Un clima di sicurezza psicologica migliora le performance del team
Quando gli individui lavorano in squadre collaborative e connesse, si riducono i rischi e si genera motivazione ed energia
di Eva Campi *
5' di lettura
È ormai risaputo quanto il sentirsi supportati e al sicuro psicologicamente può migliorare le prestazioni individuali e di gruppo in ogni ambito esistenziale. Ma perché, in questo momento, c’è così tanto interesse nel mondo del lavoro per la sicurezza psicologica e qual è la sua interazione con la sicurezza fisica? Il concetto di sicurezza psicologica nasce nel 1965, quando fu introdotto per la prima volta da Edgar Schein e Warren Gamaliel Bennis, considerati pionieri nel campo della psicologia delle organizzazioni e della leadership.
Da allora un numero crescente di ricerche in questo ambito ha raggiunto il suo climax con la pubblicazione dell’autorevole articolo “Psychological Safety and Learning Behaviors in Teams” (1999) scritto da una professoressa dell’Università di Harvard, Amy Edmondson. Tuttavia, il concetto di sicurezza psicologica ha iniziato a diffondersi nelle aziende e organizzazioni solo negli ultimi 5 – 8 anni.
Questo ampio interesse è in gran parte iniziato grazie ad uno studio intrapreso da Google nel 2012 chiamato “progetto Aristotele”. Lo scopo della ricerca era capire come mai alcuni gruppi arrivano a conseguire risultati lavorativi incredibili, mentre altri si arenano nella mediocrità. La ricerca ha esaminato centinaia di studi accademici, analizzando più di 180 team interni che hanno coinvolto 37.000 dipendenti in un periodo di due anni.
I risultati hanno mostrato che nei gruppi altamente performanti, sebbene vi fossero fattori comuni come la struttura del gruppo e la chiarezza degli obiettivi, il sense-making delle proprie azioni e la capacità di generare un impatto misurabile, la caratteristica più distintiva era il modo in cui il team lavorava e solo marginalmente da chi fosse composto. Tuttavia, solo quando i risultati della precedente ricerca della dottoressa Edmondson sono stati associati allo studio “Aristotele” è stato possibile identificare quel filo conduttore consistente tra i team ad alte prestazioni, vale a dire, la sicurezza psicologica, la capacità di parlare e partecipare in un gruppo senza paura delle conseguenze.
Percepita dai singoli e vissuta nelle più diverse situazioni sociali, è ormai intesa, in ambito scientifico, come una componente essenziale per la fiducia, la comunicazione e la collaborazione, oltre che per l’innovazione, il processo decisionale e la risoluzione dei problemi. Ciò che risulta evidente è che maggiore è la sensazione di minaccia all'interno del proprio team, meno è probabile che contribuiamo con le nostre idee, sfidiamo lo status quo o esprimiamo i nostri dubbi.
La ricerca neuroscientifica e neuropsicologica ha ormai ampliamente provato quanto il nostro cervello lavori continuamente alla ricerca ed al mantenimento della nostra “safe-zone”. Ecco perché, il più delle volte, rispondiamo a minacce (percepite o reali) come incertezza, cambiamenti inspiegabili, un capo prepotente o un ambiente di squadra tossico, tenendo la testa bassa ed evitando il confronto, perché considerato un pericolo.
Questo è uno dei motivi per cui la sicurezza psicologica risulta essere importante per un’efficace cultura della sicurezza in generale e un fattore determinante per il mantenimento di un clima positivo e proattivo. Studi correlati, infatti, segnalano un forte legame tra sicurezza psicologica e volontà di denunciare i propri errori e comportamenti (Wright e Opiah, 2018). In sostanza, meno parliamo e più gli incidenti nell’ambito della safety non vengono identificati pienamente, con la conseguente perdita di apprendimento, il quale potrebbe, invece, impedire la ripetizione dell’evento dannoso.
Jop Groeneweg descrive questa nuova comprensione delle dinamiche relazionali come “The New Dawn of Safety” (GCE Risk, 2020). Secondo Groeneweg, stiamo vivendo una transizione dal miglioramento continuo attraverso la tecnologia, la cultura e la leadership alla determinante importanza del team e della condivisione collettiva. Quando gli individui lavorano in squadre collaborative e connesse, si riducono i rischi e si genera motivazione ed energia. Queste leve incoraggiano l’innovazione, il benessere e prestazioni di valore continuative nel tempo.
Ne è un esempio lo studio seguito da Groeneweg con l’equipaggio ai box della Red Bull Formula 1. Nel 2019 il pit-stop più veloce del team Red Bull, che ha coinvolto un team di circa 22 persone, è stato di 1,82 secondi e ci sono riusciti costantemente più e più volte. Alla domanda sui motivi per cui questo fosse stato possibile, il team ha attribuito il suo successo alle prestazioni umane e non al vantaggio meccanico; ha parlato, infatti, della fiducia che esiste tra i membri del team, del senso di responsabilità condiviso, dell’apertura mentale e della dedizione alla pratica e al ritmo del processo.
Il punto importante che Groeneweg mette in evidenza è che il livello di fiducia e sicurezza psicologica all’interno del team Red Bull consente di imparare tanto dai propri errori quanto dai propri successi. Imparare dagli errori diventa una responsabilità collettiva, che opera all’interno di un ambiente in cui denunciare lo sbaglio ti mette al sicuro, piuttosto che l’essere sminuito a causa dello stesso. Citando Brenè Brown nel suo “Dare to lead”, “la fiducia è fatta di strati di vulnerabilità accumulati nel tempo”.
Tuttavia, anche se l’attenzione si sta certamente spostando in questa direzione, non basta che i manager dicano “la mia porta è sempre aperta”, “stiamo ascoltando”, “non ci sono errori solo opportunità di apprendimento”. Leader e manager svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di un ambiente psicologico sicuro. Anche in comportamenti quotidiani, come ad esempio, evitando reazioni negative (verbali, non verbali e para-verbali) alle segnalazioni di errori.
Quando nel 1997, Claire Nuer, psicologa sopravvissuta all’Olocausto, propose a Rich Fox, capo progetto nella costruzione di Ursa - la più grande piattaforma offshore che Shell avesse mai costruito - di mettere in cerchio in sessioni di ascolto l’equipaggio coriaceo e disincantato che avrebbe costruito questo gigante, con lo scopo di ridurre gli incidenti durante la sua costruzione, la cosa apparve alquanto bizzarra e “hippie” visti i tempi. Tuttavia, Fox accettò incuriosito.
Non aveva idea che questo atto di coraggio sarebbe diventato una case history mondiale, di cui Simon Sinek ne parla nel suo “Il gioco infinito”. Ogni settimana il crew si sedeva in cerchio e parlava di dubbi, paure, insicurezze che là fuori, in uno dei contesti lavorativi più pericolosi, rischiavano di trasformarsi in tragici eventi. I membri del team scoprirono che sentirsi accettati e al sicuro esprimendo la loro vulnerabilità, li rendeva più forti e approfondiva la fiducia reciproca.
Tutto questo si trasformò in dati che hanno fatto storia. Ursa ebbe punteggi relativi alla sicurezza tra i migliori nel settore e le tecniche proposte dalla Nuer contribuirono alla riduzione dell’84% degli incidenti, facilitarono un incremento del funzionamento a regime dal 95% al 99%, aiutarono ad aumentare la sua produzione che fu del 43% migliore rispetto agli standard di riferimento. In questo modo Ursa superò anche l’obiettivo di produzione di 14 milioni di barili, oltre che rappresentare un’avanguardia per gli aspetti ambientali. Shell adottò questo metodo a livello globale integrando fattivamente il concetto di sicurezza psicologica e fisica. Vogliamo provare a farlo anche noi?
* Partner di Newton Spa
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