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Tassi di interesse al 4%: le ragioni della Bce e le incognite sul debito pubblico

Francoforte a dicembre ha portato il tasso di deposito al 2%. A giugno potremmo salire al 4%. La gestione del debito nei prossimi anni sarà terra incognita

di Marcello Minenna

(AdobeStock)

7' di lettura

Con il rialzo dei tassi di interesse chiave di 50 punti base annunciato il 15 dicembre scorso, la Banca Centrale Europea (Bce) ha portato il tasso di deposito al 2%, riducendo il ritmo degli incrementi rispetto ai 75 punti degli interventi precedenti. Si trattava di una mossa attesa, in accordo con la decisione presa dalla Federal Reserve americana (FED) pochi giorni prima. Tuttavia un rialzo più contenuto non ha implicato una svolta verso una politica monetaria gradualmente meno restrittiva, come è emerso invece dal meeting della FED. Anzi, a detta di molti analisti, l'attitude della BCE è stata tra le più aggressive di sempre. Il Presidente Lagarde non ha esitato a comunicare al mercato l'intenzione di proseguire il percorso di rialzo dei tassi ad un ritmo “costante” per almeno altri 4-6 mesi. A conti fatti, questo implica che il tasso di deposito potrebbe arrivare a giugno 2023 al 4%.

Il mercato è stato preso in assoluto contropiede. Solo fino a pochi giorni prima, gli operatori stimavano un “tasso terminale” (il livello più alto raggiungibile nell'attuale ciclo di rialzi) al 3% per settembre 2023, e si trattava comunque di una revisione aggressiva rispetto alle previsioni di fine ottobre 2022, incentrate all'interno di una forchetta tra il 2,25, 2,5%. In una giornata frenetica di negoziazioni, c'è stato un enorme repricing degli strumenti finanziari utilizzati per stimare l'evoluzione del tasso di deposito, ed il 16 dicembre la previsione di mercato per il tasso terminale era salita al 3,4%, un movimento molto significativo.Eppure, il mercato sta ancora sottovalutando la spinta rialzista sui tassi di interesse. Per capire le ragioni, è necessario fare riferimento al nuovo aggiornamento delle previsioni sul tasso di inflazione rilasciato dalla BCE il giorno stesso della decisione.

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Perché i tassi saliranno più di quanto si attende il mercato

Le nuove stime BCE sono tutte riviste al rialzo, per ogni componente: dall'energia, ai beni alimentari, ai beni industriali ed ai servizi. Il problema si pone soprattutto nel medio termine: a fine 2023 la BCE si attende un tasso di inflazione core (cioè al netto degli incrementi dei prezzi dell'energia e del cibo) al 4,2%, +0,8% rispetto alle previsioni di settembre 2022 ed oltre il 2% sopra il livello obiettivo (linea verde in Figura 1).

I dati storici relativi ad episodi di inflazione registrati in passato nelle economie sviluppate mostrano come, se l'inflazione supera il 5-6% per periodi superiori a 1 anno, la convergenza verso il 2% si osserva solo in concomitanza a livelli dei tassi di interesse di 50/100 punti base superiori al tasso di inflazione core. Secondo questa regola empirica dunque, appare plausibile che la BCE voglia portare i tassi di interesse al 4% (o oltre) entro 6-9 mesi, in linea con le dichiarazioni di intenti più recenti. Ciò implicherebbe che le attuali aspettative di mercato (la linea rossa) sottostimano di molto il livello del tasso terminale a fine 2023, che grosso modo dovrebbe essere tra il 4 ed il 4,5%.

BCE - STIMA DELL’EVOLUZIONE DEL TASSO DI DEPOSITO
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Ci sono infiniti caveat impliciti in questa previsione di massima per l'andamento del tasso di deposito BCE. Innanzitutto, l'osservazione di una semplice regolarità empirica non implica nessun nesso di causalità automatico tra l'aumento dei tassi di interesse e la discesa dell'inflazione: anzi si potrebbe obiettare che i fattori che guidano l'inflazione sono in ogni situazione differenti e quindi il pattern osservato mediamente potrebbe non essere di nessun valore aggiunto nel contesto attuale.

In particolare, questo assume importanza nel caso dell'inflazione dell'area Euro, che sappiamo essere dominata dalla crescita dei costi dell'energia, un fattore esogeno scarsamente influenzato dalla crescita dei tassi di interesse, soprattutto nel breve periodo. Soltanto la riduzione della domanda provocata da una recessione potrebbe avere un limitato effetto di moderazione sull'andamento dei prezzi, che potrebbe arrivare anche parecchi mesi dopo (fino a 18-24) l'aumento dei tassi di interesse.

Peraltro, le attuali revisioni dell'andamento dell'inflazione sono coordinate dalle banche centrali nazionali (BCN), a differenza di quelle di settembre che sono elaborate solo dallo staff BCE. Di conseguenza, mediando tra visioni profondamente diverse sull'andamento dell'inflazione futura, è plausibile che le ultime elaborazioni lascino filtrare di più l'avversione “politica” che le BCN più influenti (tra cui Bundesbank e Banque de France) hanno nei confronti dell'inflazione.

L’inflazione europea insegue quella Usa con 6 mesi di ritardo

In ogni caso, l'osservazione nuda e cruda dei dati ci aiuta a capire meglio alcune ragioni delle preoccupazioni della BCE per l'andamento futuro dei prezzi. In particolare, balza all'occhio un'altra regolarità empirica importante: l'andamento del tasso di inflazione core dell'area Euro segue con una certa precisione quello USA con circa 6 mesi di ritardo.

TASSO DI INFLAZIONE CORE
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Questa somiglianza indurrebbe a pensare che l'attuale lieve riduzione nel tasso di inflazione core registrata a novembre possa essere solo temporanea e che il tasso sia destinato a rimanere molto elevato almeno per i prossimi 6/8 mesi (un'ipotesi di andamento compatibile con il livello ipotizzato dalla BCE per la fine del 2023 è tratteggiata in rosso chiaro in Figura 2).

Questa semplice regolarità empirica è in parte suffragata dalla tempistica degli stimoli fiscali negli USA e nell'area Euro varati in risposta alla pandemia. Infatti le misure USA sono state molto forti ma erogate in un lasso di tempo limitato tra il primo trimestre 2020 e quello 2021. Al contrario, l'espansione fiscale nell'area Euro è in larga misura rappresentata dall'attuazione dei Piani di Ripresa e Resilienza (PNRR) nei vari Paesi. Addirittura una significativa proporzione delle risorse allocate dai PNRR sarà messa a disposizione nei bilanci nazionali soltanto tra il 2023 ed il 2024.

Nel consegue che l'impatto sulla crescita dei prezzi nei settori industriali e dei servizi è arrivato 6 mesi prima negli USA e si sta lentamente riassorbendo. L'espansione fiscale europea invece deve ancora produrre larga parte dei suoi effetti di stimolo alla domanda, che potrebbero a loro volta tenere le pressioni inflazionistiche core a livelli molto più elevati rispetto agli USA:

Il quadro è più chiaro se guardiamo alla decomposizione del tasso di inflazione negli USA ed in Europa rispetto alle principali categorie di beni e servizi.

USA - TASSO DI INFLAZIONE ANNUALE
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Il calo del tasso di inflazione negli USA procede oramai da 5 mesi consecutivi, guidato dalla forte contrazione dei prezzi dell'energia (barre gialle). Tuttavia anche i prezzi dei beni industriali sono oramai in discesa (barre azzurre), mentre finalmente si osserva una stabilizzazione dei prezzi dei beni alimentari (barre rosse) e dei servizi (barre blu), preludio ad un'imminente inversione del trend.

AREA EURO - TASSO DI INFLAZIONE ANNUALE
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La dinamica dell'area Euro sembra effettivamente in ritardo di diversi mesi: sta scendendo finalmente la componente legata ai costi dell'energia, ma c'è solo un'osservazione (novembre 2022) che lo certifica. I prezzi dei beni alimentari sono ancora in forte crescita; seguono in misura più moderata quelli dei beni industriali e del settore dei servizi che, come abbiamo detto, potrebbero risentire ancora a lungo delle pressioni indotte dall'erogazione differita dello stimolo fiscale del Recovery Plan.

Il ruolo delle banche nell’acquisto di nuovo debito pubblico potrebbe essere ridotto

Non servono sofisticati modelli previsionali per capire che una crescita del tasso di riferimento “privo di rischio” di 200 punti base in soli 6 mesi avrà un impatto significativo sui rendimenti dei titoli governativi dei Paesi dell'area Euro, che di rischi ne contengono. E questo senza considerare un probabile effetto asimmetrico dei rialzi che andrebbe a colpire di più i titoli dei Paesi Periferici con più alto debito (allargando gli spread rispetto ai titoli tedeschi).

Si tratta di uno shock consistente che potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili, in un momento in cui la struttura della domanda di titoli governativi sta cambiando radicalmente a causa dell'avvio imminente a marzo 2023 del c.d. Quantitative Tightening (QT), cioè la riduzione progressiva degli attivi di bilancio della banca centrale.

In dettaglio, durante il meeting del 15 dicembre la BCE ha deciso di interrompere i reinvestimenti dei titoli in scadenza, in relazione allo stock di 3.255 miliardi di € accumulati durante l'esecuzione degli Asset Purchase Programmes tra il 2015 ed il 2022. I proventi derivanti dai 1.680 miliardi di titoli acquistati nell'ambito del programma pandemico PEPP invece dovrebbero continuare ad essere reinvestiti fino alla fine del 2024.

Già da novembre è invece attivo il programma di rimborso anticipato dei 2.190 miliardi di € di prestiti alle banche a tasso agevolato TLTRO. Tra novembre e dicembre le banche europee hanno rimborsato 743 miliardi, contribuendo attivamente alla riduzione degli attivi di bilancio della BCE. Contestualmente, la liquidità in eccesso delle banche si è ridotta di pari importo.

EUROSISTEMA - EVOLUZIONE STORICA E STIMATA DELL’ATTIVO DI BILANCIO
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Se si osserva la dinamica dell'andamento delle variazioni del debito governativo nell'area Euro negli ultimi anni (vedi Figura 6), si può apprezzare l'impatto crescente che ha avuto la domanda dell'Eurosistema (barre grigio chiaro), che de facto nel 2020-2021 è stato l'unico acquirente netto del debito pubblico europeo insieme al contributo marginale di altre banche centrali estere (barre grigio scuro).

Ovviamente il settore privato è stato disincentivato dai rendimenti negativi che hanno caratterizzato le emissioni dei Paesi europei per gran parte del periodo della crisi pandemica. Nel 2020-2022 si osserva un deleveraging ulteriore da parte di banche europee ed estere (barre rosse e rosa) e del settore privato non finanziario estero (barre blu). La crescita dei tassi di interesse registrata negli ultimi trimestri del 2022 ha parzialmente riavvicinato gli investitori privati europei (barre verdi).

AREA EURO - VARIAZIONI MENSILI DEL DEBITO PUBBLICO
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In passato, durante la crisi finanziaria internazionale del 2008-2009 e quella europea del 2011-2021 le banche nazionali sono state l'acquirente privato “di ultima istanza”, soprattutto nel caso dei Paesi periferici, provvedendo ad un'opportuna stabilizzazione della domanda in periodi di shock in cui venivano a mancare i contributi di altri soggetti (esteri o nazionali).

Nel 2023 tuttavia, la domanda netta dell'Eurosistema diventerà negativa e le banche avranno crescenti difficoltà ad ampliare i propri investimenti in titoli governativi a causa della concomitante riduzione della liquidità in eccesso. Ciò implica che dovranno essere gli investitori privati non finanziari, europei ed esteri a compensare gli effetti del QT.Ovviamente, questa rimodulazione radicale della domanda - che non ha precedenti storici - potrà essere ottenuta soltanto innalzando i tassi di interesse nominali dei titoli governativi, probabilmente in maniera più che proporzionale rispetto all'incremento di 200 punti base del tasso di deposito.

Per l'Italia, già nel 2022 la spesa per interessi salirà a 77 miliardi di €, il 22% in più rispetto ai 63 miliardi del 2021. Proiezioni recenti (ma che non tengono conto né dell'impatto di un QT né dell'inasprimento della stretta monetaria) indicano che il servizio del debito assorbirà risorse pari al 4,1% del PIL nel 2025.

Le conseguenze potenzialmente negative dell'inasprimento della politica monetaria della Bce stanno diventando sempre più rilevanti. La gestione del debito pubblico nei prossimi anni sarà realmente terra incognita.

DG Agenzia Accise Dogane Monopoli di Stato
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali

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