Un professionista su tre soffre di sovraccarico cognitivo
La disponibilità di troppi dati, ma non gestiti correttamente, finisce con il creare stress e annullare il vantaggio informativo
di Gianni Rusconi
3' di lettura
È il rovescio della medaglia (non l'unico) della società interconnessa. Il numero sempre crescente di dati e il costante flusso di informazioni in ingresso da gestire rischiano di avere un effetto controproducente su livello di stress, prestazioni e soddisfazione personale di chi lavora, soprattutto se vengono a mancare strumenti digitali adatti alla professione svolta in modalità ibrida. L’assunto a cui giunge una recente ricerca condotta su scala globale da 3Gem per conto di OpenText (il panel italiano era composto da circa 2mila addetti aziendali) scrive un nuovo capitolo di una tematica nota e che gli ultimi due anni hanno riportato al centro dell’attenzione.
Il problema di sovraccarico cognitivo all’interno delle organizzazioni esiste e una delle chiavi per superarlo, come spiegano gli esperti della multinazionale canadese specializzata nelle soluzioni di Information management a livello enterprise, sta nella capacità di saper innovare le modalità di accesso e gestione delle informazioni, trasformando la disponibilità di queste ultime in un vero e proprio driver di crescita.
Qualche numero per inquadrare meglio il fenomeno. Il sovraccarico di informazioni interessa oltre un terzo dei professionisti italiani (il 36% per la precisione) e la tendenza a trova riscontro in altri Paesi europei come Spagna e Germania, con percentuali di addetti che non riescono a disconnettersi dall’attività lavorativa pari rispettivamente al 34% e al 33%.
Il dato che impone una riflessione è il confronto rispetto al periodo pre-pandemico: nel 2020, solo il 16% degli italiani lamentava di non riuscire a “staccare”, oggi questo indicatore è più che raddoppiato e gli utenti ammettono di essere sopraffatti principalmente dalle troppe password da ricordare, dal numero eccessivo di app e fonti di dati da controllare ogni giorno ((problemi rilevati da un professionista su quattro) e dall’invadenza dei social media (segnalato nel 14% dei casi).
Una delle cause a cui ricondurre le difficoltà evidenziate dall’indagine è di natura tecnica, nel senso che solo una minoranza di dipendenti (il 44% in Italia) ritiene di avere gli strumenti digitali adatti per svolgere le proprie mansioni anche da remoto, mentre oltre un terzo dei professionisti ammette la fatica di reperire le informazioni archiviate su diverse piattaforme.
gE ancora: oltre la metà del campione tricolore conferma di fare uso di sistemi di condivisione file di tipo personale (come per esempio OneDrive, Google Drive o anche WhatsApp) e ammette di utilizzare quotidianamente più strumenti di condivisione per gestire le informazioni delle informazioni fra account, risorse, strumenti e app mobili, a dimostrazione del fatto che i dati necessari per portare a termine le attività quotidiane sono distribuiti su un numero sempre maggiore di fonti.
L’effetto negativo di tale “disorganizzazione”? Per metà dei professionisti si traduce in una dispersione di tempo, quantificata in un’ora al giorno, da dedicare alla ricerca sulle reti o su sistemi condivisi aziendali di documenti o dati specifici necessari per lo svolgimento del proprio lavoro. Il volume e la complessità delle informazioni da gestire porta dunque a situazioni che Antonio Matera, Regional Vice President Sales per l'Italia di OpenText, non esita a definire scoraggiante.
“La quantità di dati a disposizione - spiega infatti il manager - sta aumentando esponenzialmente ma ci siamo resi conto che le informazioni di per sé non sono la soluzione, perché è quando vengono raccolte e gestite in modo fluido che si trasformano, rivelano insight e si prendono decisioni migliori. Solo così si può cogliere il vantaggio informativo”.
La dispersione e la cattiva gestione di documenti e comunicazioni non producono solo un effetto negativo in termini di produttività aziendale, ma anche degli impatti negativi sui lavoratori. Il 43% degli addetti italiani oggetto di indagine, infatti, ritiene che il sovraccarico cognitivo abbia ripercussioni dal punto di vista del benessere fisico e mentale, mentre il 35% è dell’idea che le conseguenze riguardino principalmente le prestazioni lavorative.
Non passa però inosservato un ultimo indicatore, che si riflette come tendenza anche su scala globale: causa eccesso di informazioni, un professionista italiano su tre ritiene compromesso il proprio equilibrio vita-lavoro mentre il 42% del campione globale registra un’influenza negativa sul proprio benessere psico-fisico.
Il problema dunque esiste e non va sottovalutato, perché l’esigenza di ridurre la complessità di gestione e di governance delle informazioni, come osserva ancora Matera, è un passaggio obbligato per le aziende che vogliono cavalcare il cambiamento e aiutare i propri dipendenti a collaborare più facilmente con i propri colleghi. Indipendentemente dal dispositivo o dall’applicazione che utilizzano, o da dove e come scelgono di lavorare.
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