Monini sceglie il «superintensivo», per l’olio extravergine a prova di sostenibilità
Trenta milioni di investimenti tra Umbria, Toscana e Puglia per 600 ettari di uliveti: l’obiettivo è una raccolta anticipata con basse rese per l’extravergine di alta qualità certificata
di Giorgio dell'Orefice
2' di lettura
Uno dei grandi ed endemici problemi dell’olivicoltura italiana è la mancanza di investimenti. Un settore andato avanti negli anni per inerzia, forte di una tradizione millenaria. Ma la tradizione da sola non basta e anche un comparto d’eccellenza senza investimenti rischia inevitabilmente di perdere posizioni. Nel settore, invece, nonostante gli innumerevoli annunci di piani olivicoli e di strategie nazionali, in concreto, è stato fatto poco. A provare a invertire la tendenza il brand Monini che ha avviato negli scorsi anni un importante progetto denominato “Bosco Monini”. L’obiettivo lanciato nell’ambito del progetto “A hand for the future” è ambizioso: piantare entro il 2030 un milione di nuove piante di olivo.
«Il piano – spiega il presidente e ad di Monini, Zefferino Monini – prevede di mettere a dimora un milione di ulivi entro il 2030. Adesso siamo già a quota 650mila. I nuovi oliveti occuperanno a regime 600 ettari (480 di sistema superintensivo e 120 di olivicoltura tradizionale) dislocati tra Umbria, Toscana e Puglia. Impianti condotti al 100% in olivicoltura biologica tranne una piccola parte che sarà destinata a produrre extravergine della Igp Toscano o della Dop Umbria».
Il progetto richiederà un investimento complessivo stimato di 30 milioni di euro e rappresenta il fulcro del piano di sostenibilità di Monini perché si prevede che i nuovi alberi (negli impianti intensivi si prevedono tra le mille e le 1.600 piante a ettaro contro le 280 dell'olivicoltura tradizionale) assorbiranno a regime 50mila tonnellate di CO2 (a oggi è stata raggiunta la carbon neutrality per il 67% delle bottiglie prodotte). Mentre è stimata una riduzione fino al 70-80% dei consumi di acqua. A questi risultati in campo si aggiungeranno quelli a valle della filiera con il 60-70% del vetro riciclato e il 50% del Pet.
«Il progetto improntato in massima parte all’olivicoltura biologica – aggiunge Monini – rappresenta una via italiana alla produzione superintensiva. Puntiamo infatti a fare superintensivo con raccolta anticipata basse rese per ottenere un extravergine di Alta Qualità certificata».
Ma non è un po’ una contraddizione in termini la coltivazione intensiva con basse rese? «No – dice ancora Zefferino Monini – è un’esigenza dettata dal mercato. All’Italia non basta produrre ma deve necessariamente collocarsi su una fascia premium del mercato anche con l’extravergine prodotto da oliveti intensivi. L’alta qualità si ottiene con basse rese, inferiori al 20% e con un prezzo al litro di circa 4,5 euro. Anche Portogallo e Tunisia stanno effettuando nuovi investimenti sull'olivicoltura intensiva e producono extravergine con un prezzo inferiore a 2 euro, in qualche caso 1,6. In quel segmento non abbiamo chance. L’unica strada e l’alta qualità, biologica e 100% italiana».
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