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Strage di Alcamo Marina, quei misteri di Alkamar che fanno ancora paura

Intercettazioni manipolate, nastri di intercettazioni dimenticati, un'inchiesta giudiziaria durata 12 anni e finita su un binario morto

di Nino Amadore

 L’ex presidente Nicola Morra ha voluto l’inchiesta su Alkamar

4' di lettura

Intercettazioni manipolate, nastri di intercettazioni dimenticati, un'inchiesta giudiziaria durata 12 anni e finita su un binario morto, atti secretati. È una storia costellata da misteri, omissioni, distrazioni, assenza di indagini approfondite e vere da parte della magistratura che pure rivendica a sé l'ultima parola. Il risultato è un fitto mistero sugli esecutori di quella che è passata alla storia come la strage di Alcamo Marina avvenuta nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1976 in una caserma dell’Arma: la mattina del 27 gennaio di 47 anni fa furono ritrovati i corpi senza vita di due carabinieri, Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo. Quale causa del duplice omicidio è emerso un traffico di materiale fissile verso la Libia, in atto almeno dal 1976 e proseguito perlomeno sino al 1993: i due militari sarebbero stati eliminati perché erano incappati casualmente in un carico.

I primi arresti

Per quella strage, in maniera sbrigativa e sospetta, i carabinieri guidati dal colonnello Giuseppe Russo (ucciso in un agguato mafioso nel 1977) arrestarono cinque persone sulla base della confessione di uno di loro: 32 anni dopo, nel 2008, le indagini per il duplice omicidio di Alkamar vengono riaperte. Uno dei militari che aveva partecipato alle prime indagini, Renato Olino, racconta ai magistrati di Trapani di una serie di illegalità nelle indagini per il delitto della cosiddetta casermetta: dalle torture alle modalità con le quali la verità ufficiale venne propagandata sui media.  

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Dopo le dichiarazioni di Olino, Giuseppe Gulotta, uno dei condannati per la strage di Alcamo, viene assolto nel processo di revisione. E a seguire anche gli altri grazie ai giudizi di revisione. Uno dei cinque, però, era morto in carcere in circostanze misteriose dopo avere ritrattato la versione data prima ai carabinieri e poi al processo. Quell’anno la procura di Trapani riapre l’inchiesta su Alkamar ma nel 2020 viene avanzata richiesta di archiviazione e gli autori della strage restano ignoti. Ed è sostanzialmente da questo punto che è ripartita la commissione Antimafia guidata da Nicola Morra sul finire della legislatura anche se rischiamo seriamente di non sapere mai a quali conclusioni è arrivata, se non in via generale per il contenuto di una relazione pubblicata qualche giorno fa nella sezione documenti del parlamento: «Alla luce delle considerazioni svolte e dalle prime risultanze dell’attività di indagine, la commissione ha disposto di sottoporre a regime di secretazione gli atti formati e acquisiti nell’ambito del gruppo di lavoro» si legge nella relazione. A distanza di 47 anni a una prima lettura non è chiaro il motivo della secretazione. «Io ho desecretato tutto ciò che era possibile desecretare – spiega Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia della XVIII legislatura – poi ci sono degli obblighi di legge e tra gli obblighi di legge vi è quello di non ostacolare le indagini della magistratura». Si evince che vi sia la possibilità di una riapertura delle indagini. Del resto la commissione Antimafia ha disposto «la complessiva trasmissione degli atti prodotti e acquisiti alla procura nazionale Antimafia e antiterrorismo, sulla base di una richiesta già pervenuta da quell’autorità giudiziaria».

Perché continuare a indagare

Di motivi per continuare a indagare ce ne sono parecchi. Alcuni li ha elencati il giornalista Nicola Biondo (che faceva parte del gruppo di lavoro su Alkamar e ha verificato sul campo le informazioni) in un articolo pubblicato sul Riformista un paio di settimane fa: tra questi il nome di un giudice che avrebbe chiuso un’inchiesta per torture su richiesta di alti ufficiali dei carabinieri. E poi ci sono i collegamenti con gli omicidi di Peppino Impastato, ucciso a Cinisi il 9 maggio 1978, nella cui casa furono informalmente a suo tempo sequestrati documenti tra cui una carpetta dal titolo “strage di Alcamo Marina”, e Mauro Rostagno, ammazzato a Lenzi di Valderice (Trapani) il 26 settembre 1988. E poi c’è quello che il giornalista siciliano definisce «un unicum»: «i comandi territoriali dei carabinieri in Sicilia coinvolti nelle indagini e nei depistaggi non hanno risposto alla commissione Antimafia. Il comando generale dell’Arma chiede più volte di far entrare i consulenti negli archivi e mettere a disposizione la documentazione ma la risposta è il silenzio. Certi armadi devono rimanere chiusi». E non è finita qui. Perché intanto l’inchiesta su Alkamar si incrocia con le stragi di mafia del 1992-1993. A settembre di quell’anno, sempre ad Alcamo, viene scoperto un arsenale di armi (alcune vetuste ma tenute benissimo e munizioni anche da guerra) custodito in una villetta nella disponibilità di due carabinieri. Il poliziotto che eseguì con altri colleghi la perquisizione, Antonio Federico, ha riferito nel 1997 di aver appreso da una sua fonte la presenza in quel luogo di armi e materiale radioattivo e foto di una donna bionda «a conoscenza di tutti questi traffici».  Il giorno della perquisizione non c’era traccia di materiale radioattivo, che pure era stato notato i due accessi informali fatti precedentemente. E non c’era la cassa di metallo, che prima era lì, e che conteneva il materiale più importante: esplosivo al plastico, verosimilmente C4. Ma c’era la fotografia di una donna ritenuta compatibile con la descrizione emersa nelle indagini sugli attentati del periodo 1992-1993, in cui è stata riconosciuta Rosa Belotti. E qui si apre un altro filone di misteri su cui sta indagando la procura di Firenze.

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