Puntare sulla Lamborghini Urraco è un buon investimento per il collezionista
I prezzi vanno dai circa centomila euro della due litri ai 230mila per una rara Silhouette, ma la vera sfida è trovare una 3000 di colore metallizzato
di Vittorio Falzoni Gallerani
3' di lettura
La sobria Islero, nel 1968, avrebbe potuto indurre qualcuno a pensare che alla Lamborghini Automobili il festival dello stile iniziato con la Miura e proseguito con l’Espada si fosse esaurito; per la clamorosa smentita occorsero due anni di attesa ma nel 1970 la Jarama e, ancora di più, Urraco dimostrarono che la carica innovativa dei propri prodotti, a Sant’Agata, doveva continuare assolutamente ad essere visibile al pubblico fin dalla prima occhiata.
E sulla piccola Urraco P250 le novità erano molte, a cominciare dai quattro posti pur con motore centrale: un problema apparentemente irrisolvibile la cui soluzione sarà ottenuta spostando in avanti l’abitacolo fino a portare il parabrezza quasi sopra alle ruote anteriori; una operazione che porta però con se una conseguenza marginalmente negativa e un rischio.
La prima riguarda l’accessibilità all’abitacolo e l’assetto di guida: l’ingombro dei passaggi ruota infatti riduce di molto la possibilità di infilare agevolmente le gambe sotto il volante entrando in macchina e, una volta seduti, ci si ritrova a dover azionare una pedaliera giocoforza posizionata verso il centro dell’auto; un po’ scomodo ma accettabile.
Il rischio è invece quello di non riuscire a vestire questa impostazione meccanica in maniera efficace; e se ne resero conto presto, quando anche un genio come Marcello Gandini non riuscì ad accontentare al primo colpo né Ferruccio Lamborghini né il figlio Tonino, allora ventenne, che assieme al progettista dell’auto ingegner Paolo Stanzani, si erano recati alla Bertone a visionare la proposta di stile.
Certamente quelli furono colloqui fruttuosi visto che, di lì a poco, la matita del Maestro riuscì a creare una deliziosa piccola gran turismo, del tutto in linea con la ormai consolidata tradizione di individualità dei modelli della Casa del Toro. Ora è giusto ricordare che un tentativo del genere perfettamente riuscito e funzionante era già stato fatto con la Marzàl del 1967, ma occorre aggiungere che essa aveva un motore con soli sei cilindri in linea meno ingombrante, se disposto trasversalmente, del nuovo V8 della Urraco.
A lungo si era ragionato di questo in Lamborghini e, alla fine, prevalse la consueta linea orientata a surclassare la concorrenza fin dal tavolo da disegno: la Porsche era un 2,2 litri a sei cilindri!? Noi facciamo un otto cilindri due litri e mezzo: una cubatura che comunque sembrava il giusto compromesso tra esclusività e contenimento dei costi. Un mantra, quest’ultimo, che ha seguito tutto lo sviluppo della Urraco: ecco così che le testate sono intercambiabili, le sospensioni anteriori e posteriori sono due Mc Pherson pressoché uguali e non esiste il piantone dello sterzo che tanti problemi arrecava in sede di crash test.
Presentata al Salone di Torino del 1970 in versioni base ed S, con condizionatore d’aria, vetri elettrici e fendinebbia di serie, ebbe subito buon successo grazie, soprattutto, alla sua praticità ed al suo stile; le prestazioni, invece, per una Lamborghini che sfoggiava il nome del toro che aveva ucciso il celeberrimo Manolete e dichiarava una potenza di 220 CV, non erano soddisfacenti: sia la Porsche 911S sia l’Alfa Romeo Montreal non le lasciavano scampo.
Una realtà che non poteva essere consegnata alla storia e così, al Salone di Torino 1974, dopo 520 esemplari venduti, la Urraco P250 fu sostituita dalla P300 con motore da tre litri bialbero e 265 CV, sufficienti a ristabilire quella gerarchia che ci si sarebbe aspettata fin dall’inizio. Tra i tanti altri piccoli affinamenti il comando della distribuzione ora a catena; dal canto loro, i vecchi motori da 2,5 litri monoalbero vennero ridotti nell’alesaggio per rientrare nei limiti anti-fisco dei due litri ma, nonostante 182 CV per 2.000 cc siano indice indubbio di generosità, la lentezza della risultante Urraco P200 ne limitò le vendite a sessantasei unità contro le duecentocinque della magnifica 3000 penalizzata solo dalla crisi energetica.
Dal 1976 al 1979, quando l’ultima Urraco lasciò le catene di montaggio, la 3000 2+2 venne affiancata da una due posti con tettuccio “Targa” denominata Silhouette: bellissima, venne costruita in soli cinquantasei esemplari, ma fornì le basi per la successiva Jalpa che dal 1981 al 1988 continuò la tradizione di queste affascinanti Lamborghini “minori”. Oggi l’acquisto di uno di questi purosangue rimane altamente raccomandabile, compreso quello della Cenerentola di due litri portatrice come le sorelle maggiori di tutta l’eccellenza progettuale della Lamborghini Automobili e della stessa inimitabile esclusività (da evitare solo i ventuno esemplari allestiti per gli USA).
I prezzi vanno dai circa centomila euro di quest’ultima ai duecentotrentamila per una rara Silhouette; noi cercheremmo, nella consapevolezza della difficoltà dell’operazione, una 3000 di colore metallizzato: una combinazione inimitabile di eleganza, forza, e carattere per la quale si possono arrivare a spendere anche centottantamila euro nella certezza di non avere sbagliato.
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