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Produzione di olio d’oliva ai minimi storici in tutta Europa

In Italia prevista una raccolta per 200mila tonnellate (erano 700mila); in calo anche Spagna e Portogallo. Assitol: «Indispensabile modernizzare la filiera rinnovando impianti e processi»

di Giorgio dell'Orefice

Giornata mondiale dell'ulivo. Si festeggia oggi la Giornata mondiale dell'ulivo anche se non mancano le difficoltà: la produzione di olio extravergine negli ultimi anni si è costantemente ridotta

3' di lettura

Quello che si profila per l’olio d’oliva, in Italia e in Europa, è uno scenario tra i peggiori mai vissuti. In Italia la produzione dell’annata 2022-23 si avvicina al proprio minimo storico con circa 200mila tonnellate (all’inizio degli anni 2000 eravamo ancora oltre le 700mila), ma soprattutto la Spagna registrerà, dopo anni di continua crescita (sempre sopra il milione di tonnellate fino ai record del 2013 e 2018 con quasi 1,8 milioni), una forte flessione: quest’anno sono previste meno di 900mila tonnellate. Il Paese iberico negli ultimi venti anni grazie alla propria superproduzione ha assicurato il prodotto ai mercati e calmierato i prezzi.

Insomma, manca l’olio d’oliva. Un buco d’offerta che sarà pesante per l’Italia che, a fronte di una produzione ormai stabilizzata attorno alle 2-300mila tonnellate, oltre a essere un importante consumatore (in media si le famiglie acquistano 600mila tonnellate l’anno) è anche un importante esportatore (l’export viaggia sulle 400mila tonnellate). Non avendo una produzione sufficiente a fronteggiare un fabbisogno di un milione di tonnellate l’anno, l’Italia esporta soprattutto miscele di extravergine tra il poco olio made in Italy e quello di diversa provenienza. Il pesante buco produttivo, danneggerà quindi sia i consumi interni (con un inevitabile rialzo dei prezzi) che il fatturato delle imprese che esportano.

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Le cause sono soprattutto strutturali ma anche legate alla contingenza. Probabilmente i tempi di raccolta avanzati nel corso dell’anno (tra ottobre e novembre e anche oltre) hanno fatto sì che la produzione olivicola vivesse l’intero impatto negativo della siccità, alla pari di altri settori, ma a differenza di altre produzioni, scontasse anche gli effetti del ritorno delle piogge autunnali. Infatti, mentre altri comparti dell’agricoltura, protetti dal caldo estivo, hanno subito pochissimi attacchi patogeni, l’olio d’oliva ha scontato anche la forte presenza, in varie aree produttive d’Europa della mosca olearia.

Di fatto, e in particolare in Italia, il settore si trova nella Giornata mondiale dell’ulivo che cade proprio oggi, ad avere ben poco da festeggiare. Il tema non è nuovo. L’olio made in Italy ha vissuto un altro annus horribilis nella stagione 2017-18. Ma l’unica vera costante del settore olivicolo italiano di questi anni è che dopo gli allarmi, le ciocche di capelli strappate, e i tanti annunci alla ricerca di rimedi, poi di investimenti (la vera variabile decisiva quando si parla di un’attività imprenditoriale), neanche l’ombra.

«Intanto la campagna 2022-23 sarà difficile anche per la Spagna – commenta il direttore dell’Assitol, l’associazione delle industrie olearie, Andrea Carrassi – che non supererà le 900mila tonnellate. Gli effetti già si vedono con la riduzione dell’offerta e conseguente aumento dei prezzi. Il problema riguarda tutto il bacino del Mediterraneo. Non va meglio in Portogallo (-40%) e Tunisia (-16%). È vero che stanno crescendo altre realtà nell’area del mediterraneo, come Turchia, Egitto, Marocco, Algeria e persino la Libia. Tuttavia, siamo ancora lontani dai quantitativi di produttori storici come i nostri concorrenti iberici. Unica eccezione la Tunisia, che ha già assunto un ruolo importante sui mercati internazionali e si è dimostrata molto competitiva, sia sulle quantità sia sulla qualità. Quello che invece dovremmo fare è impegnarci sull’aumento delle quantità e delle rese in Italia».

Qualcuno cerca di consolarsi pensando che con il prevedibile incremento dei prezzi sarà possibile almeno in parte una valorizzazione dell’extravergine spesso penalizzato invece dalla forte pressione promozionale delle catene distributive. «Meglio non farsi illusioni – taglia corto Carrassi –. In un quadro di crisi economica l’aumento dei prezzi non aiuterebbe il rilancio dell’extravergine con consumatori alle prese con l’inflazione (che incide pesantemente anche sui costi produttivi). Occorre lavorare sulla comunicazione con campagne che parlino dell’extravergine non come di un condimento qualsiasi ma puntino, attraverso gli assaggi e la leva del valore salutistico, su un prodotto succo delle olive e vero concentrato di proprietà benefiche e di gusto. In un anno difficile come questo ci auguriamo almeno una riduzione delle pressanti campagne promozionali che vedono spesso l’extravergine venduto sottocosto e come prodotto civetta. Anche la distribuzione dia una mano».

I principali nodi Assitol li ha individuati anche grazie a uno studio di Nomisma presentato in occasione dei cinquant’anni dell’associazione. Aziende di piccole dimensioni (1,6 ettari, molto meno degli altri produttori, persino della Francia che ha aziende di 2,1 ettari) e metodi produttivi poco efficienti e sostenibili. «Serve un piano di modernizzazione – conclude il dg Assitol – centrato sul rinnovamento di impianti e processi produttivi, investimenti e maggiore professionalizzazione degli addetti e agricoltura di precisione per combattere i cambiamenti climatici. E poi una comunicazione centrata sulle proprietà dell’extravergine e non solo sui prezzi bassi. Ma, soprattutto, serve un piano che non resti sulla carta».

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