Ruolo professionale a rischio se subisce l’«effetto Lucifero»
di Giovanna Prina *
3' di lettura
Sapete cos’è l’effetto Lucifero? Con questo termine lo psicologo Philip Zimbardo ha indicato il fenomeno attraverso cui i comportamenti degli individui vengono fortemente influenzati dal contesto in cui si trovano ad agire. C’è un film del 2015 diretto da Kyle Patrick Alvarez, intitolato proprio “Effetto Lucifero”, che lo illustra raccontando il reale esperimento che Zimbardo ha messo in atto a Stanford nel 1971 per provarne l’esistenza.
Nel film, come nell’esperimento, 24 studenti volontari vengono scelti per interpretare, in maniera casuale, il ruolo di guardie o di prigionieri all’interno di un finto carcere, allestito in modo realistico nel seminterrato dell’istituto di Psicologia dell’Università. L’esperimento di Zimbardo si proponeva di indagare il comportamento delle persone sulla base del proprio gruppo di appartenenza: guardie o prigionieri.
Nonostante la volontarietà, la possibilità di uscire dall’esperimento in qualsiasi momento, la consapevolezza di non dover per forza agire specifici comportamenti, ma solamente interpretare un ruolo assegnato in modo temporaneo, tutti i 24 volontari entrarono talmente tanto nelle rispettive parti che l’esperimento dovette essere interrotto prima del tempo. In pochissimi giorni gli studenti-guardie divennero sadici e inventarono forme di maltrattamenti non previste; gli studenti-prigionieri mostrarono evidenti segnali di sottomissione, stress e depressione.
Guardando il film mi sono chiesta che ruolo avrei scelto e come lo avrei gestito. Soprattutto mi sono chiesta se in quelle condizioni sarei stata capace di gestirlo seguendo la mia morale o se - come gli studenti - mi sarei lasciata condizionare dai preconcetti e dall’immagine che la figura della guardia o del prigioniero provocano in me.
Difficile rispondere a queste domande. Noi tutti ci vogliamo immaginare migliori di quello che forse siamo o di altri che hanno attivato comportamenti che non ci piacciono. Quando pensiamo a come ci saremmo comportati al posto di… spesso lo facciamo sottovalutando il peso che le condizioni esterne e il condizionamento sociale hanno sui comportamenti.
La “trasfigurazione” in pochi giorni dei diversi studenti da persone normali in guardie aguzzine o in prigionieri inermi e l’esito complessivo dell’esperimento sembrano dire che è davvero difficile non subire il condizionamento delle altrui e proprie attese rispetto al ruolo che rivestiamo. E questo è uno spunto importante parlando di ruolo nel mondo professionale.
Quanto un ruolo assegnato nella nostra vita lavorativa ha in sé il rischio di essere interpretato mettendo in atto i preconcetti e l’immagine che ciascuno di noi, in modo inconscio, si è creato verso quel ruolo? Come un manager, un professore, un medico, un venditore, si immaginano debba agire un manager, un professore, un medico, un venditore?
Rispetto ad un ruolo assegnato ciascuno di noi ha sicuramente la propria idea, che nasce dai valori, dalle esperienze che ha fatto, da ciò che ha visto e dagli esempi che ha avuto. Ma una volta messo alla prova, i suoi comportamenti sono frutto di una sua scelta o rispondono a regole generali e forse un po' spersonalizzate del gruppo di appartenenza?
In azienda, a chi si sta per assumere un nuovo incarico, spieghiamo le “attese di ruolo” e forse non sottolineiamo abbastanza che in quelle attese devono esserci anche i nostri desideri, i nostri valori e ciò che abbiamo dentro, come persone e non solo come professionisti appartenenti ad un gruppo specifico. Con i manager spesso usiamo modelli manageriali come riferimento nella gestione del loro ruolo, spesso descritto in termini di competenze e obiettivi che deve presidiare.
A volte rischiamo però di dare per scontata la necessità che questi manager hanno di trovare nel loro ruolo anche un significato valoriale, che possa aiutarli a capire se e quanto si riconoscono - umanamente e personalmente - in ciò che sono chiamati a fare, offrendo loro la possibilità di decidere come agire nel ruolo assegnato e come esprimere sé stessi al meglio. Il contesto e il gruppo di appartenenza ci influenzano sicuramente, ma il modo di interpretare un ruolo deve rimanere il più possibile una libera scelta.
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