Narrazioni nel segno della fragilità
Frammenti che affondano nel vissuto e nella realtà quotidiana. La fragilità di ciò che appare come assoluto, e la serenità di esserne consapevoli
di Paolo Cendon
4' di lettura
Un libro “sulla fragilità”: autore Niccolò Nisivoccia, avvocato, pubblicista,/ poeta che vive e lavora a Milano. Editore “Le Farfalle”, siciliano; formato piccolo, carta grossa e raffinata, copertina bianca. Le pagine non sono numerate, saranno fra le cinquanta e le sessanta; ogni pagina tre epigrafi o equazioncine o aforismi o definizioni, diciamo così, una sotto l'altra.
La locuzione prescelta (dall'autore?) per la quarta di copertina è: «La fragilità di ogni cosa: perché tutto, sempre, può crollare, da un momento all'altro. Tutto può venire giù, sempre».
Dentro il libro ci sono frasi / poesiole di varia lunghezza, spesso con tre o quattro parole soltanto. Le formule preferite dall'autore, ellittiche, senza verbo essere, sono di solito «Fragilità come…» e «Fragiilità di ...».
Perché è stato scritto questo libriccino, che significato ha?
Una prima ipotesi è che si tratti di una sorta di bloc-notes in libertà, dell'autore, delle registrazioni di frammenti volanti, da utilizzare come punto nisivocciano di partenza: un semilavorato, autobiografico, ancora grezzo, a uso interno, un elenco di voci affastellate, una specie di quasi-vocabolario ossessivo e disordinato compilato per sé.
Nisivoccia si è fissato con la fragilità un certo giorno - chissà perché - e da allora gira per le strade di Milano col registratore sotto la giacca, ha un cervello fertile, è uno aperto chimicamente a 360°; e ogni volta che va a fare una passeggiata, dopo aver alzato il bavero, “sussurra e spara” qualche impressione, al suo magnetofono segreto, al suo diario.
Dopo un po' di tempo così si è ritrovato con circa 165 spezzoni galleggianti, li ha lasciati com'erano, senza toccarli, soavi e scintillanti, qualcuno più mesto, solenne, e li ha pubblicati, uno dietro l'altro. Da allora ogni tanto riprende in mano il suo libriccino, quando nessuno lo vede, lo sfoglia e si domanda: «Cos'è questa roba, cosa mi dice, cosa ne faccio adesso?».
Una seconda ipotesi è che Nisivoccia ci sfidi, ci voglia provocare. È arrabbiato, o è un burlone, e prende in giro il lettore, lo sconcerta deliberatamente.
Da un lato, cioè, sceglie un certo tema e ne fa l'oggetto di un libro; facendoci sopra poi il ballo della mattonella, poeticamente, convincendoti che si tratta di un argomento fondamentale, per studiare, per vivere, per muoversi oggi sulla terra. O sai cos'è la “fragilità”, ragazzo mio, o sei perduto nel 2019.
Dall'altro ci mitraglia - dentro, a ogni pagina - con correlati e indicazioni di tutti i tipi, a raffica, come i granelli di polvere che ti arrivano orizzontali a cento chilometri orari (ci siete mai stati?) sulla costa spagnola, all'estremo sud, Tarifa, nel punto in cui l'Atlantico si unisce al Mediterraneo.
Ci frastorna Nisivoccia, ci sommerge, ci martella, una gemma dopo l'altra, senza requie, c'è di tutto e il contrario di tutto, il bacio, il sonno, la verità, il corpo, la legge, Berlinguer, il confine, la dolcezza, il vento, il destino, la politica, il dovere, le mani, il progetto, la vertigine, la note, la pazienza, il dopo, Camus, la forza, la bellezza, la luce ... e cosi avanti.
Una tecnica junghiana, una pioggia di associazioni, di stelle, di grandine, da cui usciamo elettrizzati ma anche - si fa più presto a dire cosa non c'è, nel libro - confusi, spaesati, tramortiti, ubriacati, groggy.
Una terza ipotesi è a metà strada. Ci sono in realtà - dentro quel pulviscolo straniante - dei fili conduttori ben precisi, comunque è una vetrina di menu intrecciati, dove il lettore può scegliere.
Nisivoccia ci ha aperto il suo tappetino di velluto bianco e dentro-sopra vediamo ora tantissime perline, caramelline, gioielli, nastrini, fragole forse vere forse finte, spillette, cammei, una collezione ricca e inedita, da poeta-girovago di classe, e ognuno di noi potrà grazie a lui “impirare” le sue perle identitarie, scegliere il suo bottino di preziosità di verità tristi o allegre, metà inaspettate. Montalianamente Nisivoccia ci dice soprattutto “cosa non siamo e cosa non vogliamo”.
Non è certamente, l'avrete capito, non è un «libro fatto per chi è come …» o «per chi vuole diventare come» … e qui aggiungete pure voi i nomi di coloro (politici nostrani e non) che non credo compreranno questo libro: I muscolari, cioè, gli apodittici, i boss, i predatori, i monumentali, gli uomini con fronte di cane come diceva Pasolini, quelli che non chiedono mai, i granitici, gli altezzosi, gli opportunisti, quelli che vincono sempre.
Ma entro quell'ampio steccato di frontiera (mitezza, sospensione, attesa, chiaroscuralità, vulnerabilità, mistero, caducità) ognuno di noi è invitato – ecco il punto - a trovare nel luminoso / fragrante tappetino di Nisivoccia i filoni suoi, le combinazioni più amiche, i bandoli e le “famigliole fragilologiche” che più gli aggradano, che più gli possono insegnare a capire che cos'è lui, o almeno cosa non è, cosa è meglio che non sia …
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