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Una nuova rotta nello streaming social

Il curioso caso di Piero Armenti: con libro “Il Mio Viaggio a New York”

di Riccardo Piaggio

3' di lettura

Un mondo di amici, nel migliore dei mondi possibili. Almeno in quei pochi secondi delle dirette Instagram e Facebook. Così va il mondo raccontato dagli streamers italiani, expat che hanno scelto di cavalcare la semplicità dello storytelling online e la vocazione a vivere di esperienze. Un tempo si chiamavano espedienti, ma il fenomeno di quelli che una volta si chiamano bloggers non va necessariamente (né per intero) ridotto all'equazione storie meno (e senza) contenuti uguale streamer. Qui non vogliamo parlare delle futilità laccate delle modelle photoshoppate; che coincide con un altro fenomeno, che sposta semplicemente il vacuum cerebrale e culturale dai rotocalchi, che sono sempre esistiti, agli smartphone.

Sublimazione dei nuovi rapporti di potere

Negli streamer che si vestono, passeggiano e (soprattutto) mangiano c'è qualcosa di nuovo, di diverso e che non è necessariamente negativo: c'è la sublimazione dei nuovi rapporti di potere generati dalla Società dello spettacolo, raccontati da Guy Debord; io mangio e tu guardi, non perché l'accademia di pincopallo mi attribuisca un titolo, ma perché sei tu utente a chiedermelo. E sì, ci sono streamers che meritano attenzione, per il modo in cui si pongono, non tanto per i contenuti che propongono.

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Piero Armenti da Salerno

L'eroe degli streamers masticanti è Piero Armenti da Salerno, autore della piattaforma “Il Mio viaggio a New York”, scrittore (Mondadori ha pubblicato alcuni mesi fa il suo reportage narrativo “Se ami New York”) e inventore di un format che ha già fatto proseliti, non tutti all'altezza dell'originale. Che cosa ha inventato? Pievo, che è anche un imprenditore è un ragazzo parecchio sveglio e racconta con straordinaria leggerezza e la giusta umiltà la sua normalità, che diventa qualcosa di eccezionale. Non vende nulla, offre “il sogno” di New York che, come scrive nel romanzo “è stata la Capitale del Novecento” ma ancora non ne è arrivata un'altra a prenderne il posto. Tanto da aver creato un social brand, il racconto di sé attraverso la metafora della scelta la narrazione di un sogno accessibile, il cui dispositivo narrativo è uno solo: “semplificare senza banalizzare”.

Quando Piero si siede al tavolo di Kat's Deli a NY o di un tristellato in giro per il mondo, è uno di noi - il fratello maggiore con una certa esperienza - che ci racconta un piccolo segreto. Quando lo fanno altri, assomigliano piuttosto all'Ego di Ratatouille (senza la cultura di Ego, che non è uno sciocco) e si capisce che - banalmente - stanno mangiando a sbafo, sovente senza sapere né cosa né come, in nome del web. In questo senso, Armenti è un anti-tiktoker, lontanissimo da quei fenomeni come la danzatrice social da record (100 milioni di seguaci) Charli D'Amelio che dispensano sorrisi distopici e mostrano la perfezione laccata di anima e corpo. Una cosa li accomuna, l'idea ingenua (finché non ti permette di vivere semplicemente raccontandola) che la vita è fatta di sogni, più o meno i medesimi per tutta la community, che tutti possono o realizzare. Non esistono cesure, il vaso di Pandora è scoperchiato: gli Amici di Piero si stanno mangiando ballerini, cantanti e sbafatori della prima ora; il prossimo fronte sarà quello degli streamers neuroscienziati, dei tiktoker astrofisici, degli youtubers filologi. E allora un ricordo va ad Alessandro Barbero che la storia l'ha portata sugli smartphone dall'alba digitale. Tutto bene, dunque, a patto che i social siano un formidabile strumento, non la realtà in cui vivere e risucchiare i followers, come nel sortilegio di Beetlejuice.


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