire la calma e la stabilità emotiva.
4) L’eccesso di pessimismo. Nel nostro modo di pensare occidentale, il pessimismo viene stigmatizzato quasi come un problema psicologico. Durante una crisi, eccedere nel pessimismo può rappresentare un importante elemento di demotivazione per sé stessi e per gli altri. Cercando, tuttavia, di evitare “l’over-ottimismo” che Daniel Kahneman ha magistralmente descritto come foriero di sciagurate e imprudenti decisioni, manteniamo una vista obiettiva ed ecosistemica basata sui fatti, ma con uno sguardo alle opportunità piuttosto che ai problemi.
5) Ignorare le emozioni degli altri. Più siamo immersi nel nostro sentire, maggiore è il rischio di ignorare ciò che sta accadendo agli altri. L’empatia è uno degli antidoti migliori per prevenire il burnout. Nei momenti della verità, è importante misurare numeri, risultati, performance quanto osservare come le nostre persone stanno, come si sentono, gli umori ed i silenzi.
Siamo ad un punto della ricerca psico-sociale in cui metriche e azioni possono camminare di pari passo per creare ambienti lavorativi di maggior benessere. Mai come nel recente passato le variabili intangibili sono diventate più che tangibili, anzi così visibili da diventare “great”. Great Resignation vi dice qualcosa?
* Partner Newton SpA
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