Paradosso Usa: l’economia frena, ma la disoccupazione cade ai minimi dal 1969
A gennaio l’economia Usa ha creato mezzo milione di posti di lavoro, nonostante la crisi: ecco i motivi del paradosso che mette in difficoltà la Fed
di Morya Longo
3' di lettura
L’economia statunitense rallenta, colpita da inflazione e rialzo dei tassi. Il settore che fa sempre notizia, quello tecnologico, licenzia. Eppure il mercato del lavoro Oltreoceano va a gonfie vele: a gennaio - secondo i dati pubblicati ieri dal Dipartimento del Lavoro - l’economia a stelle e strisce ha aggiunto mezzo milione di nuovi posti di lavoro nel settore non agricolo (superando le aspettative), tanto che il tasso di disoccupazione è sceso al 3,4%. Si tratta del minimo dal 1969: anno in cui veniva eletto alla Casa Bianca Richard Nixon. Insomma: l’economia americana, che ha avuto molte fasi di espansione negli ultimi decenni, quando raggiunge il minimo di disoccupazione? In un momento di rallentamento. Di grande incertezza. Perché? Come interpretare questo paradosso?
Tutti i settori coinvolti
A prescindere dal fatto che alcuni economisti mettono questo dato un po’ in dubbio (perché altre statistiche mostrano minore tonicità e dunque i numeri pubblicati ieri potrebbero essere falsati un po’ da effetti statistici o stagionali), il dato di fatto è che il mercato del lavoro negli Stati Uniti resta tonico. Perché se anche il numero clamoroso di gennaio fosse sovrastimato, resta il fatto che in tutto il 2022 l’economia Usa ha aggiunto in media 375mila posti di lavoro ogni singolo mese. E lo ha fatto in tutti i settori: nel mese di gennaio il settore servizi ha creato 397mila posti, quello dell’ospitalità e tempo libero 128mila e quello manifatturiero 19mila. Persino il tartassato settore delle costruzioni, colpito dal rincaro dei tassi, ha prodotto 25mila nuovi lavoratori. Torniamo dunque alla domanda iniziale: perché questa vivacità?
Le ragioni del boom del lavoro
Le ragioni possono essere tante. Da un lato perché l’economia Usa, pur in frenata, resta tonica. Più delle attese. Lo dimostra l’indice Ism del settore manifatturiero, salito ieri di 6 punti a 55,2. Inoltre una spiegazione la offre il cosiddetto tasso di “partecipazione”: la percentuale di popolazione adulta che lavora o cerca attivamente un lavoro è attualmente al 62,4%. Cioè ancora sotto i livelli pre-pandemici (quando stava sopra il 63%) e ben sotto i livelli degli inizi degli anni 2000 quando stava al 67%.
È la demografia, bellezza
Questo è l’effetto innanzitutto dell’andamento demografico: siamo in un’epoca in cui i baby-boomers vanno o sono in pensione e in cui le nuove generazioni sono proporzionalmente sempre più ridotte. Aumenta insomma chi esce dal mercato del lavoro, ma non cresce in maniera proporzionale chi ci entra. C’è poi il fenomeno, nato dopo il Covid, di chi si dimette senza avere un nuovo posto di lavoro. La cosiddetta “Great Resignation”. Scrive la Fed di New York che a novembre 2022 la percentuale di popolazione che cercava lavoro era scesa al 18,8%, dal 24,7% di luglio. Anche questo riduce la forza di lavoro e, di conseguenza, abbassa il tasso di disoccupazione.
Ci sono stati anche i super-sussidi alla disoccupazione dati durante il Covid negli Usa, oggi però tornati alla normalità, che possono aver indotto molti lavoratori (soprattutto in età avanzata) ad abbandonare. C’è il fatto che chi si ritira dal lavoro a 59 anni e mezzo può riscattare il fondo pensione senza pagare tasse. I motivi possono essere tanti. Sta di fatto che il mercato del lavoro resta forte. E questo potrebbe spingere la Fed ad alzare i tassi più di quanto il mercato non si aspetti.
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