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Un viaggio in Sri Lanka, sulle tracce del padre della bioarchitettura

L’architetto Geoffrey Bawa ha segnato l’estetica del suo Paese, mescolando spazi interni ed esterni, dando ampio respiro alla natura, fondendo tradizione e modernità.

di William Smalley

Lʼarea living all'aperto di Lunuganga, la residenza di campagna di Bawa convertita in hotel. Per tutte le immagini © Harry Crowder

7' di lettura

Due ore a sud di Colombo: le autostrade diventano strade, le strade corsie. Ormai siamo vicini. La natura si fa più accogliente e i suoi profumi più intensi, le case si diradano. All'improvviso, ecco i cancelli e un addetto alla security con la scritta “efficient staff” orgogliosamente ricamata sulla camicia. Il vialetto privato serpeggia attraverso una vera e propria giungla e, ad attenderci, vestiti di lino bianco, ci sono Menarka – il manager – e il suo staff. Sono in Sri Lanka sulle tracce dell'architetto Geoffrey Bawa (1919-2003) e soggiornerò a Lunugang a, la sua residenza di campagna convertita in hotel, con solo nove fra camere e suite, e gestita da Teardrop Hotels per conto del Bawa Trust. Bawa ha sempre messo d'accordo architettitradizionalisti e modernisti, cosa più unica che rara. Conosco bene i suoi progetti e, adesso che anch'io sto scrivendo un libro sul mio lavoro e su ciò che lo ispira, sono arrivato qui insieme al fotografo Harry Crowder e alla mia collega Scarlett. Abbiamo dovuto posticipare il viaggio di un anno perché, durante il Covid, lo Sri Lanka ha chiuso le frontiere. Siamo arrivati prima che il Paese precipitasse in una crisi che è tutt'ora gravissima, e abbiamo avuto Lunuganga, che significa “fiume salato”, tutta per noi.

Gli esterni ricoperti di vegetazione autoctona dellʼhotel Kandalama, vicino a Dambulla, uno degli ultimi progetti di Geoffrey Bawa.

Ai tempi, Bawa faceva il viaggio da Colombo a bordo della sua Rolls-Royce anni Trenta, noi siamo su una Toyota HiAce guidata da un autista super entusiasta, che si ferma spesso per farci guardare intorno e per farci assaggiare l'acqua di cocco direttamente dalla noce, comprata a una bancarella lato strada (sono troppo inglese per dire che non mi piace, ma gli altri apprezzano davvero). Menarka ha previsto alla perfezione quale stanza ciascuno di noi avrebbe scelto: Scarlett la Guest Suite nella residenza principale, Harry la Gate House Suite, che si affaccia sul verde, io la camera ricavata da quella che era la galleria d'arte privata di Bawa. Pranziamo e poi prendiamo il tè in terrazza, accompagnato da una torta appena sfornata e ancora tiepida. Poi andiamo in giardino, e la conversazione cede il posto a un silenzio denso di ammirazione. Nelle ore seguenti, gli occhi di Harry si muovono nello spazio, in e outdoor, come se fossero l'obiettivo di una macchina fotografica. Io analizzo tutto ciò che vedo. Scarlett sta per lo più in casa, e fluttua fra gli ambienti in chemisier, con una tazza di chai in mano.

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La Glass Room, una delle camere a disposizione degli ospiti.

Nato a Colombo nel 1919 in una famiglia borghese – il padre è avvocato e la madre una Burgher (gruppo etnico discendente dei coloni europei, ndr) con sangue cingalese, tedesco e scozzese nelle vene – Geoffrey Bawa studia legge a Cambridge negli anni Trenta e poi architettura a Londra. Sta meditando di acquistare una proprietà in Italia quando lo Sri Lanka diventa indipendente – o forse Bawa scopre che i suoi risparmi non gli avrebbero consentito di comprare granché in Europa – e nel 1948 torna in patria. Qui acquista una tenuta coloniale di oltre 10 ettari su un promontorio affacciato sul lago Dedduwa, vicino alla costa di Bentota. La carriera di architetto si sviluppa nei successivi 50 anni e culmina con la progettazione del nuovo palazzo del parlamento cingalese. Senza troppo clamore, la sua influenza si fa sentire in tutto il mondo, al punto che oggi ogni hotel progettato con una particolare sensibilità e rispetto del luogo a cui appartiene deve probabilmente qualcosa a lui. Geoffrey Bawa ha mostrato come l'architettura possa adattarsi alle specificità di un certo clima e di una certa cultura, ma essere anche parte di un più generale movimento improntato all'ottimismo.

Un albero cresciuto in un piccolo cortile interno di Number 11, la townhouse dellʼarchitetto a Colombo.

Per 50 anni Lunuganga è il suo mondo privato, il luogo in cui sperimenta nuove idee, costruendo padiglioni nella giungla e aprendo varchi fra la vegetazione per creare vedute del lago. Interviene sulla vecchia casa coloniale abbandonata e sul viale di accesso, nasconde dietro a un muro di sostegno una strada che attraversava la sua proprietà fino a quella dei vicini, crea sentieri e terrazzamenti. L'ingresso diventa un giardino terrazzato, raccolto attorno a un albero di frangipani; anzi due, innestati insieme e potati in modo da garantire una fitta ombreggiatura. Sull'altro lato della casa, Bawa ribassa un po' la collina, in modo da poter scorgere il lago dal tavolo in cui fa colazione. La terrazza termina con una decorazione barocca, uno dei molti dettagli di ispirazione europea sparsi in giro, gli uccelli ci svolazzano intorno ed è come se tramite loro si vedesse la natura dall'alto. Ceniamo e poi crolliamo. Mi sveglio alle 6.30, quando fa luce. Per mezz'ora rimugino sul viaggio e sul libro, ma quando mi sveglio del tutto fuori c'è il sole e ciò che mi preoccupava è svanito. Cammino fino all'edificio principale e vedo da lontano Harry impegnato a fotografare con il suo treppiedi. È già diventato amico dello chef, che dice ci cucinerà tutto ciò che vogliamo – curry piccanti per gli altri, pesce dal gusto delicato per me, che accompagnerò a un drink (mi sono portato del gin, perché l'hotel non ha la licenza per gli alcolici).

Bawa a Lunuganga a metà anni ʼ90. © The Lunuganga Trust

La mattina seguente il cielo è sui toni del grigio, ma ormai abbiamo scattato le foto che ci servivano. Scarlett parte per Londra; Harry e io ci fermiamo un'altra notte. Mi trasferisco nella Glass Room, simile a un ampio corridoio vetrato, affacciato sul cortile all'entrata. Stando a casa di Bawa, circondato dalla sua splendida collezione di oggetti, nel luogo dove ha espresso ed esposto le sue idee, lo sento più vicino. Alcuni membri dello staff lavoravano qui quando era ancora in vita e tutti nutrono grande rispetto nei suoi confronti. Ci sono nove giardinieri, e il rumore ritmico di quando spazzano la ghiaia sembra quasi far parte del progetto, completa il quadro. L'acqua è l'essenza del luogo. Negli stagni ci sono i varani e nel lago i coccodrilli. Trovarsi nel giardino di Bawa rende consapevoli dello spazio, del tempo, del movimento, della natura, e di se stessi.

Cominciamo a contemplare l'idea di ripartire. Lo Sri Lanka è abbastanza vuoto da poterci permettere di viaggiare come piace a me, con un'attitudine che si può riassumere così: “Niente piani, si decide sul momento che cosa fare e dove andare”, un gran lusso. Sulla strada per Colombo ci fermiamo al Bentota Beach Hotel, uno dei primi progetti di Bawa, un albergo che incarna e definisce la sua architettura locale-internazionale. Si entra attraverso un lungo viale d'accesso in pietra, coperto da una tettoia, ma aperto sui lati. Questo conduce alla lobby e a un cortile con al centro una piscina affacciata su grandi aiuole con alberi e palme.

L'entrata principale di Lunuganga.

Poi ci dirigiamo verso la capitale, per andare a vedere Number 11, la townhouse di Bawa, anch'essa gestita dal Bawa Trust e in cui avremmo volentieri pernottato, se non fosse stata prenotata per tutto il mese. Number 11 è stata realizzata nello stesso periodo di Lunuganga, riprogettando quattro case per ricavarne una. Harry e io siamo eccitati come bambini. Ma presto arriva la delusione: superato il lungo corridoio d'ingresso è vietato fare fotografie. Ma non ci perdiamo d’animo e cominciamo una trattativa. A differenza di Lunuganga, che è concepita in base alla vista, Number 11 si sviluppa tutta rigorosamente all'interno, a eccezione della roof terrace al secondo piano, da dove una volta si vedeva il mare. È una splendida dimora, ricca di oggetti bellissimi. Un lungo corridoi dal pavimento bianco, stanze che si aprono su cortili interni, ovunque il suono di acqua che scorre. Il lungo living del primo piano fa dialogare bianchi tappeti a pelo lungo, arredi in plastica e una parete ricoperta di arazzi balinesi: penso che sia una delle stanze più interessanti in cui io abbia mai messo piede.

Lʼarea living della townhouse Number 11, a Colombo.

Passiamo la notte a Colombo. In città c’è una mostra di disegni di Bawa e finiamo per bere un cocktail con il curatore, Shayari de Silva, che riesce anche a procurare altra pellicola a Harry. Ci viene consegnata mentre stiamo cenando al The Gallery Café, nell'ex ufficio dell'architetto e, ripensandoci, qualcuno avrà sospettato si trattasse di ben altro. Il nostro hotel si affaccia sul porto costruito dalla Cina, a cui poi lo Sri Lanka ha finito per trasferirne il controllo senza volerlo davvero, e questo è un chiaro indizio del futuro politico del Paese. Il mattino seguente ci svegliamo presto per prendere il treno che ci porterà a Kandalama, un hotel lungo un chilometro vicino a Dambulla, immerso nella riserva naturale che Bawa progettò nel 1990 e uno dei suoi ultimi lavori.

Grazie all'interessamento di Number 11 mi hanno riservato la sua stanza preferita, la 507, una camera d'angolo all'ultimo piano. Il colpo di genio è stato posizionare l'hotel a ridosso della montagna, con i corridoi aperti sulla roccia, e rivestire l'edificio con piante rampicanti autoctone su cui si inerpicano le scimmie. Mentre faccio il bagno ne vedo diverse e, proprio per questo, lo staff ci ha raccomandato di non lasciare aperte le porte finestre del terrazzo, per non rischiare che entrino e rubino qualcosa. Il giorno dopo c'è foschia. Passeggio nei corridoi, scrivo e penso di cominciare a capire Bawa, da architetto ad architetto. Non perdeva tempo con aspetti secondari, si focalizzava sui fondamentali di un progetto: posizione, correttezza e armonia rispetto al contesto, inevitabilità. Ecco perché nei suoi edifici ci si sente sempre a proprio agio. Forse ciò è dovuto anche a come è cresciuto, da privilegiato: un inaspettato democratico che voleva garantire queste cose a tutti.

La Guest Suite originale di Bawa nell’hotel.

Alle nove della nostra ultima sera, Number 11 ci conferma che possiamo fotografare i suoi interni; alle sei del mattino dopo ci stiamo già dirigendo là. Per un'ora la villa e il suo curatore saranno tutti per noi, insieme agli ultimi preziosi rullini di pellicola. Poi, prima di partire per l'aeroporto, incontriamo un rappresentante del Bawa Trust, un architetto che ha lavorato nel suo studio. Oso fargli la domanda che mi porto dietro da tutto il viaggio: Bawa era una brava persona, piacevole? Era gentile e timido, è la risposta. Aveva un caratteraccio? Se era arrabbiato, diceva “Damn and blast”, nient'altro. Sono sollevato. Penso che mi sarebbe piaciuto, un uomo determinato che, senza far troppo rumore, si è inventato l'architettura di una nazione.

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