Parigi sulla scia di Milano, tornano rigore e sartorialità
Da Louis Vuitton la collezione è frutto del lavoro di un team stilistico, con l’esibizione dal vivo della cantautrice Rosalía. Rick Owens allestisce lo show come una volta, con passerella rialzata
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
Il movimento iniziato a Milano diventa conclamato a Parigi: la moda maschile riscopre eleganza e formalità, nozioni a lungo neglette se non proprio vilipese. Se lo slittamento, da un lato, rinfranca, dopo garrule stagioni di pagliaccesco pseudorealismo, dall’altro indica anche il ritorno ad un certo conservatorismo. L’immaginario collettivo – potremmo dire – svolta a destra, ecco, ma non è tutta o solo restaurazione. Rick Owens mescola formalità e deboscio in una prova di potenza dirompente e assoluto rigore stilistico. La sfilata si svolge su una passerella rialzata – come gli show di una volta – in mezzo al fumo, ed è quasi per intero nera, con le vite alte, le gonne midi – gonne, sí: sdoganate al maschile, per sempre – le spalle a punta e i tacchi che allungano ancor di piú la silhouette draculesca e verticale. Il riferimento vittoriano è esplicito e intenzionale, perché, dice Owens «il moralismo di quel momento storico è pari a quello attuale», ma è tagliato da tocchi di, sono sempre parole sue «corrotto pseudo-spiritualismo anni settanta». Ovvero: iniezioni di denim sdrucito, trucco colato, e una fremente energia che potremmo definire sessuale che manda tutto per aria. La contrapposizione di forze produce un segno elegante e furioso, formale e per nulla rassicurante, che è uno dei picchi di stagione.
Da Givenchy, Matthew Williams apre con quattro abiti impeccabili, dalle spalle ampie e la linea netta, realizzati in atelier in omaggio alle radici couture della maison, ma presto ritorna nei territori a lui più familiari delle stratificazioni urbane, degli sbrindellamenti da giungla d’asfalto, di un certo laissez faire da figuro cool. Le due lingue poco si parlano e poco si amalgamano, ma l’intuizione di partenza ha ragione di essere.
In doppiopetto impeccabile e guanti di lattice, l’assassino di Louis Gabriel Nouchi si ispira al film American Psycho, ma esprime anche una bella espansione di età e tipi fisici.
L’uomo Saint Laurent nella visione di Anthony Vaccarello è nerovestito, sottile, allungato, con le spalle decise e il fiocco al collo; porta un grande bracciale d’argento sulle maniche del trench, ha un cappuccio drappeggiato sui capelli gellati e indossa larghi pantaloni che sembrano quelli della tuta, maglioni lunghissimi, cappotti marziali; appare fragile e inarrivabile, romanticissimo: una pura fantasia, vibrante di struggimento. Affrancandosi definitivamente dal modello settato dai predecessori, Vaccarello imprime un segno autoriale, giocando sulla androginia che è codice fondante della maison. Se lei, in Saint Laurent, ruba il tuxedo a lui, così lui può rubare a lei trench chilometrici, bracciali e tuniche. È la naturalezza di questo codice fluido che convince, insieme alla concisione, alla assenza di sbavature, all’ossessione per l’eleganza.
Da Louis Vuitton la sintesi non è in alcun modo contemplata; al contrario, si mescolano le voci e le direzioni. In omaggio allo spirito aggregativo dal mai dimenticato Virgil Abloh, la collezione è infatti un opus corale che coinvolge, oltre al team stilistico interno, Colm Dillane, mastermind del brand americano Kidsuper, i registi Michel e Olivier Gondry, lo stylist Ibraham Kamara, la direttrice creativa ucraina Lina Kutsovskaya, e Rosalia che si esibisce dal vivo in passerella. Interessante la scelta del tema adulto-bambino, ma trovare un filo rosso e interpretare è molto difficile, e quel che rimane sono solo soprattutto cose, oggetti, e molto spettacolo.
Anche da Homme Plissè Issey Miyake non c’è un autore espresso ma un team, eppure la direzione è chiara, univoca ed espansiva. Le possibilità della plissettatura applicate al guardaroba maschile, infatti, sono ben lungi dall’essere limitanti.
Al contrario, consentono numerose modulazioni. A questo giro il gioco di forme geometriche elementari disposte in modo da creare figure complesse è particolarmente riuscito, e si traduce in una idea di movimento e ritmo che non è formale, ma certamente elegante.
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