Sempre più cibo etnico in tavola: aziende e agricoltori italiani si adeguano
Nuove proposte dai brand nazionali e in Lazio e Toscana coltivazioni di cavoli cinesi, zucche dong, jikama, okra e karela
di Manuela Soressi
I punti chiave
3' di lettura
Noodles e tortillas, salsa di soia e hummus, sushi e riso basmati, couscous e ravioli cinesi, dulce de leche e latte di cocco sono entrati a far parte del menu degli italiani. Acquistati in modo regolare da un consumatore su tre (fonte Coldiretti), nel 2022 i prodotti etnici sono stati uno dei segmenti della drogheria alimentare che hanno registrato la maggiori crescita nella distribuzione moderna.
Dal cibo cinese al couscous
A novembre 2022 le quantità di specialità etniche cinesi finite nel carrello della spesa sono aumentate del 90% rispetto allo stesso mese del 2021, quelle di piatti di altri Paesi del 49% e quelle di ricette messicane dell’8% (fonte NielsenIQ). Anche il giro d’affari è cresciuto a due cifre, benché in modo più contenuto, e sempre con la cucina cinese a fare da traino (+18%). Complessivamente le vendite hanno superato i 25 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i 17 milioni del couscous (+14,6%), un altro protagonista della cucina etnica ormai diventato di casa anche in Italia. Così come sono diventati di casa nel nostro Paese anche gli oltre 5 milioni di “nuovi italiani” di origine straniera (8,5% della popolazione) che qui risiedono in modo stabile e che rappresentano un importante bacino di consumi ma anche un volano per la revisione dell’assortimento proposto dalla grande distribuzione.
I supermercati aumentano l’assortimento
Che l’Italia sia sempre più aperta ai sapori delle cucine del mondo lo conferma proprio l’allargamento dell’offerta nei punti vendita, sia come profondità sia in termine di Paesi d’origine. Emblematico il caso della catena Iper La grande i, che ha lavorato sullo scaffale degli etnici in ottica di category, puntando su un maggior numero di Paesi e lasciando ai punti vendita la possibilità di personalizzare parte dell'assortimento in funzione delle etnie più presenti in zona. «Nel 2022 per noi l’etnico è cresciuto del 6,5% a volume e del 11,4% a valore, trainato da quasi tutte le sottocategorie – spiega Luca Capilli, shopper analyst e category manager scatolame salato –. In particolare, sono cresciuti i prodotti dell’Europa orientale (+19% a valore), quelli asiatici (+14%) e i sudamericani (+7,2%). Alla luce di questo trend, continueremo a rendere la categoria sempre più accattivante e anche completa per i nostri clienti».
Le produzioni italiane si adeguano
Se molti di questi prodotti restano d’importazione (come la crema spalmabile Marmite o le bevande Calypso) tanti altri sono invece sono italiani e a proporli sono sia brand storici dell’alimentare nazionale (come Star/Saikebon) che hanno colto le opportunità di business dei sapori etnici. La quota di prodotti etnici realizzati in Italia continua ad aumentare. Pochi mesi fa i tedeschi di Eat Happy Group hanno aperto uno stabilimento alle porte di Bologna, da dove escono gli ingredienti per i sushi corner Eat Happy e quello a marchio Wakame venduto nei supermercati.
Invece sono made in Cremona (6 milioni di pezzi l’anno), utilizzando al 95% ingredienti italiani, i piatti pronti asiatici, freschi e surgelati, venduti in Gdo e nel food delivery da Mulan Group. La società, fondata dalla famiglia Zhang e in cui pochi mesi da è entrato il gruppo Tamburi Investment Partners, ha chiuso il 2022 con 15 milioni di euro di ricavi (+50% sul 2021) e vuole continuare a crescere a questo ritmo anche nei prossimi anni (anche valutando delle acquisizioni) per poi arrivare in Borsa nel medio termine.
Piccole colture nazionali crescono
Ma è soprattutto nell’area dei freschi che predominano i prodotti etnici coltivati in Italia, in particolare in Piemonte, Veneto, Lazio e Toscana. Cavoli cinesi, zucche dong kwa, daikon, mizuna, karela e pak choy venduti in asian market, botteghe etniche e mercati ambulanti (ma anche in catene della Gdo che puntano con decisione sull’appeal dei frutti etnici ed esotici, come Banco Fresco) arrivano da aziende agricole e cooperative di immigrati, che hanno iniziato affittando piccoli appezzamenti di terra da coltivare e poi li hanno comprati, mettendosi in proprio e dando lavoro anche a salariati. Ma ora queste produzioni cominciano a interessare anche gli imprenditori italiani.
«C’è una domanda enorme ma ancora insoddisfatta, in particolare per alcuni prodotti, come l’okra» conferma Matteo Chesta che insieme a Lucio Alciati ha lanciato il progetto Tropico di Cuneo per introdurre la coltivazione di specie esotiche. E chissà se a karela e jicama riusciranno a replicare il successo della batata, arrivata in Italia nell’Ottocento nelle valigie degli emigrati veneti di ritorno dal Sudamerica e poi diffusasi anche in altre regioni, e che è ormai entrata tra i Prodotti agroalimentari tradizionali riconosciuti dalla Regione Veneto.
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