Storia di un gin che “parla” inglese ma con accento toscano e calabrese
La liquirizia calabra, il ginepro toscano e il tocco di Ivano Tonutti, maestro di botaniche: ecco il mix vincente del distillato del gruppo Bacardi Martini che vende sessanta milioni di bottiglie all’anno
di Maurizio Maestrelli
3' di lettura
Se oggi si contano nel mondo circa 7000 etichette di gin e ogni mese qualcuno, da qualche parte del pianeta, ne crea un'altra la “colpa” è di Michel Roux. Roux, scomparso quest'anno all'età di 78 anni, fu l'uomo che sconvolse il mercato trasformando all'inizio degli Anni Ottanta un quasi sconosciuto brand come Absolut in una delle vodke più famose al mondo. Genio del marketing e della comunicazione mise a segno un secondo colpo strabiliante con Bombay Sapphire nel 1987.
Nella storica distilleria di gin inglese, le cui radici risalgono al 1761, Roux rivoluzionò l'identità del gin in un periodo in cui le sue quotazioni erano in ribasso in parte proprio a causa del successo ottenuto dalla vodka. Il nome Bombay, e il suo primo gin il Dry, era in realtà nato nel 1960 ma la ricetta riprendeva pari pari quella di due secoli prima. Un classico London Dry con otto botaniche e perfetto per un altrettanto classico Gin Tonic.
Tuttavia Roux ritenne che si dovesse alzare l'asticella. Aggiunse due ulteriori botaniche alla ricetta, le bacche di cubebe dall'isola di Giava e i grani del Paradiso dal Ghana, e confezionò il prodotto in una bottiglia squadrata dall’inconfondibile colore turchese in omaggio al leggendario zaffiro denominato Star of Bombay, dal peso di 182 carati e trovato in Sri Lanka, acquistato dalla stella del cinema di Hollywood Douglas Fairbanks come regalo per la moglie, la diva degli Anni Venti Mary Pickford. Il gin fu poi presentato con il nome Bombay Sapphire Premium Gin ed ebbe effettivamente il merito di dare la scossa a un distillato un po' dormiente grazie alla qualità eccellente e un packaging di lusso. E la strada aperta da Roux fu poi così seguita da molti altri.
La distilleria di Laverstoke Mill
Il cuore pulsante di Bombay Sapphire e dei nuovi prodotti lanciati dalla casa come il superpremium Star of Bombay e la limited edition English Estate si trova in un villaggio dell'Hampshire, in quell'Inghilterra verde, tranquilla e un po' fuori dal tempo che sembra il set ideale per serie televisive come Downtown Abbey o un film come Quel che resta del giorno. Il luogo è Laverstoke Mill la cui storia inizia ufficialmente nel 1086 come mulino per cereali e prosegue come proprietà di Enrico VIII fino a diventare, sotto la guida di Henry Portal, una cartiera adibita alla stampa delle banconote della corona britannica. Nel 2010 l'acquisizione e la trasformazione nella distilleria dei gin firmati Bombay, oggi parte dell'impero Bacardi Martini.
Tutti i gin Bombay sono dei London Dry Gin, che è un'indicazione di stile non una denominazione geografica, prodotti tramite infusione di vapore ovvero tutte le botaniche sono collocate in un cestello a forma di disco, secondo un rigoroso e studiato ordine logico, attraverso il quale passano i vapori alcolici della distillazione. Una volta concluso il processo il gin è poi trasferito in Scozia dove si aggiunge acqua purissima, e morbida a differenza di quella locale che è dura, per ridurre il grado alcolico e infine imbottigliato. Il successo di Bombay è evidente con oltre sessanta milioni di bottiglie sfornate ogni anno e distribuite dovunque nel mondo. In tutta questa storia così british c'è tuttavia spazio anche per l'Italia. A capo della selezione delle botaniche c’è l’italiano Ivano Tonutti. Considerato nell'ambiente quasi come un mito, Tonutti nel suo quartier generale di Ginevra sovrintende la delicata operazione di scelta e selezione, testando quasi quotidianamente le diverse botaniche che servono a comporre il bouquet del Bombay: la liquirizia calabrese, il ginepro toscano, il coriandolo marocchino, la buccia di limone ancora sbucciato a mano in un villaggio della Murcia.
Ingredienti che arrivano da agricoltori, piccole aziende a conduzione familiare come la toscana famiglia Pastorini, per una ricerca della sostenibilità che in Bombay Sapphire è un mantra, come ha ricordato Sam Carter, il senior ambassador dell'azienda e guida insieme a Marco Gheza, ambassador Italia, della visita, mentre rivelava che la carta sulla quale il sottoscritto prendeva i suoi appunti era ricavata dagli scarti delle botaniche usate per il gin. Un'attenzione ai dettagli che si può capire solo visitando la Bombay Distillery, aperta pure al pubblico, e che in effetti fa la differenza. Così come l'idea di Michel Roux ha fatto la differenza nel 1987. Non solo per Bombay ma per l'intera categoria di quello che oggi è molto probabilmente il distillato più celebrato e apprezzato al mondo.
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