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A maggio Carlo Borgomeo lascerà la guida della Fondazione Con il Sud e passerà il testimone al presidente designato, Stefano Consiglio, uomo vicino al terzo settore, con cui è già partita una intesa collaborazione. Borgomeo lascerà dopo quattordici anni il timone di quella che definisce «la più bella esperienza lavorativa» del suo lungo percorso di manager pubblico. È tempo, dunque, di trarre insegnamenti da una lunga storia di “militante” per il Sud.
Possiamo tracciare
un bilancio?
Il bilancio 2022 sarà chiuso in primavera. Intanto è chiaro vanno fatte valutazioni di lungo periodo. Ebbene, portiamo acasa due o tre risultati a mio parere importanti e una indicazione chiara. Il primo: era obiettivo della Fondazione Con il Sud operare con grande trasparenza ed efficacia. Con orgoglio verifico che abbiamo maturato una buona reputazione. Lo attesta una indagine di Demopolis in cui il terzo settore meridionale ha espresso un giudizio positivo sulla Fondazione. Quanto alla efficacia, stimiamo, a quattro anni dopo le ultime erogazioni, un tasso di sopravvivenza del 65% .
Il secondo obiettivo?
Dovevamo promuovere reti. Abbiamo adottato la regola secondo cui non possiamo erogare fondi a soggetti singoli ma solo a partenariati: ciò ha indubbiamente favorito la cultura di rete, tanto che i partenariati molto spesso, quasi sempre, sopravvivono al progetto che avevano condiviso.
Lei è esperto di politiche di sviluppo. L’esperienza in partnership con il terzo settore quale lezione ci lascia? È di questi temi che si è occupato anche nel suo ultimo libro “Sud, il capitale che serve”.
L’esperienza sul campo ci ha insegnato che l’accumulazione di capitale sociale è premessa di sviluppo economico. Il lavoro del terzo settore agisce proprio sul capitale sociale. Il Mezzogiorno è ancora povero perchè non si è investito sul suo capitale sociale. Il lavoro della Fondazione, al contrario, fa sua proprio con questa missione.
Quindi, lei propone un cambio di prospettiva rispetto
al passato?
È necessario. Dobbiamo prendere atto che le politiche per il Mezzogiorno attuate da 72 anni non hanno ridotto i divari tra Nord e Sud. Fatto 100 il pil pro capite del Nord, quello dei cittadini meridionali nel 1950 era pari a 52,9 e nel 2021 era pari a 56,3. Una riduzione minima. L’obiettivo non è stato raggiunto, l’intervento è fallito.
Quindi?
Penso di poter proporre alle istituzioni un approccio diverso: si comincia a intervenire dal sociale, non vi si arriva quando è stato raggiunto un certo grado di sviluppo economico. O almeno i due approcci devono camminare parallelamente. Ma è necessario fare perno sulla forze del terzo settore. E sul welfare: se non ci sono asili, sanità efficiente, non si può far cresere il Mezzogiorno.
L’autonogmia differenziata voluta dal Governo rischia di ampliare ancora i divari proprio
sui servizi e sul welfare.
La spesa pro capite nei servizi sociali è molto diversa tra Nord e Sud e ciò non va bene. È necessario superare il criterio della spesa storica. Io penso che non si puo essere contrari al principio di autonomia regionale, ma va salvaguardato anche quello di solidarietà territoriale, come richiede la Costituzione.
Ma per agire sul capitale sociale ci vogliono tempi lunghi
È vero, ma dipende dalla potenza di fuoco che si mette in campo.
E poi il terzo settore che lei ritiene sia soggetto propulsore, in realtà al Sud è più debole rispetto al Nord
Anche questo è vero, ma ha tassi di crescita in forte accelerazione: + 20% annuo. Questa è la vera novità.
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