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Mostrare l'invisibile: la sfida artistica di Olafur Eliasson

Da anni le sue opere evocano l’urgenza d’intervenire contro la crisi climatica. Nella mostra al Castello di Rivoli, un’installazione di specchi invita all’azione.

di Gisela William

Olafur Eliasson nel suo studio a Berlino. © Felix Brüggemann

7' di lettura

Olafur Eliasson vuole mostrarci l'invisibile. Vuole farci sapere che esistono arcobaleni nell'oscurità, che l'orizzonte muta continuamente. Non gli basta farci capire la crisi climatica, ma - più pragmaticamente - ci spinge ad avvertirne l'urgenza. Vuole dirci che dobbiamo, e possiamo, plasmare il futuro proprio adesso. «Tendiamo a dare per scontato di sapere tutto, ma non è affatto così», dice Eliasson. L'artista danese-islandese, 55 anni, è in piedi nel suo ufficio, all'interno del suo studio a Berlino, uno spazio di circa 3mila metri quadrati sviluppato su quattro piani. Dal soffitto pendono sfere geodetiche di metallo e vetro colorato. «Noi non sappiamo di non vedere, ma il mondo che percepiamo non è l'intera realtà. Dobbiamo avere il coraggio di fare i conti con la nostra cecità». Le opere di Eliasson, ispirate tanto dalla fisica quanto dalle forme naturali, spingono chi le guarda a connettersi con la natura e a diventarne una specie di coproduttore attivo, invece che semplice fruitore.

Non a caso spesso sono troppo estese per essere contenute in spazi museali standard. Nel 2003 ha fatto apparire luce e nebbia alla Turbine Hall della Tate Modern per la sua installazione The Weather Project. Nel 2008 ha costruito quattro imponenti cascate nell'East River di Manhattan. Nel 2016 ha installato una cascata di oltre 40 metri che pareva levitare nei giardini di Versailles. E l'anno scorso ha letteralmente rimosso una parete della Fondazione Beyeler, edificio progettato da Renzo Piano, per allagare il museo portando lo stagno dall'esterno all'interno. L'artista richiama l'attenzione sul cambiamento climatico, immergendo le persone negli elementi naturali in maniera inedita - che si tratti di sciogliere il ghiaccio, di mostrare la maestosità dell'acqua in movimento o del sole - e sottolineando il fatto che ciascuno ha la facoltà e il potere di proteggerli. Eliasson è cresciuto a cavallo di due mondi: i suoi genitori si sono separati quando aveva otto anni e lui trascorre va il periodo scolastico a Copenhagen con la madre, e le estati e le vacanze in Islanda con il padre, aspirante artista che lavorava come cuoco sui pescherecci. Non c'è da stupirsi che si ispiri proprio alle sue avventure d'infanzia tra cascate spettacolari, distese ricoperte da colate di lava e orizzonti aspri e infiniti.

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La lavorazione di “Mirror my inner Buddha in me” (2022), Studio Olafur Eliasson. © Felix Brüggemann

Nel 2014 Eliasson e l'architetto Sebastian Behmann hanno fondato lo Studio Other Spaces, dedicato all'arte, al design e all'architettura allo scopo di aumentare la capacità di costruire spazi immersivi per i progetti sul clima. Quest'autunno, lo Studio Olafur Eliasson - che comprende laboratori di pittura, di lavorazione del legno, del vetro e del metallo - ha sovrinteso all'installazione di diversi interventi e spazi monumentali in tutto il Nord Italia, tra cui la mostra Nel tuo tempo, interamente dedicata all'artista, a Palazzo Strozzi a Firenze, e l'installazione di sei nuove opere intitolate Orizzonti tremanti nella Manica Lunga del Castello di Rivoli. La mostra, inaugurata il 3 novembre, è particolarmente significativa per il forte legame che lega Eliasson con la curatrice Marcella Beccaria e con la direttrice del Castello Carolyn Christov-Bakargiev. Quest'ultima ha anche collaborato al progetto A cielo aperto, quattro opere installate quest'anno in Piemonte, a Cuneo e provincia, per festeggiare il 30esimo anniversario della Fondazione no profit CRC. La prima, The Presence of Absence Pavilion - una scultura formata da un parallelepipedo in bronzo scavato all'interno a rappresentare il vuoto prodotto dallo scioglimento di un ghiacciaio - è di Eliasson, ed è stata collocata quest'estate presso il Castello di Grinzane Cavour, fuori Alba. «Quando entri nell'opera è come se diventassi quel pezzo di iceberg scomparso», spiega Christov-Bakargiev. Una connessione tangibile con gli effetti del cambiamento climatico.

Ritornando allo studio-fortezza di Berlino, Eliasson mi fa vedere un modello della sua mostra per la Manica Lunga del Castello di Rivoli, spiegandomi che le dimensioni lunghe e strette dell'ala - 147 metri di lunghezza per 6 metri di larghezza - hanno determinato il modo di fruirla. Lì sono state collocate sei opere, o «paesaggi caleidoscopici», come li chiama sul momento, che assomigliano a satelliti. Una volta dentro, le dimensioni risultano stravolte e improvvisamente - grazie a un gioco di specchi - l'interno di questi oggetti sembra molto più grande. «Come una magia alla Harry Potter», dice ridendo. «Si tratta di un esercizio per focalizzarsi su tutti i sensi e sul sincronismo delle varie dimensioni del tempo», continua. «Questo avviene quando puoi percepire al meglio la tua presenza nel mondo e considerare perché ti trovi qui». Lo scopo? Risvegliare le persone da uno «stato di torpore» per portarle a uno stato di esistenza più elevato che consenta di esprimere il proprio potenziale contribuendo a creare e trasformare il presente: un impegno che fa scattare una sensazione di connessione e responsabilità.

Gli domando se sia un concetto religioso. «Non sono contro la spiritualità, ma non penso che esista un ordine di verità superiore», puntualizza l'artista. «Mi piacerebbe realizzare uno spazio di fede, ma ogni volta che sono stato coinvolto in un progetto del genere il grado di emotività era troppo alto e l'ho abbandonato. Eppure, non sono d'accordo con il razionalismo estremo della nostra società, quella visione per cui all'orizzonte ci sia solo la realizzazione personale, il successo». Una visione più sfumata si riflette nel titolo del progetto, Orizzonti tremanti. Eliasson non si sente a suo agio con il dogmatismo né con l'idea di dover assegnare un compito alla sua opera, preferisce che questa parli al visitatore individualmente e che chi guarda si senta libero di decidere quale sia la sua responsabilità nel e verso il mondo. «Il progetto più importante è plasmare il pianeta Terra». «Incontrando l'opera di Olafur, i visitatori possono comprendere che è solo quando capiamo qual è il nostro posto nel mondo che finalmente cominciamo a fare qualcosa per cambiare e per evitare l'attuale distruzione del pianeta», afferma la curatrice Marcella Beccaria. La mostra è progettata per permettere ai visitatori di guardare ciò che sta dietro alle installazioni, che sono realizzate con bacini d'acqua e proiezioni. «Si vedono gli elementi tecnici che vanno a comporre l'opera», aggiunge. «Non è un'illusione».

Nel suo studio, l'artista si siede sulla bassa chaise longue disegnata da Patricia Urquiola, prende la chitarra e comincia a suonare. «Ho imparato durante il Covid», dice sorridendo. Un altro portato del lockdown è l'amicizia con Robert Macfarlane, autore britannico noto per i racconti sulla natura. Dopo aver letto il suo libro Underland. Un viaggio nel tempo profondo, in cui parla dei mondi sotterranei della terra, Eliasson l'ha contattato. Si sono confrontati su preoccupazioni e interessi in comune, dall'animismo alla morte del ghiacciaio islandese Okjökull, parlando della possibilità di collaborare a un'opera di Land Art nel Lake District. Messa da parte la chitarra, Eliasson torna alle opere per il Castello di Rivoli. Lo seguo in una grande stanza bianca a forma di L, dove, sulle pareti, sono fissati decine di pannelli di vetro colorato, soffiati artigianalmente da Lamberts Glass, un antico produttore tedesco con sede in Baviera. Mi ricordano un enorme mazzo di carte trasparenti, ciascuna con colori diversi, alcune hanno figure circolari impresse. Eliasson avvicina alcuni pannelli, per creare campi di colore cangianti. Nel corso degli anni ha realizzato diversi lavori utilizzando vetro dai colori brillanti, spazi che danno la sensazione di essere all'interno di un alveare o di un prisma. L'epica sala concerti Harpa di Reykjavík, in Islanda, ispirata alle luci dell'aurora boreale, è stata inaugurata nel 2011, mentre più di recente al Donum Estate, nella Sonoma Valley, è stato aperto il Vertical Panorama Pavilion, una struttura conica realizzata con 832 pannelli e progettata per allineare i sensi con la ricca biodiversità della regione.

L'artista al lavoro sulle opere della mostra “Orizzonti tremanti”. © Felix Brüggemann

Passiamo attraverso una stanza verde smeraldo, con un lungo bancone centrale, destinata in origine a ospitare incontri culturali. Sulla parete si susseguono dipinti, fotografie e disegni, tra cui quelli di suo padre, che aveva l'abitudine di appendere penne al soffitto della nave su cui lavorava, in modo che le punte toccassero dei fogli di carta: il movimento dell'imbarcazione avrebbe creato linee fino a formare l'opera. Questa idea delle forze naturali che generano arte è estremamente significativa e si mostra in tutta la sua evidenza quando entriamo nella stanza successiva: un gigantesco cubo bianco che i collaboratori dello studio chiamano Vortex. Eliasson spegne la luce e, nella semioscurità, lo seguo verso l'installazione in fondo alla stanza. Proprio come mi ha descritto, lo spazio interno sembra espandersi, gli specchi sui lati amplificano le dimensioni già imponenti dello spazio. Si crea una visione panoramica della luce emanata da una piccola vaschetta di acqua, che si rifrange sulla facciata. «Più è buia la stanza, più sono intensi e luminosi i colori», dice. Gli chiedo della Teoria dei colori di Goethe e della sua idea per cui il colore è plasmato dalla percezione e determinato sia dalla luce, sia dal buio. Annuisce: «Ho usato luce e colore come modo effimero per suggerire: “Se osate dare un'altra occhiata, scoprirete che c'è molto più da vedere di quello che appare nel quotidiano”».

Le opere di Orizzonti tremanti sono state in parte ispirate da James Webb, il più grande telescopio ottico presente nello spazio, che usa la risoluzione a infrarossi per vedere oggetti troppo lontani o indistinti persino per il telescopio spaziale Hubble. «Scatta fotografie che rendono visibile l'invisibile». Di recente, è riuscito a catturare, per la prima volta, i dettagli della Nebulosa Anello del Sud: due stelle - una in fase iniziale e l'altra una nana bianca che sta morendo - in una danza simultanea tra la vita e la morte, circondate da una sfera di gas e polvere. Dopo aver fissato per un minuto l'ipnotico cerchio di colori che vibra e danza, come l'elettrocardiogramma di un cuore agitato, distolgo gli occhi e mi vedo riflessa nello specchio alla mia destra. Guardo come attraverso il telescopio, ma invertita, il che mi spinge a rivolgere lo sguardo esterno verso l'interno e a esaminarmi con il medesimo senso di stupore e curiosità con cui contemplavo l'universo. Mi rendo conto che è questo che intendeva Eliasson: creare un'opera che abbia il potenziale di «riattivare la presenza». Lasciamo l'installazione, attraversiamo la stanza e l'artista riaccende la luce. «Dobbiamo plasmare il nostro futuro proprio ora, in questo istante, nel presente».

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