Il “Modello Nordico”

Se gli svedesi vi hanno fatto arrabbiare, è perché non li conoscete

La risposta “light” all'epidemia che tanto ci ha colpito va collegata al sentimento di fiducia democratica e al contratto sociale diffusi da quelle parti. Gli stessi che spiegano, per esempio, il rispetto e la considerazione di cui godono i miliardari del Paese

di Paola Stringa

3' di lettura

Lo chiamano “Modello Nordico” e ha a che fare con un'economia sviluppata, un buon livello di istruzione collettivo, una fiducia diffusa e un alto grado di soddisfazione individuale. La Svezia è laboratorio di questo esperimento sociale in perenne cambiamento, all'interno del quale vanno ricercate, in parte, anche le ragioni della risposta all'emergenza Coronavirus con cui ha attirato l'attenzione globale.

Una risposta soft e non shock rispetto, per esempio, alla vicina Danimarca – che ha subito chiuso le frontiere – rivendicata così dal capo del Centro di Medicina dei Disastri, Johan von Schreeb: «La Svezia è guidata dagli esperti, mentre gli altri Paesi dalla politica». Un contratto sociale condiviso e la certezza che gli svedesi non avrebbero violato le poche regole imposte per il contenimento dell'epidemia, hanno infatti permesso al Governo di evitare, fino all'ultimo, le misure draconiane messe in campo dalle altre nazioni, nonostante un numero di contagiati e di vittime in crescita.

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La “strategia svedese”, se così possiamo chiamarla, non ha mai puntato all'obiettivo darwiniano dell'immunità di gregge, ma è guidata dalla convinzione che una diffusa cultura del consenso possa assicurare un livello di cooperazione maggiore dell'introduzione di limiti più severi.

La forte indipendenza delle agenzie di tutela della salute pubblica e la scarsa attitudine degli svedesi a una leadership politica forte, del resto, in Svezia, fanno da sempre il paio con il senso di appartenenza alla comunità e la riconoscenza verso un sistema pubblico che garantisce il raggiungimento del proprio benessere. Alla base c'è una formazione alla cittadinanza a trecentosessanta gradi – definita Bildung con una parola tedesca – che ha il compito di connettere, sin da bambino, un individuo alla comunità, attraverso uno sviluppo alla consapevolezza del proprio ruolo all'interno del gruppo che non sussiste in alcun altro contesto al mondo.

«Punto di partenza è la capacità di crescita personale su cui questo Paese ha da sempre puntato», spiega a IL Tomas Bjorkman, promotore della fondazione non profit 29k (che fornisce strumenti di formazione attraverso una piattaforma di intelligenza collettiva) e autore del libro The Nordic Secret. «Noi oggi, grazie all'enfasi posta sulla leva dell'educazione consapevole, siamo parte di una democrazia matura, nella quale un individuo sa che non ha senso massimizzare la propria felicità se non la si riconnette con il benessere della società».

Sarà per questo che persino i plutocrati, in Svezia, sono tanto popolari quanto oggetto di rispetto da parte dell'opinione pubblica, e, in una società che conta un miliardario ogni 250mila persone, il dibattito pubblico non è dominato dal conflitto generato dalle diseguaglianze. La gran parte della ricchezza prodotta dai nuovi super-ricchi arriva dall'economia digitale, che permette una scalabilità dei progetti e una velocità di moltiplicazione dei capitali senza eguali; ma sarebbe un errore identificare la Silicon Valley scandinava con il “mito del garage” e del self-made man. Dell'individualismo che ha caratterizzato l'American Dream di tutte le epoche, il sogno svedese non ha quasi nulla. I miliardari svedesi, lontani dall'etica protestante della corporate philanthropy d'Oltreoceano, puntano su iniziative di trasformazione dei processi d'innovazione e di inclusione sociale. «Anche la questione dei miliardari (le cui fortune hanno un valore equivalente a un quarto del Pil annuale del Paese, nda) che investono in iniziative ad alto impatto sociale, è collegata a tutto questo».

Ora anche la Svezia ha paura e valuta il lockdown
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