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Un dilemma per i manager: si impara di più dagli errori o dai successi?

Una breve guida in pochi punti chiave per spiegare come entrambe le posizioni abbiano una valore (e forse sarebbe meglio integrarle tra loro)

di Giovanna Prina *

(AFP)

3' di lettura

La settimana scorsa, all’interno di un gruppo di lavoro sul tema del feedback, l’innocua domanda, formulata quasi per caso, “secondo voi, si impara più dagli errori o dai successi?” dà l’avvio ad una discussione che scatena quasi una rissa. Prende il via debolmente con una prima considerazione espressa da parte di coloro che poi si sono identificati nella fazione del Successo Innanzitutto: solo se ti senti soddisfatto di quello che hai fatto, lo vedi riconosciuto dagli altri e valorizzato, allora impari o consolidi il tuo comportamento. Durante il feedback quindi è molto importante concentrarsi il più possibile su ciò che ha funzionato e sui successi, per aprire la strada verso la crescita e lo sviluppo.

La fazione opposta, quella dell’Errore Benvenuto, ribatte sostenendo che solo attraverso il riconoscimento dell’errore si è stimolati a cercare alternative di comportamento e solo dopo un errore si può creare un cambiamento nel proprio modo di agire.

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I membri del Successo Innanzitutto elencano allora con maggior forza le loro ragioni, che sono tante. Quelle dichiarate con maggior veemenza sono tre:

1) Solo gli stroke (o carezze) positivi aiutano a crescere, quelli negativi paralizzano e rischiano di far concentrare le persone sulle loro incapacità.
2) Aiutare l’altro a guardare ciò che ha ottenuto e a come ha saputo usare le risorse che ha nel suo bagaglio, e non farlo concentrare su ciò che manca o che non riesce a fare, mette in moto visioni positive di possibilità e amplia la capacità della persona di mettersi in gioco.
3) L’errore dà modo di imparare solo cosa è andato male e perché, ma non dice nulla su cosa si sarebbe dovuto fare per non sbagliare. L’errore diventa quindi una tacca che mina l'autostima.

Man mano che queste ragioni vengono elencate, i membri dell’Errore Benvenuto si agitano e ribattono, a volte anche alzando la voce. Non per maleducazione però, più che altro per farsi sentire. Anche loro portano ragioni importanti:

1) Aiutare le persone a vedere e riconoscere i propri errori le mette in grado di reggere la frustrazione e sviluppa la loro capacità di resilienza. Lavorare solo o prevalentemente sui successi non accresce la capacità di gestire potenziali fallimenti.
2) Solo mettendo in luce l’errore si genera in chi lo ha compiuto energia e determinazione. L’errore diventa infatti un chiaro riferimento di cosa non va bene e un punto di partenza per cercare strategie e modalità alternative.
3) Comprendere l’errore compiuto offre l’opportunità alla persona di intervenire sui processi mentali e decisionali che ha seguito, e di costruire non solo nuovi comportamenti ma nuovi modi di strutturare il pensiero.

Il tutto rischia quasi di diventare una questione di lana caprina. I due gruppi convergono sul fatto che il feedback ha l’obiettivo di far crescere la persona e attivare il suo apprendimento, ma le divergenze su cosa mettere in risalto - l’errore o il successo - per renderlo più proficuo continuano. Si spostano anche sulle modalità da utilizzare quasi si comunica il feedback.

Per il gruppo Errore Benvenuto il feedback crea maggior valore quando evidenzia un errore, che deve essere illustrato facendo leva sulle sue conseguenze, non sul fatto in sé. La modalità più efficace prevede di mettere l'attenzione su tutto ciò che di diverso si sarebbe potuto fare per creare conseguenze diverse: il focus è quindi sulle strategie e sui comportamenti alternativi.

Per il gruppo Successo Innanzitutto, il feedback funziona di più se può trasformarsi in un momento di gratificazione, dove il successo viene festeggiato, valorizzato e soprattutto fatto rivivere. È quindi importante stimolare chi lo ha ottenuto a pensare come lo ha raggiunto, quali elementi erano realmente sotto il suo controllo e come li ha gestiti, per non farlo diventare un caso o il risultato di una favorevole congiuntura.

La discussione è talmente accalorata che sembra non finire più. Decido quindi di formulare e dare in pasto alle due fazioni un’altra innocua domanda: “Indipendentemente dalla vostra idea sul valore del successo o dell’errore nel dare feedback, quanti feedback date mediamente ai vostri collaboratori durante l’anno?”. Ecco tornato il silenzio. Totale.

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