Proteine alternative, Bcg: accelerano investimenti e consumi
I capitali investiti sono passati da 1 a 5 miliardi di dollari in due anni. I miglioramenti nel gusto e nei valori nutrizionali uniti alla diminuzione di prezzo e alle semplificazioni normative motivate da logiche green, ne aumenteranno la diffusione.
di Emiliano Sgambato
3' di lettura
Aumentano gli investimenti sulle cosiddette “proteine alternative”, cioè su tutta quella gamma di prodotti a base vegetale (o, ma in questo caso siamo ancora in fase sperimentale, a base di cellule coltivate in vitro) che ha come scopo quello di sostituire carne, pesce, formaggio e altri alimenti proteici.
La convinzione degli investitori è da un lato che questo tipo di produzioni siano sempre più sostenute dalla politiche pubbliche e dall’altro che siamo in vista di un’accelerazione nel cambio delle abitudini alimentari (i consumi sono già in aumento). In entrambi i casi la motivazione sarebbe la medesima: il minor impatto ambientale di questi prodotti, dato che gli allevamenti intensivi sono tra i principali imputati per l’aumento dell’effetto serra con conseguente surriscaldamento globale.
A indagare lo scenario in trasformazione del “plant based” è un nuovo report di Boston Consulting Group (Bcg) e Blue Horizon: “Food for Thought: The Untapped Climate Opportunity in Alternative Proteins”. La società di consulenza già lo scorso anno aveva stimato che le proteine alternative potranno rappresentare l’11% di tutto il consumo di proteine entro il 2035 per un fatturato globale di 290 miliardi di dollari.
Secondo la nuova indagine, condotta su 3.700 intervistati in 7 Paesi, oltre il 30% del campione ritiene che avere un impatto positivo sul clima sia la ragione principale per passare alle proteine alternative. Il 60% ha già avuto esperienze di consumo (il 50% le ha incrementate durante la pandemia), il 55% frequentemente e il 13% in modo esclusivo o quasi. Quest’ultima quota potrebbe però raddoppiare «se venissero affrontate le maggiori inibizioni dei consumatori verso questi prodotti». Dovrebbe cioè diminuire il prezzo, migliorare il gusto e dovrebbero essere fornite maggiori garanzie sui valori nutrizionali.
«Se supportate dalla tecnologia, dagli investimenti e dalle autorità di regolamentazione, le proteine alternative hanno margine per raddoppiare la propria quota di mercato, sempre entro il 2035. Questo non ci stupisce considerando i passi da gigante fatti da questo tipo di prodotti in termini di accettazione da parte dei consumatori», spiega Lamberto Biscarini, managing director e senior partner di Bcg.
Secondo il Good Food Institute, il capitale di rischio investito nelle proteine alternative è passato da 1 miliardo di dollari nel 2019 a 5 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento del tasso annuo del 124%. Inoltre, stanno crescendo gli investimenti in aziende specializzate in nuove tecnologie come le proteine da fermentazione (+137% dal 2019 al 2021) e a base di cellule animali (+425%).
«L’incremento complessivo degli investimenti nel settore – spiega il report – è coerente con una più ampia attenzione agli investimenti sostenibili, che crescono da tre a cinque volte più velocemente di quelli tradizionali». Inoltre, «anche molte aziende alimentari tradizionali fanno investimenti mentre i progressi tecnologici contribuiscono a far arrivare nuovi prodotti sul mercato, compresi quelli ibridi, e anche i costi sono in diminuzione, avvicinandosi alla parità con i prodotti a base di proteine animali».
Intanto le autorità di regolamentazione di tutto il mondo «stanno revisionando molte procedure e affrontando diverse questioni che riguardano le proteine alternative, dagli hub biotecnologici alle esigenze delle startup, dall'approvvigionamento alla sicurezza alimentare».
Alla base di questa trasformazione c’è la spinta green: «Il sistema alimentare è responsabile del 26% delle attuali emissioni globali di gas serra – argomenta il report – e la sola agricoltura animale produce il 15% delle emissioni, pari all'incirca a quelle del settore dei trasporti». Nel rapporto Food for Thought del 2021, Bcg ha stimato che il passaggio alle proteine alternative farà risparmiare 1 gigatone (Gt) di CO2 entro il 2035, ossia circa 0,85 Gt di CO2 equivalente (CO2e) a livello mondiale entro il 2030. Se sostituissero il mercato totale delle proteine animali, le emissioni globali di gas serra diminuirebbero di oltre 6 Gt CO2e, con un risparmio potenziale compreso tra 303 e 484 miliardi di dollari.
«Questi dati rendono chiaro che si tratta di una grande opportunità per il settore alimentare: gli investimenti nelle proteine alternative producono un impatto del capitale impiegato (IoCE) superiore a quello che possono ottenere i corrispondenti investimenti di decarbonizzazione in altri settori ad alta emissione, come ad esempio il passaggio alle pompe di calore negli edifici più vecchi», conclude Biscarini.
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