SBAGLIANDO SI IMPARA

Nelle organizzazioni del futuro occorrerà saper “pensare bene”

Serve attenzione al benessere collettivo che contribuisce alla creazione di un valore evidente per l’individuo e per l’organizzazione in cui lavora

di Alberto Varriale *

(AFP)

3' di lettura

Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere in rete diversi articoli dedicati ai cambiamenti che le aziende dovranno affrontare nell'immediato futuro: smart working, digitalizzazione, diversità, inclusione, sostenibilità, nuove forme di leadership, intelligenza artificiale, saranno alcuni degli elementi che caratterizzeranno il futuro delle organizzazioni dove, si spera, non resisterà quello che alcuni studiosi definiscono il conservatorismo manageriale. La pandemia ha cambiato le abitudini nelle organizzazioni, proiettandole in una discontinuità che necessita di percorsi che rendano i comportamenti delle persone adeguati al contesto in cui agiscono, in una condizione caratterizzata dall’assenza di un territorio sicuro dove edificare nuove convinzioni.

Alcune risposte del management mostrano un forte orientamento a modelli organizzativi più flessibili e meno gerarchici, con una nuova attenzione a quell’umanesimo aziendale che mette (o vorrebbe mettere) in evidenza la centralità della persona e della comunità. Un orizzonte che si dilata, dove non si evoca più un principio retorico, ma una reale attenzione al benessere collettivo che contribuisce alla creazione di un valore evidente per l’individuo e per l’organizzazione in cui lavora. Per un tale risultato e per favorire la capacità di cogliere e definire nuove traiettorie, scongiurando la monotonia della ripetizione occorrerà, probabilmente, imparare a “pensare bene”.

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A tal riguardo, vorrei condividere le riflessioni di tre autori italiani che, per un puro caso, sono accomunati dallo stesso nome: Alessandro. Può apparire curioso che l’etimologia del nome, a proposito di umanesimo, derivi dal greco “Alexandros”, composto dai termini “alexo” (aiutare) e “aner” uomo. Dato l’argomento, sembrerebbe una strana coincidenza. Ma procediamo in ordine alfabetico.

Alessandro Baricco. Lo scrittore torinese, in suo recente articolo intitolato “Mai più” (cercatelo in rete, a mio avviso merita decisamente di esser letto), sostiene che oggi occorre un’intelligenza nuova, più flessibile, nomade, diffusa. Un’intelligenza emotiva, prosegue Baricco, non nel senso che scoppierà a piangere ogni tre minuti, ma nel senso che lavorerà a partire dalle emozioni. Si muoverà cercando di processare le vibrazioni che, attraverso le emozioni, riceverà dal mondo. Così, essere intelligenti coinciderà con la capacità di registrare il mondo, di sentirlo.

Qualsiasi astrazione concettuale elaborata per sintetizzare a freddo la realtà sarà considerata una mappa semplicistica e dunque rischiosa. Nulla di cerebrale sarà considerato utile. Ogni prassi capace di educare alle emozioni sarà guardata con rispetto. Finalmente, aggiungerei! Ho notato con piacere che in molte aziende di recente la Funzione HR ha mostrato la volontà e la determinazione di promuovere, ad esempio, percorsi di crescita incentrati, sulla mindfulness o sull’intelligenza emotiva. Questo indica che in Italia diverse organizzazioni iniziano a comprendere l’importanza di includere al proprio interno persone che sappiano “pensare bene”, considerando lo scenario complesso che si trovano e si troveranno ad affrontare.

Alessandro Cravera. Probabilmente uno dei massimi esperti in Italia sul tema della complessità, nel suo recente testo intitolato “Allenarsi alla complessità” spiega con grande chiarezza perché occorre pensare bene per governare fenomeni complessi. Tra le riflessioni che l’autore stimola, una in particolare ha colpito la mia attenzione e la riporto testualmente: i fenomeni complessi non prevedono una soluzione ottimale, una ricetta o best practice che, una volta adottata, garantisce l’ottenimento di un risultato. Questo aspetto incide sulle strategie di azione e sui percorsi di apprendimento. E, riflettendo sui temi dell'apprendimento, approdiamo al terzo autore.

Alessandro Donadio. Esperto di formazione e di sviluppo organizzativo nel suo ultimo libro “#Learning Organization” illustra come le crisi crescenti, tipiche di sistemi complessi nei quali viviamo, richiedono organizzazioni che si fondino sulla capacità di apprendere continuamente, per adattarsi, evolvere, riformarsi senza soluzione di continuità.

Ricapitolando, potremmo dire che alcuni degli elementi per “pensare bene” siano caratterizzati da un apprendimento continuo e da un’intelligenza flessibile che permetta di navigare nel mare della complessità. A questo aggiungo che “pensare bene” significa - a mio avviso - saper connettere cuore e intelletto, osservando le cose nel loro insieme, evitando una costante ricerca di risposte e aumentando il numero di domande generative da porsi.

Sarà questa la strada? Ad oggi, non so fornire una risposta, ma nel riflettere su questa domanda mi tornano alle mente le parole del poeta spagnolo Antonio Machado, racchiuse in una sua celebre poesia: “caminante, no hay camino: se hace camino al andar” (viaggiatore, non c’è cammino: si fa il cammino camminando).

* Partner di Newton Spa

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