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Motivazione sul lavoro: come assicurarla a sé stessi e al proprio team

Gli italiani sono i meno coinvolti sul lavoro, con solo un 4% di engagement contro una già bassa media europea del 14% e globale del 21%

di Irene Vecchione *

(AFP)

3' di lettura

Cosa ci fa svegliare con entusiasmo al mattino? Cosa ci sostiene davvero e nel tempo sul lavoro? Cosa porta a scegliere di cambiare? La motivazione è l’energia psicologica che induce l’azione. Quando ci serve uno sprint, ingeriamo zucchero sotto forma di snack, ad esempio. Questo carburante è pronto all’uso, ma si consuma rapidamente, facendoci sentire il bisogno di un’altra “iniezione energetica”. Quando, invece, mangiamo una manciata di mandorle o facciamo una colazione salata, generiamo un’energia più durevole e favorevole alle alte prestazioni.

Lo stesso vale per la motivazione. Quella da “cibo spazzatura” è alimentata da ricompense, incentivi, potere, status, paura: gli equivalenti psicologici di zucchero e caffeina. Potremmo sperimentare una scarica iniziale di energia, ma la motivazione sub-ottimale creata non può sostenere la spinta necessaria per raggiungere gli obiettivi o prosperare in un medio-lungo termine.

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Vanno allora sfatati i falsi miti del motivatore esterno o della leva economica stand-alone, sostenendo invece percorsi di auto-consapevolezza che consentano alle persone di avere sempre presente quali sono le loro motivazioni profonde che sottendono le scelte professionali. Solo così potrà essere garantita un’automotivazione duratura.

Certo, come leader e manager possiamo incidere molto sull’energia dei nostri team: condividere il purpose dell’impresa, essere trasparenti, autentici, dare fiducia e valore a ciascuno attraverso l’ascolto e i feedback, rendere le persone autonome nel prendere decisioni in linea con la strategia aziendale, sostenere la cultura dell’errore e dell’organizzazione basata sull’apprendimento, offrire opportunità di crescita e di miglioramento permanente, leggere i singoli nella loro interezza e non solo come lavoratori…

Tuttavia, ripartendo dall’individuo: cosa anima la scelta di una nuova posizione? Cosa attrae? Cosa dà energia e cosa la toglie? Da cosa si è sostenuti nel percorso di crescita interno? In tal senso, il contributo di Edgar Schein agli studi organizzativi ha permesso di creare una tassonomia di otto ancore di carriera, di riferimento anche per noi di Tack TMI Italy per la creazione di un nuovo tool di digital assessment derivato dalla nostra expertise nel learning&development:

1) L’ancora manageriale, tipica di coloro che sono predisposti a ricoprire mansioni con responsabilità e potere decisionale.
2) La creatività imprenditoriale, propria di chi si impegna in attività creative e con alto livello di inventiva.
3) La sicurezza di chi, nel lavoro, ricerca stabilità e mansioni ben definite e organizzate.
4) L'autonomia per coloro che amano dimostrare di essere competenti a modo proprio, al proprio ritmo e con propri standard di riferimento.
5) Lo stile di vita che esprime la necessità di coordinare il lavoro agli impegni familiari.
6) La sfida pura, tipica di chi cerca autonomia lavorativa per perseguire valori personali.
7) Il servizio/dedizione alla causa propria di chi trae carica e gratificazione da attività che promuovono i valori umani e di servizio.
8) L’ancora tecnico-funzionale che consente di essere molto propensi all’apprendimento e all’acquisizione di competenze per svolgere ed essere attratti da lavori sfidanti.

In un clima di incertezza, ambiguità, volatilità, sapere riconoscere le proprie ancore di carriera (e quelle dei propri collaboratori) vuol dire, da un lato acquisire autoconsapevolezza della propria identità professionale, dall’altro avere a disposizione un potente strumento di orientamento che consente di fare scelte precise e coerenti con il proprio “io” e, di conseguenza, scommettere sulla solidità della propria e dell’altrui motivazione.

Ma quando e come ci accorgiamo di essere scarichi (noi stessi e il nostro team)? Le persone che hanno la tendenza a procrastinare, che patiscono la noia, che sono defocalizzate o fanno il minimo indispensabile evidentemente lo sono. Come si manifesta, invece, la motivazione? Si tratta viceversa di persone che si sentono ingaggiate, che si rivelano reattive e proattive, mentalmente focalizzate, resilienti di fronte agli ostacoli e propositive.

È quindi cruciale, anche per le direzioni HR, conoscere, e riconoscere, meglio le proprie persone per prendere decisioni più in linea con i valori e le ragioni profonde che le tengono ancorate a un determinato percorso di carriera. In fase di selezione, questo step è fondamentale per avere chiarezza sull’allineamento tra posizione e driver propri del candidato, ma anche durante i percorsi di carriera, quando il check sulla motivazione diventa fondamentale per la retention.

Se già anni fa Gallup segnalava una perdita di produttività per gli USA tra i 450 e i 550 miliardi di dollari annui per dipendenti demotivati, ora che dal suo ultimo State of the Global Workplace Report è emerso che gli italiani sono i meno coinvolti sul lavoro (con solo un 4% di engagement contro una già bassa media europea del 14% e globale del 21%) non solo vale la pena, ma anzi urge intervenire inserendo il tema motivazione nei piani di sviluppo aziendali per l’apprendimento e nei percorsi di performance management.

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