Una collezione composta di sculture, fotografie e ricordi da geisha
Dalla statua di Ganesh sulla scrivania alle maschere teatrali italiane, fino ai ritratti di famiglia. Gli indispensabili per propiziare la scrittura
di Erica Jong
5' di lettura
Sono tante le cose che amo e che hanno significato per me. Portarvi nella mia casa di New York, a fare un giro nelle stanze che abito e in cui lavoro, soffermandomi sugli oggetti a me cari, penso possa essere il modo più appropriato per raccontare il mio rapporto con loro. Partiamo dalla camera più intima. Appese sopra il mio letto ci sono alcune sculture a tema erotico, alte circa mezzo metro, che provengono dalla colonna di una testiera che, per le sue caratteristiche, dovrebbe provenire dall'India. Su quella stessa parete ho anche uno dei meravigliosi dipinti di mio nonno che ritrae cavalli liberi al galoppo sulla riva al mare: era uno dei suoi soggetti preferiti, li dipingeva spessissimo e io adoro questo quadro. Sopra uno dei vari scaffali ho posato un vecchio specchio con una cornice, anch'essa a specchio, che mi sembra molto bello, e sei stampe erotiche giapponesi conosciute come rappresentazioni Shunga.
Proseguendo, nel mio ufficio hanno un posto importante un gruppo di maschere teatrali che ho acquistato proprio in Italia, una delle quali raffigura Bacco con la testa adorna di grappoli d'uva e foglie di vite intrecciate: è abbastanza divertente, mi fa compagnia. Ne ho molte altre, soprattutto volti di donne; sono da sempre affascinata dalle maschere che ancora oggi vengono prodotte a Venezia per il Carnevale.
Poi ci sono i soggetti religiosi. Sulla mia scrivania ho una statua di Ganesh che cavalca un topo ed è accompagnato da una donna, di cui non sono ancora riuscita ad afferrare per intero il significato. Ganesh è il dio degli inizi, quindi trovo che sia una divinità particolarmente appropriata per l'ufficio di uno scrittore: sollecita e propizia l'avvio di un nuovo lavoro.
Il luogo in cui scrivi deve rappresentare un po' chi sei e quello che ti piace. Però, a volte, possono esserci anche oggetti curiosi, regali che, per strane ragioni, hai voluto conservare. È il caso del fallo in marmo che un mio fan ha scolpito appositamente per me e mi ha inviato. Lo uso come fermacarte e anche per tenere i libri in piedi. È bianco e grigio, senza firma o sigla del suo autore, perciò non ricordo proprio il suo nome, mi limito a pensare che deve aver ammirato molto il mio lavoro per spedirmi quell'oggetto.
Anche le fotografie rappresentano ricordi preziosi: in quella che conservo di fronte alla mia scrivania, c'è mia madre che tiene in braccio mia sorella, è stata scattata prima che io nascessi. Tutti, quando capitano qui, pensano che sia io quella bambina, sia per la somiglianza sia perché sarebbe logico, visto che la foto è esposta a casa mia, invece ritrae Suzanna.
Se ci spostiamo in sala da pranzo, il dipinto più importante della stanza mi vede protagonista. È stato fatto quando vivevamo in Giappone: mia madre voleva dipingere una geisha locale, ma non poteva assumerne una che fosse disposta a posare per così tante ore, quindi, per farle piacere, ho accettato di essere la sua modella. Prima ho studiato a lungo il modo in cui si acconciavano i capelli, i colori del trucco. Poi ho indossato gli abiti tradizionali, con un puntino rosso sopra il labbro inferiore e il maquillage degli occhi studiato nei particolari. È raro vedere geishe con quelle fattezze. E soprattutto bionde, come me! Penso che fossimo a Nagoya, non a Tokyo. Quella era l'estate prima che iniziassi l'università. È un bel ritratto, rappresenta un ricordo importante. E contemporaneamente conferma quello che, secondo me, è il significato più prezioso oggetti che ci sono cari: conservare momenti specifici della vita oramai passati. Mi rammentano chi ero a quell'età.
Proprio in virtù del fatto di essere cresciuta in una famiglia di artisti, mi è capitato spesso di posare, il che significava stare ferma per ore e ore senza mai cambiare l'angolazione della testa. Mio nonno faceva ritratti e si guadagnava da vivere con questa forma d'arte; mia madre ha seguito le sue orme, diventando ritrattista. Io, in fondo, non ho fatto altro che replicare quel loro talento di raffigurare persone e cose, trasferendolo nella scrittura. Tuttavia anch'io ho iniziato a esprimermi come nonno e mamma, con il pennello e la tela, oltre che con la musica, avendo frequentato il liceo artistico.
Poi la letteratura ha preso il sopravvento e mi ha catturata completamente. L'intreccio tra gli oggetti che ho descritto finora e la trama dei miei libri è abbastanza fitto ed evidente, così come quello con le esperienze artistiche di cui sono stata oggetto e soggetto protagonista all'interno della famiglia e nella mia vita. Penso che gli artisti, inclusi gli scrittori, siano più legati agli oggetti rispetto ad altre persone, perché se ne servono come amuleti e come fonti di ispirazione. La domanda, dunque, è semplice: sei un artista oppure no? Se sì, gli oggetti saranno un tuo strumento imprescindibile.
Quando i miei genitori sono morti, le mie sorelle ed io abbiamo cercato di salvare il maggior numero di ricordi legati a loro, cose che ci avevano accompagnate nella nostra giovinezza. Ognuna di esse, in modo diverso, ci rammenta che cosa vuol dire diventare adulti, formare il carattere. Mai avrei potuto rinunciare, per esempio, ai tanti, straordinari ritratti che mi hanno fatto prima mio nonno e poi mia madre. Anche se sono moltissimi e mi è servito un deposito intero per farceli stare. Se avessi una casa un po' più grande non esiterei ad appenderli tutti per averli davanti agli occhi in ogni stanza e in ogni momento. L'arte per me è vitale, perciò vorrei avere più soldi per acquistare tutte le opere che mi piacciono.
Per chiudere questo viaggio dentro la memoria, scandito dagli oggetti che mi appartengono, potrei dire che il loro potere evocativo dipende dal fatto che sono le orme che ciascuno di noi lascia nel mondo e nella vita. Si potrebbe scrivere la propria autobiografia indicandoli uno a uno, compresi quelli che magari sono legati a delle ambizioni o dei sogni, indipendentemente dal fatto che poi si siano realizzate o meno. Certo, essere cresciuta in mezzo a pittori di talento è un vantaggio, un dono che vale più delle madeleine di Marcel Proust.
Erica Jong, nata a New York nel 1942, ha raggiunto il successo con Paura di volare, edito nel 1973. Nella sua lunga carriera ha scritto numerosi best seller, come Fanny, Ballata di ogni donna, Il salto di Saffo e alcuni libri di poesie, tutti editi in Italia per Bompiani. Ha vinto diversi premi internazionali, tra cui il Sigmund Freud Prize per la letteratura e il Premio Fernanda Pivano. È citata nella canzone Highlands di Bob Dylan.
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