Napoli sempre più in volo. Milan e Juventus in caduta libera
Spalletti batte Mourinho 2-1 nella sfida tra i partenopei e la Roma. Rossoneri umiliati 5-2 dal Sassuolo. Madama ne prende due in casa col Monza
di Dario Ceccarelli
6' di lettura
La notizia sarebbe che il Napoli, battendo per 2-1 la Roma, è ormai padrone assoluto del campionato anche se resta da giocare tutto il girone di ritorno. Luciano Spalletti, per scaramanzia, storce la bocca e incrocia le dita. Ne ha ragione ma il dominio del Napoli, dopo il crollo per motivi diversi del Milan e della Juventus (con l’Inter seconda a 13 punti), è talmente schiacciante da cancellare ogni residua prudenza. Certo, può ancora succedere di tutto, in un campionato che, dopo i Mondiali in Qatar, sembra una improbabile fiction di fantascienza.
Napoli padrone assoluto
Il Napoli però, in questa torneo ai confini della realtà, è una delle poche certezze cui aggrapparci visto quello che è successo in campo contro la Roma di Mourinho: con Osimhen che nel primo tempo realizza un gol spaziale e con Simeone che, dopo il momentaneo pareggio di El Shaarawy, realizza il gol della vittoria con una perentoria sassata che non lascia scampo. Un Napoli forte, ma non fortissimo, che supera una Roma più bella del solito e pericolosa fino alla fine. In una sfida che è stata anche un faccia a faccia tra i due allenatori più carismatici presenti sulla piazza. Quel Luciano Spalletti, toscano di Certaldo, che sta portando allo scudetto il Napoli. E quel Josè Mourinho, fascinoso Pifferaio Magico, che incanta anche quando perde.
Non basta la Roma più bella dell’anno
Alla fine ha prevalso Spalletti, uomo di campo privo dello charme del portoghese, ma solido e legatissimo ai suoi giocatori. Che l’hanno seguito con altrettanto affetto e disciplina, come si è visto anche dall’ingresso di Simeone, subentrato nella ripresa, ben consapevole di quale fosse la sua missione, e cioè dare l’artigliata finale dopo la prima prodezza di Osimhen, bomber tra i bomber con 14 reti all’attivo. «Il Napoli vincerà lo scudetto», ha bofonchiato il Pifferaio Magico dando il viatico tricolore a Spalletti che naturalmente incrocia ancora le dita. La Roma comunque ne esce a testa alta, dando la sensazione che abbia già metabolizzato il distacco da Zaniolo, destinato a restare ai margini come un triste corpo estraneo in attesa di futura sistemazione. Chi ci rimette, dopo questa follia, è naturalmente lui, il giocatore. E poi il calcio italiano, mai così povero e bisognosi di talenti per la nazionale.
Il suicidio del Milan col Sassuolo (5-2)
La notizia sarebbe appunto il «quasi» scudetto del Napoli, o almeno questo nuovo allungo che sa proprio di fuga per la vittoria definitiva. Ma oltre al Napoli, in questa ventesima giornata, c’è un altro protagonista - in negativo - che ruba la scena ai partenopei vivendo una domenica da incubo all’ora di pranzo. È il Milan che, come se fosse impazzito, in una specie di suicidio di massa, perde in casa per 5-2 col Sassuolo davanti a 70mila tifosi sbalorditi, rimasti senza più voce e senza più speranze visto che questa umiliazione viene dopo una serie già disastrosa di partite. L’unico successo del 2023, dopo la pausa del mondiale, è stato il 2-1 di Salerno il 4 gennaio. Poi, come su un piano inclinato verso l’abisso, quattro sconfitte e due pari tra serie A e coppe. Un gennaio gelido come gli inverni padani di una volta.
È un Milan in ginocchio, incapace di rialzarsi con ben 12 gol incassati nelle ultime tre partite. Un massacro che non ha uguali. Un’ipnosi collettiva non spiegabile razionalmente.«È l’ora della terapia d’urto», aveva detto Pioli prima di questa domenica bestiale. Parole al vento, che non hanno lasciato alcun segno. Basti dire che dopo mezz’ora i rossoneri sono già sotto per 3-1. Un inizio peggiore di quello con il Lecce, ma almeno là dopo c’era stata una reazione. Questa volta no, nemmeno una vampata d’orgoglio, a parte l’inzuccata di Giroud che sul 2-0 aveva dato l’illusione di una reazione. Nient’altro, la seconda rete, quella di Origi, arriva nel finale quando ormai la disfatta è già servita con amaro e caffè. Gli emiliani, che non vincevano dal 24 ottobre, al confronto sembrano l’Argentina di Messi nella finale con la Francia.
E Berardi, che in queste carneficine si esalta, è il torturatore principe. Tutto viene da lui: un gol di testa su calcio d’angolo, tre assist, un totale dominio della sua zona. Teo Hernandez, al suo confronto, sparisce. Mai pervenuto. Distratto, abulico, poco reattivo. Peraltro come tutto il Milan, molle sulle gambe e nelle sincronie difensive. C’è anche molta confusione. Cambiare sei giocatori, rispetto alla partita con la Lazio, non ha aiutato. Ognuno poi sbaglia a modo suo: il portiere Tatarusanu, sul secondo gol del Sassuolo (Frattesi), non è certo impeccabile, ma è inutile cercar un singolo colpevole. È tutto il gruppo svanito nel nulla.
Il 5 febbraio derby con l’Inter
«Valuterò dei cambiamenti», dice Pioli rendendosi conto che questa squadra non è più la stessa di qualche mese fa, quella che ha vinto lo scudetto divertendo e facendo spettacolo. L’anno scorso il Milan, nell’ultima di campionato, aveva mangiato il Sassuolo. Ora la situazione è rovesciata. Il banchetto l’hanno fatto gli emiliani. In una situazione così precaria, con l’Inter in arrivo il prossimo 5 febbraio, e una Champions che fa paura, forse è meglio salvare il salvabile, mettere un argine a questa caduta senza fine. Perfino Leao è svanito nella sua bolla. Ora naturalmente saltano fuori i problemi di mercato. Quando una squadra gira, tutti vogliono restare. Al contrario, se si affonda, i topi scappano. Non mancano gli interrogativi sul mercato: d’accordo non far debiti, e non imitare i funambolismi contabili della Juve, però la campagna acquisti del Milan è stata finora fallimentare.
La nuova proprietà, il Redbird di Gerry Cardinale, da quando è alla guida del Milan (31 agosto), più che proclami non ha fatto. Tante belle parole, molto in inglese che fanno fine, ma poca sostanza. Si sente la mancanza di Ivan Gazidis, l’ex amministratore delegato dello scudetto. Il 31 gennaio il mercato chiude ma Pioli e Maldini hanno già detto che non ci sono new entry in arrivo, tantomeno Zaniolo che avrà già i suoi guai restando alla Roma. Il Milan, che ha già perso quasi tutti i suoi obiettivi di stagione (resta la Champions, ma con questi chiari di luna…), deve soprattutto mettersi in sicurezza. Perdere un posto in Champions vuol dire rinunciare ad altri 40 milioni, forse è il caso di ripartire da questa primaria consapevolezza.
Il Milan come la Nazionale dopo l’Europeo
Fatte le debite differenza, la crisi del Milan ricorda quella della nazionale italiana dopo il trionfo all’Europeo. In pochi mesi dall’euforia si è passati al panico. Un cambio di scena quasi sbalorditivo. Gli azzurri si sono fatti beffare dalla Macedonia, il Milan da chiunque incroci sulla sua strada. Viene in mente Jorginho che in azzurro ha sbagliato rigori elementari e decisivi. Nel Milan sembrano tutti dei Jorginho: molli, imprecisi, appagati. Come se, dopo il grande sforzo per lo scudetto, le energie fossero esaurite. In tutto questo è già cominciato il tiro al bersaglio su Pioli, santo fino a un mese fa, ora già guardato con sospetto. Pioli, con Maldini e Massara, è stato l’architetto della rinascita del Milan. Un po’ di rispetto non guasta anche se il calcio, come la politica, è mobile come una piuma al vento. «L’italiano sale sempre sul carro del vincitore, ma è prontissimo a scendere se si accorge d’aver sbagliato carro», diceva un saggio.
In picchiata anche la Juventus (0-2 col Monza)
A proposito di disfatte e crisi societarie sconcertanti, la Juventus torna a far parlare di sé. Più nel male che nel bene. A parte che oggi verranno rese note le motivazioni del meno 15 (ne sapremo delle belle), la squadra di Allegri si è presa una nuova ripassata dal Monza, sempre per due a zero, gol di Ciurria e Mota. Come all’andata, ma questa volta a Torino, la Juve ha dovuto alzare bandiera bianca dopo un primo tempo quasi peggiore di quello del Milan col Sassuolo. Una dormita colossale, quella dei bianconeri, che permette ai brianzoli di scavalcarli in classifica. «Dobbiamo far punti sul campo», aveva detto Max cercando di risvegliare il ferito orgoglio bianconero. Parole al vento anche le sue, visto che la Juve si è riconnessa solo dopo aver bevuto il tè tra il primo e il secondo tempo. Troppo tardi, però.
Nonostante l’ingresso di tutti i bomber disponibili (Milik, Vlahovic, Di Maria), il risultato non è cambiato grazie anche ai miracoli del portiere brianzolo De Gregorio, uscito alla fine per un infortunio muscolare. «Chi non pensa al campo, stia fuori», ha tuonato Allegri alludendo a quei giocatori più concentrati sulle vicende societarie che su quelle agonistiche. Butta male. Meglio che Allegri cominci già a scaldare i ragazzi della primavera.
Frena la Lazio (1-1 con la Fiorentina)
Chi perde una buona occasione per raggiungere l’Inter al secondo posto (40 punti), è la Lazio che pareggiando con la Fiorentina e si ferma al terzo posto a quota 38 con Milan e Atalanta. I biancocelesti, pur cercando i tre punti, hanno sciupato il vantaggio iniziale (gol di Casale) lasciando ai viola la possibilità di riequilibrare con Gonzales il match nella ripresa. Un’occasione sprecata. Ma il campionato è ancora lungo.
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